Gli uragani che si sono abbattuti lo scorso fine settimana su alcuni stati del centro e del sud degli Stati Uniti hanno provocato la morte di quasi cento persone, ma non tutti i decessi registrati finora possono essere ascritti esclusivamente all’ennesimo eccezionale evento climatico. Almeno 14 morti sono piuttosto la diretta conseguenza delle condizioni di lavoro imposte sempre più dal capitalismo, in America come altrove. Non a caso, infatti, sei delle vittime indirette dell’uragano che ha colpito una parte dello stato dell’Illinois erano dipendenti di Amazon, cioè la corporation con i precedenti più tragici in materia di sicurezza sul lavoro, di fatto intrappolati nel sito di distribuzione del colosso di Jeff Bezos nella località di Edwardsville.

 

Con l’emergere di un bilancio più preciso dei danni causati dalla devastazione che ha interessato gli USA tra la sera di venerdì e la mattina di sabato scorso, sono apparsi chiari anche i fatti relativi all’impianto di Amazon e alla fabbrica di candele Mayfield Consumer Products di Mayfield, nel Kentucky. Nonostante l’allerta uragano fosse stata diramata con largo anticipo dalle autorità, in entrambi i siti la dirigenza ha impedito ai lavoratori che svolgevano il loro turno di andarsene per mettersi al sicuro. Quando l’uragano ha fatto il suo previsto arrivo, entrambe le strutture sono state spazzate via, lasciando sul campo rispettivamente sei e otto morti.

Le ragioni della tragedia sono spiegate chiaramente dall’ultimo messaggio che una delle vittime delle politiche aziendali di Amazon, il 46enne veterano dell’Iraq Larry Virden, ha inviato alla compagna poco prima di morire: “Amazon non ci lascerà andare”. Dai racconti dei lavoratori che si sono miracolosamente salvati si deduce senza sorprese che la priorità assoluta per entrambe le aziende è stata la continuità dei profitti. In vista dell’imminente periodo natalizio, il management ha deciso che nemmeno un turno di lavoro poteva essere sacrificato per la sicurezza di tutti i dipendenti presenti nelle due strutture.

I lavoratori di Mayfield hanno spiegato che i responsabili della fabbrica avevano minacciato esplicitamente di licenziare chiunque avesse abbandonato l’edificio per cercare riparo dall’uragano in arrivo. Da quanto riportato dalla stampa americana emerge tutta l’indifferenza per la vita stessa dei lavoratori. Il 20enne dipendente della fabbrica di candele del Kentucky, Evan Johnson, ha raccontato di avere chiesto a un dirigente se, persino con una situazione climatica come quella che si stava verificando, l’azienda lo avrebbe licenziato se si fosse allontanato. La risposta è stata un secco “sì” e, sempre secondo Johnson, è stato fatto addirittura un appello per assicurarsi che nessun lavoratore avesse lasciato la struttura.

La stessa situazione e identiche minacce si sono verificate anche a Edwardsville. Nel sito di Amazon, quando l’uragano si stava ormai abbattendo sull’impianto, i responsabili hanno dato indicazione ai lavoratori di cercare riparo nei bagni, ma l’inadeguatezza dei materiali di costruzione ha fatto in modo che l’intera struttura finisse per crollare su sé stessa. I sei dipendenti morti sono il 29enne Clayton Cope, Kevin Dickey (62 anni), Etheria Hebb (34), il già ricordato Larry Virden, Austin McEwen (26) e Deandre Morrow (28). Quest’ultimo, secondo quanto raccontato dalla madre, stava per chiedere la mano della fidanzata.

Oltre al disinteresse assoluto per la sicurezza e la vita dei lavoratori da parte dei vertici aziendali, a provocare il disastro è stata anche la scelta di costruire edifici senza tenere conto del rischio uragani. Ciò è ancora più scandaloso per il caso di Amazon, ovvero una delle prime compagnie del pianeta per capitalizzazione e che nel 2020 ha incassato utili per più di 21 miliardi di dollari. Il suo presidente, Jeff Bezos, aggiunge al suo patrimonio in media circa un milione di dollari ogni sette minuti. Mentre i suoi dipendenti morivano sotto la furia dell’uragano, Bezos stava trascorrendo il fine settimana in un evento ultra-esclusivo per lanciare il progetto spaziale Blue Origin da oltre 5 miliardi di dollari.

Sempre secondo i lavoratori sopravvissuti, inoltre, da svariati anni nell’impianto di Edwardsville non venivano effettuate le simulazioni di emergenza previste per legge. L’agenzia federale che negli Stati Uniti si occupa – in teoria – di vigilare sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (OSHA) ha aperto un’indagine su quanto accaduto nelle due fabbriche andate distrutte dall’uragano. Le operazioni dureranno probabilmente parecchi mesi e, comunque, il risultato sarà al massimo una sanzione in denaro che, soprattutto per Amazon, risulterà del tutto trascurabile, in fin dei conti un’altra delle voci di costo per continuare ad accumulare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori.

D’altra parte, Amazon è tristemente nota per le condizioni di semi-schiavitù che impone ai propri dipendenti, nonché inevitabilmente per il numero altissimo di infortuni sul lavoro. Questa situazione, a cui va collegata direttamente la tragedia seguita all’uragano di settimana scorsa, non è un elemento eccezionale ma rappresenta il modello industriale stesso imposto da Bezos e che, con l’appoggio totale delle classi dirigenti di praticamente tutti i paesi, si sta imponendo come quello dominante del sistema capitalistico odierno.

Significativamente, gli uragani appena abbattutisi sull’Illinois, sul Kentucky e su altri stati americani sono almeno il secondo evento naturale in meno di due anni ad avere fatto emergere la vera natura e le priorità del capitalismo e ad averle mostrate drammaticamente a tutto il mondo. L’altra è ovviamente la pandemia in atto che, soprattutto nella prima metà del 2020, ha evidenziato l’incapacità del capitalismo ad affrontare un’emergenza planetaria che richiedeva la mobilitazione di tutte le risorse possibili per il bene collettivo. Quello per cui ci si è mobilitati è stata al contrario la garanzia della continuità dei profitti e quando le attività produttive si sono fermate, sia pure parzialmente e per un breve periodo, è stato grazie agli scioperi e alle resistenze dei lavoratori.

A questo proposito, è ancora una volta tutt’altro che sorprendente che proprio Amazon sia stata tra le grandi compagnie quella che ha fatto forse registrare il bilancio più pesante in termini di dipendenti contagiati e di morti per COVID-19. Il dubbio relativamente al poco invidiabile primato dipende dal fatto che Bezos e i suoi manager continuano a tenere nascosto il numero reale di infettati e di decessi tra la propria forza lavoro. I dati più recenti risalgono all’ottobre dell’anno scorso, quando Amazon ammise di avere avuto circa 20.000 positivi all’interno dei suoi impianti.

Il colosso dell’e-commerce non ha comunque subito particolari conseguenze per questo comportamento, anche se la gravità della sua condotta ha talvolta costretto le autorità a prendere qualche provvedimento, più che altro di natura simbolica. Lo scorso mese di novembre, ad esempio, l’ufficio del procuratore generale della California ha inflitto ad Amazon una sanzione irrisoria di 500 mila dollari per non avere informato i suoi dipendenti sul numero di casi di COVID-19 rilevati nelle sedi dello stato, lasciando i lavoratori, mentre Bezos moltiplicava le sue ricchezze, in uno stato di “terrore e impotenza”.

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