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Una nuova massiccia mobilitazione di lavoratori, studenti e pensionati ha confermato questa settimana l’avversione dilagante in Francia nei confronti non solo della “riforma” del sistema pensionistico voluta da Emmanuel Macron, ma dell’intera politica economica ultra-liberista del presidente, per non parlare del coinvolgimento di Parigi nel conflitto ucraino. Se non ci sono come al solito dati certi sulla partecipazione, non sembrano esserci dubbi che il numero dei francesi scesi nelle piazze di decine di città è stato ancora più alto rispetto allo sciopero generale del 19 gennaio scorso. Il governo appare comunque determinato a mandare in porto il provvedimento che innalzerà l’età pensionabile e gli anni di contributi necessari, ma gli equilibri in parlamento rimangono incerti e molto dipenderà dalla resistenza dei lavoratori nelle prossime settimane.

 

Praticamente tutti i sondaggi di opinione indicano una netta opposizione dei francesi alla “riforma” delle pensioni. Tra i due terzi e i tre quarti sono contrari al passaggio da 62 a 64 anni dell’età per accedere alla pensione e una quota leggermente inferiore respinge anche la proposta di portare a 43 anni gli anni di contributi. Questi dati riflettono il livello di adesione allo sciopero di martedì. Secondo la CGT, il principale sindacato francese, solo a Parigi sono scese nelle strade più di mezzo milione di persone, cioè 100 mila in più rispetto al 19 gennaio.

A Marsiglia si sono contati invece oltre 200 mila manifestanti, 80 mila a Tolosa, 65 mila a Nantes, 45 mila a Lione e decine di migliaia in altre città minori. In molti casi, le forze di polizia sono intervenute duramente e hanno messo in atto aperte provocazioni. Il primo ministro Elisabeth Borne aveva da parte sua mobilitato 11 mila agenti in tutta la Francia, tra cui 4 mila nella sola capitale.

Le misure che Macron e il suo governo vorrebbero imporre hanno un carattere marcatamente classista e, anche in un’ottica puramente di bilancio, non sono giustificate dalla realtà dei fatti. Quella che l’esecutivo francese ha definito una “riforma non negoziabile” è stata analizzata da una commissione indipendente che ha recentemente riferito in parlamento, sostenendo che la spesa pensionistica “non è fuori controllo”, bensì “relativamente contenuta”. A ciò va anche aggiunto il fatto che per alcune categorie di lavoratori le regole esistenti prevedono già il raggiungimento di un’età superiore ai 62 anni per avere la garanzia di un assegno pensionistico non decurtato.

È significativo inoltre che i tentativi del governo di ridurre l’impatto della contro-riforma, ad esempio sulle donne-madri o su coloro che hanno iniziato a lavorare da giovanissimi, non hanno dato risultati sul fronte del gradimento. Anzi, l’intensificarsi del dibattito pubblico sulla questione ha reso il provvedimento allo studio ancora più impopolare. Non solo, la crescente mobilitazione dei francesi si sta tramutando in un movimento di protesta contro l’intera agenda economica di Macron, oggettivamente orientata verso la difesa degli interessi delle classi privilegiate.

Nelle manifestazioni organizzate in occasione dello sciopero di martedì sono state frequenti le proteste anche contro il continuo invio di armi al regime di Zelensky. Macron ha talvolta espresso una certa cautela in relazione alla crisi ucraina, invitando i partner NATO a considerare le ragioni legate alla sicurezza della Russia. La Francia è tuttavia in prima fila tra i paesi occidentali a fornire equipaggiamenti militari a Kiev, tanto che qualche giorno fa Macron aveva addirittura aperto all’ipotesi di consegnare aerei da guerra all’Ucraina.

La questione delle armi incontra l’opposizione della maggioranza dei francesi sia per il rischio di scatenare un conflitto nucleare con la Russia sia per ragioni di carattere economico. Il governo di Parigi ha istituito un fondo da oltre 200 milioni di euro da cui attingere per gli armamenti da destinare all’Ucraina. Proprio questa settimana, in concomitanza con il secondo sciopero generale in meno di due settimane, il Ministero della Difesa ha annunciato il trasferimento a Kiev di un’altra dozzina di cannoni semoventi “CAESAR”.

A rivelare le priorità di Macron non è solo l’assistenza militare al regime di Zelensky, ma anche il fortissimo impulso alla militarizzazione dato dall’Eliseo, sull’onda di quanto sta peraltro accadendo in Germania e in altri paesi occidentali. Un paio di settimane fa, in un discorso tenuto in una base dell’aeronautica militare francese, Macron aveva presentato un bilancio “di guerra” per le forze armate, pari a 400 miliardi di euro per il periodo 2024-2030.

Mentre la “riforma” pensionistica minaccia di costringere milioni di lavoratori a basso reddito a restare al loro posto per almeno due anni in più in cambio di un assegno inadeguato, Macron intende lanciare un costosissimo piano di riarmo che, se approvato, rappresenterebbe un aumento del 35% delle spese militari rispetto alla quota già più che consistente del bilancio 2019-2025.

