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La caduta in mano russa della città di Soledar e la probabile prossima conquista di quella ancora più strategica di Bakhmut hanno mandato letteralmente in fibrillazione i governi NATO che partecipano alla guerra al fianco del regime ucraino. Il livello di disperazione raggiunto in Occidente è percepibile dalla frenesia con cui in questi giorni si stanno consumando discussioni e trattative per inviare in fretta a Kiev il maggior numero possibile di nuove armi ed equipaggiamenti bellici. Ovunque sembra esserci la sensazione di una svolta imminente nel conflitto, per molti in concomitanza con il lancio dell’attesa mega-offensiva russa. Le carte di Mosca restano però coperte e, nel frattempo, è lecito chiedersi quali siano le mosse che un Occidente in totale confusione sta preparando per affrontare il momento in cui la finzione di una guerra che l’Ucraina sarebbe sul punto di vincere crollerà definitivamente.

 

Uno dei temi all’ordine del giorno è quello dei carri armati da combattimento, che la Gran Bretagna ha ad esempio già liberato per la spedizione in Ucraina e la Germania sta invece valutando con cautela. Altre batterie di missili Patriot e mezzi da combattimento o per il trasporto di uomini sono anch’essi sulla lista della spesa di Zelensky, con i paesi NATO pronti a svenarsi militarmente e finanziariamente per sostenere la colossale operazione di pubbliche relazioni in atto dal febbraio scorso.

A credere che le nuove forniture di armi faranno la differenza sul campo sono con ogni probabilità in pochi. L’artiglieria russa continua a distruggere buona parte del materiale recapitato in Ucraina orientale ancora prima di venire utilizzato. Molti degli equipaggiamenti promessi o già approvati richiederanno inoltre mesi per essere effettivamente disponibili all’uso, per non parlare della necessità di addestrare i militari ucraini che dovranno manovrarli.

Se quindi il problema dell’efficacia delle armi che stanno arrivando o arriveranno in Ucraina è tutt’al più marginale dal punto di vista degli equilibri sul campo, la vera incognita sembra essere la strategia alla base delle decisioni NATO. Il blog Moon Of Alabama ha posto la questione in termini numerici. Basandosi sulle informazioni di dominio pubblico, in questi mesi di guerra la Russia ha annientato mezzi e uomini che equivalgono alla dotazione media di due eserciti di un paese delle dimensioni e delle potenzialità dell’Ucraina. In arrivo ci sarebbero ora mezzi per un “terzo esercito”, ma tutte le indicazioni suggeriscono che anche quest’ultimo farà la fine dei primi due.

A questo punto, la domanda da porre è cosa intenderà fare la NATO. Continuare a inviare armi da destinare al tritacarne russo assieme a ciò che resta dei coscritti ucraini? Le dichiarazioni ufficiali dei leader di governo occidentali, tutti pronti a sostenere Zelensky “fino a quando sarà necessario”, sembrano confermare questa ipotesi. Ma le parole non necessariamente corrispondono alle intenzioni reali, soprattutto se si considerano le conseguenze che provocheranno per l’Occidente i prossimi mesi di guerra.

Un altro blog indipendente – The Saker – prevede sostanzialmente due alternative nel momento in cui la Russia dovesse riuscire a sfondare in modo decisivo grazie all’offensiva in preparazione. La prima è che gli Stati Uniti e l’Europa scarichino in qualche modo il regime ucraino e battano in ritirata, come hanno fatto ad esempio in Afghanistan, probabilmente dopo avere messo in piedi una nuova operazione di propaganda che faccia apparire la sconfitta come una vittoria.

La seconda ipotesi, decisamente più allarmante, consiste invece in un impegno militare diretto delle forze NATO, dispiegate sul terreno in Ucraina per contrastare l’avanzata russa. Ciò che potrebbe accadere in conseguenza di ciò è facilmente immaginabile e le condizioni per evitare una conflagrazione rovinosa richiederebbero un livello di pragmatismo, lucidità e buon senso di cui tra la classe dirigente occidentale semplicemente non vi è traccia.

Dietro le apparenze, sostiene ancora The Saker, è in corso uno scontro all’interno delle élites occidentali sulle mosse da fare quando la quasi certamente inevitabile offensiva russa avrà luogo. Solo questo fatto “potrebbe essere una buona ragione perché il Cremlino ritardi le proprie azioni”. Dopo tutto, la conduzione della guerra da parte russa fa registrare il massimo dei danni per l’Ucraina e la NATO e il minimo delle perdite per Mosca. Oltretutto, conclude il post scritto questa settimana da The Saker, il temporeggiamento russo potrebbe consentire all’Occidente di meditare una via d’uscita per salvare la faccia e, soprattutto, che eviti il baratro di una guerra aperta. A questo proposito, il sito di informazione indipendente Naked Capitalism ha spiegato efficacemente che “uno degli scrupoli della Russia è di evitare una vittoria di dimensioni tali da mettere la NATO nel panico”, spingendola ad intraprendere “azioni disperate”.

Regolamento di conti a Kiev?

L’elicottero che trasportava il ministro dell’Interno ucraino, Denys Monastyrskyi, si è schiantato mercoledì su una scuola d’infanzia nella località di Brovary, un sobborgo di Kiev. Le vittime accertate sono almeno 17, tra cui lo stesso ministro, il suo vice e altri quattro funzionari del dicastero. I servizi di sicurezza ucraini (SBU) stanno indagando sulle cause dello schianto, senza escludere l’ipotesi del sabotaggio. I leader politici hanno invece lasciato intendere che si è trattato con ogni probabilità di un incidente o un di un guasto tecnico.

