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da voltairenet.org

Prosegue l’escalation della tensione tra potenze atlantiche ansiose di controllare le ultime riserve di idrocarburi e la Repubblica islamica d’Iran. Sotto pressione britannica, i membri permanenti del Consiglio di sicurezza hanno concordato di ridefinire le relazioni tra l’Agenzia internazionale per l’energia atomica e l’Onu. Questo compromesso dovrebbe facilitare il compito ai sostenitori del confronto armato, tuttavia la Russia e la Cina cercano di guadagnar tempo. In effetti, Vladimir Putin sta per svelare un progetto di grande portata che risolverebbe definitivamente il problema della proliferazione nucleare, fermo restando il diritto legittimo di ogni nazione di disporre dell’energia atomica per scopi civili. Il confronto tra grandi potenze a proposito dell’Iran continua a colpi di fioretto. Dal dicembre del 2002, gli Stati Uniti accusano l’Iran di tentare di dotarsi dell’arma atomica violando il Trattato di non-proliferazione nucleare (TNP). Tentano di ottenere una decisa condanna dell’Iran da parte del Consiglio di sicurezza, fatto che essi interpreterebbero come una firma in bianco che permetterebbe loro di attaccare la Repubblica islamica.
La confisca di Washington dell’Iran significherebbe il controllo militare della sponda Est del Golfo e della riva Sud del mar Caspio, delle loro riserve petrolifere e di gas, stimate entrambe al secondo posto nel mondo Già da tempo, gli Stati Uniti hanno il controllo militare di una parte del bacino del mar Caspio e del corridoio che permette di collegarlo all’oceano Indiano (Afghanistan, Pakistan). Hanno anche il controllo della parte essenziale del Golfo (Arabia Saudita, Iraq). Alla fine di questa operazione, Washington dovrebbe quindi essere il padrone delle principali zone di sfruttamento attuale degli idrocarburi e delle principali riserve che restano da sfruttare. L’economia mondiale sarebbe nelle sue mani e questo potere non sarebbe condiviso con nessuno.

Allo stato attuale del conflitto, le grandi potenze, di fronte alle accuse statunitensi, sono divise. Il Regno Unito, la Francia e la Germania sono convinti dell’esistenza di un progetto nucleare militare iraniano. Si basano su rapporti dei servizi segreti statunitensi. In alcuni documenti confidenziali, essi dichiarano che Teheran lavora a un Green Salt Project mirante a sviluppare un lanciamissili e delle testate di missili nucleari. Al contrario, la Russia, la Cina e l’India considerano che il programma nucleare iraniano è esclusivamente civile . Si basano sulla Fatwa pronunciata dalla Guida Suprema, l’ayatollah Ali-Hosseini Khamenei, che condanna la costruzione, la detenzione e l’uso della bomba atomica come contrari all’etica islamica.
Oggettivamente, la distinzione del TNP tra nucleare civile autorizzato e nucleare militare proibito non è più pertinente allo stato attuale dello sviluppo tecnico. Le conoscenze (know-how) e le istallazioni civili possono rapidamente essere convertite nell’uso militare. Una lettura rigida del TNP porterebbe a proibire a qualsiasi stato di dotarsi di un’industria nucleare civile, mentre una lettura lassista del trattato aprirebbe la porta ad una proliferazione generalizzata. Dal momento che non è stato ancora risolto questo dibattito, è impossibile decidere serenamente il caso iraniano, ed è proprio questa incertezza che intendono sfruttare gli Stati Uniti per giungere alla guerra.

