Anche se lanciata con slogan di “riforme” e “progressismo”, l’inedita coalizione che sta per dare vita al primo governo del dopo-Merkel in Germania si baserà fondamentalmente su tre principi non esattamente di sinistra: rigore fiscale, militarismo e competitività del capitalismo tedesco. Quello guidato dal cancelliere in pectore Olaf Scholz sarà anche un gabinetto con un orientamento di politica estera parzialmente diverso da quello uscente della “cancelliera”, cioè maggiormente ancorato alla NATO e all’alleanza con Washington, a discapito dei rapporti con potenze come Russia e Cina.

 

Sono serviti poco più di 70 giorni dalle elezioni di settembre per mettere assieme la cosiddetta coalizione “semaforo”, dal colore che contraddistingue i tre partiti che ne fanno parte, ovvero i social democratici (SPD), i Verdi e i liberal democratici (FDP). Ai primi, vincitori del voto con quasi il 26%, andrà la carica di cancelliere con l’attuale ministro delle Finanze Scholz, assieme, tra gli altri, ad alcuni importanti ministeri, come quello della Difesa, del Lavoro e della Sanità.

I due dicasteri di maggiore peso assegnati ai Verdi sono invece quelli degli Esteri e una sorta di “super-ministero” dell’Economia e dell’Energia, con competenza anche sulle politiche legate alla lotta contro il cambiamento climatico. Alla guida della diplomazia tedesca ci sarà la co-leader dei Verdi, Annalena Baerbock, nota per le sue posizioni anti-russe e anti-cinesi. Quest’ultima non ha mai fatto mistero della sua contrarietà al controverso gasdotto Nord Stream 2 e, oltre forse a ostacolare il completamento di questo progetto, la Baerbock potrebbe assecondare ancora di più le manovre ultra-provocatorie di USA e NATO ai confini con la Russia. Riguardo invece alla Cina, come spiega il testo dell’accordo di governo, la cooperazione con Pechino sarà ricercata solo “sulla base [del rispetto] dei diritti umani”.

Nonostante siano il partner con meno seggi, è ai liberal democratici, tradizionalmente espressione degli interessi di banche e grandi aziende tedesche, che è stato attribuito il ministero cruciale per l’attività di governo, quello delle Finanze. La nomina del leader del FDP, Christian Lindner, alla successione dello stesso Scholz è forse il fattore più significativo dei negoziati di queste ultime settimane e dell’intero accordo di governo. Lindner è notoriamente un “falco” del rigore finanziario e questa sua attitudine, assieme all’irriducibile ostilità per l’aumento delle tasse sui redditi più alti e sulle grandi aziende, mette da subito in chiaro quali saranno gli spazi di manovra per implementare un’agenda progressista sul fronte economico e dei programmi sociali.

A conferma che il principio ispiratore del prossimo governo tedesco sarà ancora l’austerity, nel programma viene stabilito che il tetto fissato costituzionalmente del livello di indebitamento federale sarà ristabilito nel 2023 dopo la momentanea sospensione a causa dell’emergenza COVID. Inoltre, il nuovo esecutivo si impegna a non aumentare la pressione fiscale, nemmeno per i più ricchi, e, in sede europea, a tornare a promuovere il rispetto del “Patto di Stabilità”.

Il rigore di bilancio proclamato dal nuovo governo si dovrà accompagnare a misure di spesa potenzialmente consistenti per finanziare la trasformazione ecologica dell’economia tedesca, nonché un programma di riarmo in linea con gli obiettivi della classe dirigente della Germania. Questa realtà lascia intendere ancora una volta che, nei prossimi anni, più che iniziative di carattere “progressista” avranno luogo tagli alla spesa sociale.

Su iniziativa dei Verdi, le proposte per ridurre l’impatto ambientale delle attività economiche sono molteplici. Tra le altre, spicca l’obiettivo di generare l’80% dell’energia elettrica da fonti rinnovabili e la messa in strada di almeno 15 milioni di veicoli elettrici entro il 2030. Le misure previste in ambito climatico, così come quelle relative all’innovazione tecnologica, rispondono in primo luogo alla necessità di rendere più competitivo il capitalismo tedesco e di aprire a esso nuovi mercati in una situazione globale segnata dall’aumento delle rivalità.

Secondo questa stessa logica verranno promosse iniziative per “modernizzare il mondo del lavoro”, cioè la formula tipica per rendere apparentemente meno minacciose politiche di precarizzazione e compressione dei salari. La presenza ancora una volta alla guida del ministero del Lavoro di un esponente della SPD risulterà decisiva in questo senso e l’azione del governo prenderà ispirazione dalla famigerata “Agenda 2010” dell’ultimo cancelliere socialdemocratico, Gerhard Schroeder, da cui prese le mosse l’assalto al welfare tradizionalmente inteso.

Retorica pseudo-progressista per contenere le tensioni sociali e implementazione di misure regressive sono d’altra parte due tratti che contraddistinguono la SPD e i partiti socialdemocratici europei in genere. Questa incombenza, di cui si farà carico il principale partito della coalizione “semaforo”, è stato riassunto da un’analisi pubblicata mercoledì dal sito web della rete pubblica Deutsche Welle, secondo la quale alla SPD è stato assegnato appunto il compito di gestire “le basi per il mantenimento della coesione sociale”.

In linea di massima, la stampa ufficiale ha caratterizzato l’accordo per il nascente gabinetto tedesco come un momento di rottura più o meno drastica rispetto alla gestione della Merkel. Per giustificare questa valutazione vengono sottolineate alcune proposte che, tuttavia, non toccano praticamente mai i nodi economici e sociali alla base delle disuguaglianze in netto aumento in Germania come altrove. Piuttosto, il carattere “progressista” del governo entrante sarebbe definito dalle già ricordate misure per combattere il cambiamento climatico, tutte studiate nell’ottica degli interessi del business tedesco, o altre relative alle politiche abitative, salariali e migratorie.

Anche per queste ultime si tratta comunque di provvedimenti raramente incisivi, come l’innalzamento del salario minimo a 12 euro l’ora. Oltre al fatto che questa soglia è già superata in molti settori industriali, l’inflazione in aumento e il fatto di lasciare intatta la galassia del precariato riducono fortemente l’impatto dell’iniziativa. Molti dubbi pervadono anche la promessa di costruire 400.000 nuove case all’anno per rimediare all’emergenza abitativa. Impegni simili erano già stati presi e disattesi dal governo uscente e, ad ogni modo, poco o nulla è previsto per espandere le attuali e poco efficaci misure di controllo dei canoni di affitto.

L’accordo di governo annunciato mercoledì dovrà essere ora ratificato dalle rispettive conferenze di partito di SPD e FDP, mentre per i Verdi saranno tutti gli iscritti a esprimere il proprio parere. Se, com’è previsto, non dovessero esserci intoppi, Olaf Scholz potrebbe essere eletto cancelliere e il governo prendere vita ufficialmente con il voto del Bundestag già nella seconda settimana di dicembre. La relativa rapidità dei negoziati, rispetto ai 171 giorni che richiese la formazione della “grosse Koalition” tra SPD e CDU dopo le elezioni del 2017, spiega a sufficienza la gravità della crisi di fronte alla classe dirigente e al capitalismo tedesco in concomitanza con la conclusione dell’era Merkel.

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