Svariate ipotesi circolano tuttavia in rete e, visto il grado corruzione all’interno del regime grazie soprattutto al flusso di armi e denaro dall’Occidente, è del tutto possibile che i fatti di mercoledì siano il risultato di una faida interna. Una possibilità sollevata da qualcuno è che il ministro dell’Interno e quello della Difesa fossero appunto ai ferri corti per via del traffico clandestino di materiale bellico proveniente da Europa e Stati Uniti.

Il clima nelle stanze del potere a Kiev deve essere comunque estremamente teso, come confermano anche le recenti dimissioni del consigliere del presidente, Oleksiy Arestovych. Quest’ultimo ha lasciato il suo incarico dopo avere commesso l’errore più grave per un membro del regime, cioè quello di dire la verità. Arestovych aveva affermato che a distruggere sabato scorso un edificio residenziale a Dnipro era stato un missile russo finito fuori rotta dopo essere stato colpito dalla contraerea ucraina. Qualsiasi affermazione che si discosti dalla versione ufficiale rischia di indebolire la propaganda che vuole quelle russe come operazioni deliberate contro obiettivi civili e, così, il consigliere di Zelensky è stato costretto a farsi da parte. Le dimissioni potrebbero tuttavia non essere il suo problema più grande, visto il trattamento riservato in Ucraina a chiunque mostri un atteggiamento ritenuto troppo tenero nei confronti di Mosca. Arestovych è infatti subito finito nella lista Myrotvorets dei nemici dell’Ucraina destinati a essere “liquidati”.

Le armi via Israele

Una nuova finta esclusiva sulla guerra in Ucraina è stata pubblicata questa settimana dal New York Times. Il giornale americano ha scritto che l’amministrazione Biden sta da qualche tempo inviando al regime di Zelensky armi e munizioni prelevate da un arsenale che gli Stati Uniti conservano in Israele. I soliti “anonimi funzionari” americani hanno spiegato che Tel Aviv ha dato la propria approvazione alla fornitura di 300 mila munizioni da 155 mm a Kiev, di cui la metà sarebbe già arrivata a destinazione.

La “rivelazione” conferma come gli Stati Uniti stiano raschiando il fondo del barile per sostenere lo sforzo bellico ucraino. Già qualche mese fa era circolata la notizia che Washington stava facendo pressioni sul governo sudcoreano per garantire munizioni al regime di Zelensky. Il Times spiega che i leader israeliani avevano inizialmente opposto resistenza alla richiesta USA, perché intendevano evitare di mettere a rischio i buoni rapporti intrattenuti con la Russia.

Un giornale come il New York Times non pubblica da decenni “rivelazioni” che non servano a veicolare messaggi dell’apparato di potere americano. In questo caso, è probabile che l’intenzione sia di mettere in imbarazzo il nuovo governo Netanyahu, la cui amicizia personale con Putin è ben nota, e convincerlo ad abbracciare a tutti gli effetti la causa anti-russa, nonché a desistere precocemente dal cercare di mediare una qualche soluzione diplomatica alla crisi ucraina.

Kissinger corregge il tiro

Il 99enne ex segretario di Stato ed ex consigliere per la Sicurezza Nazionale USA, nonché criminale di guerra a piede libero, Henry Kissinger, è stato uno dei protagonisti delle fasi di apertura del famigerato World Economic Forum (WEF) in corso questa settimana a Davos, in Svizzera. In un intervento nella giornata di martedì ha parzialmente modificato il suo punto di vista sulla guerra in Ucraina, dopo che nei mesi scorsi una proposta lanciata per risolvere la crisi aveva innescato un dibattito relativamente acceso, visto che Kissinger sosteneva ad esempio di garantire alla Russia il controllo della penisola di Crimea.

Kissinger, oltre ad ammettere di essere un ammiratore di Zelensky, ha detto di essersi ricreduto sull’opportunità dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Mentre in precedenza riteneva che ciò fosse da escludere, per le conseguenze della inevitabile reazione russa, ora vede come “appropriata” l’adesione del regime di Kiev al Patto Atlantico. In sostanza, ha spiegato Kissinger, la situazione si è evoluta in un modo tale che l’accettazione della candidatura dell’Ucraina non farebbe più alcuna differenza.

Le recenti dichiarazioni di Kissinger avranno un impatto nullo, così come lo avevano avuto quelle precedenti improntate a una certa moderazione. L’aspetto più triste della vicenda è però l’incapacità, dopo un secolo di vita, a comprendere le dinamiche globali odierne al di fuori della logica dell’eccezionalismo occidentale (americano). Ispirandosi come in tutta la sua carriera governativa al principio del divide et impera, Kissinger ripropone stancamente l’idea di una Russia che può essere sganciata dalla Cina attraverso il ricatto e riportata alla ragionevolezza una volta le venga mostrata, attraverso un mix di incentivi e minacce, la possibilità di rientrare nel consesso delle nazioni “civili”, ovvero quelle occidentali. Per quanti vedono ancora Kissinger come uno “statista” e per lui stesso, se gli sarà concesso di oltrepassare la soglia dei cento anni, il risveglio dal sonno delle illusioni dell’Impero in declino si preannuncia particolarmente brusco.