Mettere mano alle pensioni in Francia è notoriamente un affare molto rischioso e lo stesso Macron, nel corso del primo mandato all’Eliseo, ha potuto toccare con mano il grado di resistenza dei lavoratori del suo paese. Già nell’inverno 2019-2020 era in discussione un intervento per alzare l’età pensionabile e, per tutta risposta, la Francia andò incontro all’ondata di scioperi più massiccia dal 1968. Gli eventi successivi legati alla pandemia avrebbero poi convinto il presidente a mettere momentaneamente da parte il progetto, ma nella campagna elettorale dello scorso anno la “riforma” delle pensioni era uno dei punti centrali del suo programma.

Il successo di Macron era stato però tutt’altro che convincente e la scelta del presidente in carica era apparsa alla maggioranza dei votanti come il male minore davanti alla possibilità che Marine Le Pen entrasse all’Eliseo. Macron non ha insomma nessun mandato elettorale per ribaltare il sistema pensionistico francese, tanto meno alla luce degli equilibri parlamentari. Il suo partito “Renaissance” e altre formazioni minori alleate non erano state infatti in grado di raggiungere la maggioranza nelle successive elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale e proprio la frammentazione che oggi caratterizza quest’ultima mette a rischio l’approvazione della “riforma”.

In teoria, i seggi dei “macronisti” e dei gollisti di “Les Républicains” (LR), anch’essi di principio favorevoli alla modifica in peggio dei parametri pensionistici, sarebbero sufficienti a garantire il passaggio del provvedimento che arriverà in aula lunedì prossimo. Le variabili sono però parecchie. All’interno del partito di Macron, di per sé un’accozzaglia di opportunisti di vari orientamenti, ci sono elementi contrari alla “riforma”, così come tra i gollisti non pochi si sentono a disagio nel fornire appoggio al presidente per ottenere un successo politico cruciale. Complessivamente, il blocco “Renaissance”-LR può permettersi un massimo di 22 defezioni per evitare l’affondamento della legge.

Le trattative saranno frenetiche nei prossimi giorni e molto dipenderà, oltre che dal persistere di scioperi e manifestazioni, da quali e quanti emendamenti il governo deciderà di discutere o approvare. Macron e la premier Borne, almeno in apparenza, sembrano però decisi a non accettare modifiche sostanziali alla “riforma” e, infatti, già si parla di un possibile ricorso all’articolo 47.1 della Costituzione francese, che consente di limitare drasticamente i tempi di discussione di una determinata legge.

Se poi i numeri dovessero essere sfavorevoli al presidente, non è escluso che Macron possa ordinare nuovamente l’interruzione pura e semplice dell’iter parlamentare e forzare l’approvazione del disegno di legge sulle pensioni. Questa manovra anti-democratica è stabilità dall’articolo 49.3 della Costituzione francese, che permette appunto di bypassare l’Assemblea Nazionale e inviare il provvedimento in questione direttamente al Senato. La Camera bassa ha facoltà di fermare il processo solo con un voto di sfiducia che, se approvato, determina la caduta del governo e fa scattare nuove elezioni.

Quest’ultima ipotesi è decisamente poco probabile, se non altro perché l’opposizione di sinistra, centro-sinistra ed estrema destra, anche se dovesse convergere sulla sfiducia al governo Borne, difficilmente intercetterà voti tra macronisti e gollisti. I deputati del partito del presidente, anche se in piccola parte contrari alla contro-riforma delle pensioni, con un voto contro il governo finirebbero con ogni probabilità per essere esclusi dalle liste elettorali nel voto anticipato che ne seguirebbe.

Il governo della premier Borne è comunque già ricorso ben 10 volte all’articolo 49.3 a partire dal suo insediamento nel maggio scorso. Le leggi in tutti questi casi non erano comunque così controverse come quella sul sistema pensionistico. In ogni caso, le scelte di Macron e dell’esecutivo misureranno la forza di entrambi davanti all’opposizione dei lavoratori francesi. Un nuovo passo indietro rappresenterebbe una sconfitta pensatissima e metterebbe in una situazione di estrema debolezza il presidente a meno di un anno dall’inizio del suo secondo mandato.

Se l’Eliseo dovesse invece ottenere l’approvazione della “riforma” o, ancora peggio, decidere di forzare la mano impedendo il dibattito in aula, le tensioni nel paese andrebbero alle stelle. Determinante potrebbe essere perciò il ruolo dei sindacati. Per il momento l’appoggio a scioperi e proteste è condiviso praticamente da tutte le sigle, ma l’allineamento tra sindacati e lavoratori è, in Francia come altrove, solo apparente. Con l’intensificarsi dello scontro, le organizzazioni sindacali potrebbero decidere di aprire una trattativa con il governo per allentare le tensioni ed evitare l’esplosione di una crisi sociale in un frangente delicatissimo. Il tutto, come sempre, sulla pelle di lavoratori e pensionati.