Tuttavia, esiste forse un modo per chiarire la situazione. Una tecnica particolare di arricchimento dell’uranio, fin’ora non ancora completamente padroneggiata, permetterebbe di distinguere di nuovo l’uso civile da quello militare. La Russia si è sforzata di metterla a punto e quindi si propone di farne beneficiare non solo l’Iran, ma l’intera comunità internazionale. Questa dovrebbe essere una delle tre grandi proposte del presidente Putin nel corso del vertice del G8 che egli presiederà la prossima estate a San Pietroburgo.
La fattibilità di questo progetto deve ancora essere dimostrata. La Russia produrrebbe il combustibile nucleare sul suo territorio in fabbriche costruite assieme agli stati beneficiari e sotto il controllo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). Restano da stendere protocolli dettagliati per garantire gli interessi dei diversi protagonisti. Se questo progetto andasse a buon fine, l’insieme delle relazioni internazionali ne sarebbero sconvolto. In questo modo la Russia, offrendo la sicurezza energetica al mondo, eclisserebbe l’autorità degli Stati Uniti che soddisfano la propria sicurezza energetica a detrimento del resto del mondo.

L’Iran ha dato grande rilievo alla sua ambizione nucleare civile, fino a farne il simbolo della propria indipendenza di fronte al colonialismo anglosassone di cui ha tanto sofferto. Contrariamente ad un’idea a lungo diffusa nella stampa atlantica, questa ambizione non riguarda solo una fazione del potere iraniano, ma è condivisa da tutta la società. Inoltre, se la Repubblica islamica ha abbandonato il sogno dell’espansione della rivoluzione Komeinista, intende tuttavia svolgere un ruolo di motore nel movimento dei paesi non-allineati, il quale sta attualmente riprendendo vigore. Per cui essa intende condividere con altri ciò che rivendica anche per sé e far trionfare il diritto a un’industria nucleare civile non solo per se stessa, ma per tutti.
Il gioco diplomatico in corso, ben lungi dal vertere sulla sola questione dell’avvenire dell’Iran, gira intorno all’equilibrio internazionale e la pretesa statunitense, riaffermata ieri nel discorso sullo stato dell’Unione, di assumere da soli la leadership mondiale.

Per tutto il corso degli anni 2004-2005, i diversi protagonisti hanno moltiplicato le manovre. Si presumeva che una troika europea (Francia, Regno Unito e Germania) prestasse i suoi buoni uffici tra Washington e Teheran; questa troika chiese agli iraniani di congelare la situazione per poi pendere nettamente dalla parte statunitense. L’Iran, dopo aver accettato una moratoria di due anni e mezzo sulle sue ricerche, le ha riprese il 10 gennaio 2006, considerando che aveva aspettato abbastanza per mostrare la sua buona volontà mentre invece gli europei non avevano fatto nessuna proposta seria. La posizione russa era diventata incomprensibile, dal momento che il ministro degli Esteri lasciava intendere che si sarebbe schierato sulla posizione dei suoi omologhi occidentali, prima di farsi rimbeccare pubblicamente dal presidente Putin il quale sottolineò il proprio attaccamento a una soluzione pacifica. Infine, nelle ultime settimane, numerosi viaggi diplomatici hanno permesso ai dirigenti russi, cinesi e iraniani di elaborare una strategia comune.

Questo dossier ha conosciuto una brutale accelerazione con l’organizzazione da parte del Regno Unito, il 30 gennaio 2006, di una «cena ministeriale privata», che riuniva intorno ad un tavolo i ministri degli Esteri britannico, francese, tedesco, russo, statunitense e cinese. Nel corso della riunione, il britannico Jack Straw ha proposto che l’AIEA porti la faccenda davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, prima tappa sulla via della guerra. I suoi omologhi russo e cinese hanno fatto valere che una tale decisione non aveva allo stato dei fatti nessuna base giuridica. Fiduciosa nella fattibilità del suo progetto di arricchimento dell’uranio, la Federazione Russa desiderava solo «guadagnar tempo» quanto era necessario per mettere a punto un protocollo con l’Iran, uno o due mesi, secondo gli esperti. I convitati hanno concluso la cena definendo un’agenda che ogni parte interpreta come una vittoria: la settimana prossima, il Consiglio dei governatori dell’AIEA non trasmetterà il dossier iraniano al Consiglio di sicurezza dato che non ne ha il potere, ma gli consegnerà un rapporto chiedendo che siano adottate misure che rafforzino la sua autorità in modo che possa farlo in avvenire.

