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La controffensiva del regime ucraino nella provincia di Kharkov ha scatenato un dibattito infuocato tra i sostenitori delle due parti in guerra, proiettando soprattutto sul web un’ondata di illusioni e frustrazioni che quasi mai corrispondono a ciò che sta accadendo realmente sul campo. Le forze di Kiev, com’è noto, hanno finora riconquistato il controllo su una parte significativa di territorio in mano alla Russia e le operazioni militari, condotte sotto la completa direzione NATO, stanno proseguendo anche in questi giorni. Al di là dei toni prevedibilmente trionfali con cui le azioni dell’Ucraina vengono presentate in Occidente, le recentissime “vittorie” appaiono di natura soltanto tattica e una valutazione oggettiva degli eventi degli ultimi sei mesi non lasciano supporre, almeno a breve, un ribaltamento generale delle sorti del conflitto. Molto probabile è invece un cambio di marcia delle operazioni russe, preannunciato dai bombardamenti già avvenuti contro alcune infrastrutture cruciali dello stato ucraino.

 

Lo “sfondamento” ucraino che ha convinto i vertici militari russi a ritirare le proprie forze da alcune città del “oblast” di Kharkov non rappresenta, per cominciare, una battaglia vinta da Kiev, in quanto battaglia vera e propria non vi è stata. Quell’area era stata in precedenza alleggerita per quanto riguarda le strutture difensive, in parte per rafforzare la zona di Kherson, oggetto di una precedente controffensiva ucraina finita malamente. Piuttosto, l’avanza ucraina è avvenuta a carissimo prezzo, con l’eliminazione di migliaia di uomini, tra cui quasi sicuramente mercenari occidentali, e mezzi.

Allo stesso tempo, nonostante i piani di guerra di Mosca non siano evidentemente noti, appare improbabile che il ritiro russo sia stato una trappola per accerchiare le forze ucraine in avanzamento. Altri analisti ritengono inoltre che la Russia abbia avuto come minimo un grosso problema di intelligence, dal momento che le forze “alleate” che controllavano Kharkov sono state prese di sorpresa dal blitz coordinato con la NATO. Resta il fatto che la Russia ha subito perdite molto modeste nell’ultima settimana, sia per l’alleggerimento del fronte difensivo precedente l’offensiva ucraina sia perché nelle aree interessate del “oblast” di Kharkov c’era una netta prevalenza delle milizie delle repubbliche di Lugansk e Donetsk o, tutt’al più, di uomini della Guardia Nazionale russa.

Il punto centrale sembra essere che le capacità offensive di Mosca rimangono invariate, così come non si è fermato il rapido deterioramento delle riserve di uomini dell’Ucraina. Infatti, la retorica del trionfo a Kharkov è stata offuscata, almeno sui canali mediatici alternativi, dal numero enorme di vittime e feriti che hanno affollato gli ospedali ucraini. Tutto ciò non ha comunque evitato recriminazioni e polemiche nei confronti della leadership militare e politica russa, con le inevitabili richieste, alternativamente, di un repulisti tra gli alti ufficiali o di una mobilitazione generale per scatenare una guerra “vera” contro l’Ucraina.

Al di là dei nuovi equilibri sul campo, uno degli aspetti più gravi delle vicende di questi giorni è l’abbandono di fatto a loro stessi dei cittadini filo-russi delle località riconquistate dalle forze ucraine. Migliaia di persone sono riuscite a fuggire in Russia o nelle aree ancora sotto il controllo di Mosca, ma la maggior parte è rimasta esposta alla violenta rappresaglia dei neonazisti ucraini, come sempre nel silenzio di media e governi occidentali.

Sarà comunque da verificare se la reazione russa alla perdita di territorio nella provincia di Kharkov anticipa o meno un cambio di passo e, se così fosse, se riguarderà solo gli obiettivi da colpire oppure l’impegno in termini di uomini e mezzi. Il dilemma deve essere comunque scottante per il Cremlino, dove ormai non ci sono più dubbi sul fatto che la guerra in corso sia combattuta più contro la NATO che contro l’Ucraina. Come ha scritto questa settimana l’ex commissario ONU ed ex ufficiale dell’intelligence militare USA, Scott Ritter, “la Russia non sta più combattendo un esercito ucraino equipaggiato dalla NATO, ma un esercito NATO operato dagli ucraini”.