Questo compromesso permette agli Stati-Uno-Europei di mantenere la pressione e ai Russo-Cinesi di guadagnar tempo. Sapere chi ha vinto quella sera dipende dall’idea che ci si fa di un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.
In pratica, supponendo che il Consiglio di sicurezza dia al Consiglio dei governatori dell’AIEA il potere di prendere in mano la situazione, quest’ultima non potrebbe mettere in moto tale potere prima della sua prossima riunione, vale a dire il 9 marzo.
Gli iraniani hanno finto di essere risentiti da questo mercanteggiamento come se esso rappresentasse un possibile abbandono da parte dei loro amici russi. Potrebbe darsi tuttavia che essi abbiano ottenuto per iscritto l’assicurazione che la Federazione Russa opporrebbe il veto al Consiglio di sicurezza nel caso di una risoluzione che autorizzasse la guerra.
Comunque stiano le cose, gli iraniani si sono affrettati a chiamare a raccolta i loro amici del movimento dei non allineati. Il presidente Mahmud Amahdinejad ha ottenuto con una telefonata il sostegno del suo omologo sudafricano Thabo Mbeki (l’Africa del Sud, che aveva costruito la bomba atomica insieme a Israele quando c’era il regime di apartheid, vi ha rinunciato da allora). L’Indonesia ha moltiplicato gli inviti alla calma, mentre il Venezuela e la Malesia si preparano a ricevere il presidente iraniano.

Simultaneamente, l’Iran prepara «un mondo senza Israele, né gli Stati Uniti». Teheran spera con ottimismo di mettere in piedi una borsa petrolifera che rifiuti il dollaro. Questa borsa funziona già in modo sperimentale. Se nessuno stato ha ancora ufficialmente annunciato che vi parteciperebbe, molti incoraggeranno delle società intermediarie ad aderirvi. Ora, il dollaro è una moneta supervalutata che essenzialmente si mantiene perché è la moneta delle transazioni petrolifere.Una simile borsa, se funzionasse veramente, anche se trattasse solo un decimo del mercato petrolifero, provocherebbe un crollo del dollaro paragonabile a quello del 1939. La potenza statunitense sarebbe spazzata via dalla svalutazione, e dopo poco anche Israele andrebbe in fallimento.
Washington si trova dunque nell’obbligo di mettere in gioco tutto il suo peso sugli attori economici internazionali perché rompano con Teheran. In mancanza della guerra, gli Stati Uniti devono per lo meno riuscire ad imporre un isolamento economico dell’Iran. Paradossalmente, nessuna di queste due opzioni sembra possibile. L’aviazione Usa e Tsahal non possono ragionevolmente bombardare i siti nucleari iraniani, perché questi sono mantenuti da consiglieri e tecnici russi. Colpire l’Iran equivarrebbe a dichiarare la guerra anche alla Russia. Del resto, se dei bombardamenti fossero possibili, l’Iran non mancherebbe di rispondere colpendo Israele con i devastanti missili Thor M-1 che la Russia gli ha venduto. E gli sciiti d’Iraq renderebbero alle forze di occupazione la vita ancora più dura. Nel caso in cui gli Stati Uniti preferissero ricorrere al blocco economico, l’Iran lo aggirerebbe grazie al suo accordo privilegiato con la China. Tuttavia esso priverebbe «l’Occidente» di una parte delle sue forniture di petrolio, provocando un aumento del 300% del corso del barile e una vasta crisi economica.
In definitiva, il risultato di questa prova di forza dipende dalla capacità di ognuno dei protagonisti di adattare il proprio calendario a quello degli altri. Mentre l’amministrazione Bush spinge con testardaggine verso un confronto che non ha i mezzi di sostenere e nel quale rischia di perdere la sua autorità.