Sulla questione della possibile escalation militare russa si sta ugualmente discutendo in maniera accesa. Finora Putin è stato molto prudente nel gestire le manovre in Ucraina e, in effetti, l’impegno sul campo ha coinciso in larga misura con le direttive previste da quella che è stata dall’inizio denominata non come guerra ma come “operazione militare speciale”. Uno degli obiettivi principali del Cremlino era stato il tentativo di fare pressioni sufficienti sulla leadership ucraina, per mezzo soprattutto dei colpi mirati dell’artiglieria, per arrivare a un accordo secondo le condizioni dettate da Mosca. Poche settimane dopo l’inizio del conflitto, Zelensky e il suo entourage sembravano essere sul punto di acconsentire a una soluzione diplomatica, presentata durante i colloqui di Istanbul, ma l’intervento dell’Occidente per mezzo dell’allora premier britannico Boris Johnson aveva boicottato l’intesa e ordinato la prosecuzione della guerra.

La Russia potrebbe probabilmente seguire lo stesso copione, anche se con un’intensità maggiore. In poche ore e con una manciata di missili, Mosca ha infatti eliminato una buona parte delle capacità ucraine di generare energia elettrica, provocando blackout diffusi in molte aree del paese. Ancora una volta, Putin ha mandato un messaggio chiarissimo a Zelensky circa i rischi che corre il suo regime, da collegare al commento pubblico di qualche giorno fa nel quale il presidente russo aveva avvertito che il suo paese non aveva ancora “fatto nulla” né “perso nulla” nella guerra in corso.

Uno dei rischi a cui rischia di andare incontro la Russia in caso di escalation è una nuova intensificazione della propaganda occidentale per denunciare il comportamento di Mosca, sulla scia di quella del regime di Zelensky che è già tornato a bollare i russi come “terroristi” dopo gli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine. I bombardamenti contro obiettivi civili e la strategia deliberata per privare di energia elettrica e acqua le popolazioni del Donbass caratterizzano il regime ucraino fin dal 2014, ma l’indignazione occidentale è com’è noto estremamente selettiva. La battaglia delle “pubbliche relazioni” è ad ogni modo uno dei punti deboli della Russia e non c’è dubbio che anche questo fattore verrà tenuto in considerazione nello studio delle prossime mosse.

L’elemento chiave emerso in questi giorni è però il superamento definitivo del limite auto-imposto dalla NATO nel conflitto. Come ha confermato il New York Times, le informazioni di intelligence decisive per la controffensiva nel “oblast” di Kharkov, quindi anche quelle sulla localizzazione degli obiettivi russi, sono state fornite al regime ucraino dagli Stati Uniti. In discussione in sede NATO c’è anche la possibilità di fornire a Kiev armi più sofisticate e in grado di raggiungere in profondità il territorio russo.

Questa realtà implica ovviamente un rischio sempre più alto di un confronto diretto tra Russia e NATO. Rischio alimentato dal delirio delle classi dirigenti europee e americana, che vedono nella prudenza russa non tanto lo scrupolo per i civili o calcoli di politica interna, bensì un segnale di debolezza e di incapacità a reagire all’escalation di provocazioni. Un simile giudizio manca totalmente il bersaglio, né potrebbe essere altrimenti vista l’inettitudine dei “leader” occidentali, ma rischia di favorire un incidente che in qualsiasi momento potrebbe sfociare in un conflitto rovinoso.

Se i risultati ottenuti da Kiev in questi giorni saranno duraturi o se ci saranno ulteriori avanzamenti ai danni della Russia lo si vedrà forse nei prossimi giorni o nelle prossime settimane. Intanto, l’obiettivo di Zelensky era in primo luogo di sacrificare qualche altra migliaia di soldati per convincere i suoi sponsor a continuare a fornire altro denaro e altre armi o, più precisamente, a offrire ai governi occidentali una giustificazione per chiedere altri sacrifici alle proprie popolazioni messe a durissima prova dal carovita e dalla recessione in arrivo.

Le intenzioni della Russia sono difficili da leggere in questo momento, ma è ipotizzabile che, per una serie di fattori, non verrà decisa una mobilitazione massiccia di forze da inviare sul fronte ucraino, né tantomeno provvedimenti estremi come la coscrizione forzata o il ricorso a “limitati” attacchi con ordigni nucleari. La strategia bellica di Mosca si è accompagnata finora al logoramento economico dell’Europa, peraltro auto-inflitto tramite l’arma delle sanzioni. Il sistema russo ha al contrario retto meglio del previsto e un investimento massiccio in termini militari rischierebbe di rompere gli equilibri e destabilizzare il paese.

Con l’inverno alle porte, è possibile piuttosto che Putin intenda alzare solo in parte le pressioni su Kiev e l’Europa, lasciando che le politiche suicide decise a Bruxelles facciano il loro corso. A quel punto, a decidere il conflitto potrebbero essere, oltre alla superiorità militare di Mosca, il dilagare di proteste e rivolte in un’Europa costretta all’impoverimento di massa da una classe politica vergognosa e piegata in tutto e per tutto ai diktat di Washington.