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di Nena news

Ramallah. Tutto pronto a Washington dove il presidente Usa Barack Obama, il leader palestinese Abu Mazen e il premier israeliano Benyamin Netanyahu oggi alle 16,00 ora italiana daranno inizio a colloqui che, nelle intenzioni americane, dovranno portare ad un accordo tra le due parti entro un anno. Tuttavia un profondo scetticismo circonda le trattative.

In casa palestinese non si ha alcuna fiducia in Netanyahu e si teme che Abu Mazen, sotto le pressioni americane, accetti una soluzione che porti alla nascita di uno Stato palestinese senza sovranità reale e alla rinuncia di diritti sanciti dalle risoluzioni internazionali, come quello al ritorno nella terra d’origine per i profughi palestinesi.

Molto attive nella protesta contro la ripresa delle trattative sono le forze della sinistra palestinese. Centinaia di attivisti del Fronte popolare e del Fronte Democratico hanno manifestato ieri nelle strade di Ramallah, coinvolgendo militanti e simpatizzanti di altre fazioni politiche, inclusi quelli di Fatah, il partito di Abu Mazen, che dissentono dalla decisione presa dalla leadership dell’Anp.

«Gran parte dei palestinesi contestano queste trattative – spiega a Nena News la deputata del Fronte popolare Khalida Jarrar - è stato un gravissimo errore accettare questi colloqui senza fare dei riferimenti precisi alle risoluzioni dell’Onu e ottenere garanzie internazionali riguardo la fine della colonizzazione israeliana dei nostri territori». Secondo Khalida Jarrar «Abu Mazen e altri esponenti palestinesi non hanno imparato dagli errori del passato». Israele, afferma la parlamentare, «ha usato le trattative, dal 1991 a oggi, per attuare la sua politica di colonizzazione e di aggressione quotidiana verso il popolo palestinese, con il consenso aperto degli Stati Uniti e quello tacito di molti governi». L’unica soluzione possibile per il conflitto israelo-palestinese, dice Jarrar, «è fare riferimento alle risoluzioni dell’Onu e alla legalità internazionale».

Altri esponenti dell’opposizione accusano Abu Mazen di aver costruito le basi per una nuova campagna internazionale di accuse contro i palestinesi. Nessun leader politico palestinese, spiegano, può accettare le condizioni che Israele pone per consentire la nascita dello Stato di Palestina. Pertanto, quando il negoziato arriverà ad un punto morto, gli Stati Uniti e altri paesi daranno la colpa del fallimento ai palestinesi.
Partiti e gruppi dell’opposizione laica palestinese hanno creato una «commissione nazionale» incaricata di organizzare le prossime manifestazioni di protesta, se l’Anp ne permetterà lo svolgimento. Nei giorni scorsi, sempre a Ramallah, i servizi segreti agli ordini di Abu Mazen sono intervenuti per sciogliere con la forza un convegno organizzato dalla sinistra palestinese contro la ripresa dei negoziati diretti con Israele.

Ma la protesta non e’ circoscritta solo alla sinistra palestinese e al movimento islamico Hamas, che nelle ultime due ore, con agguati compiuti in Cisgiordania dal suo braccio armato contri i coloni, ha espresso in modo inequivocabile il suo giudizio dei negoziati. Il dissenso e’ forte anche in Fatah, il partito di Abu Mazen e spina dorsale dell’Autorita’ nazionale palestinese. «I negoziati sono destinati al fallimento», ha detto Marwan Barghouthi, il leader piu’ popolare di Fatah, in prigione in Israele dal 2002, in un’intervista al giornale arabo ‘al-Hayat’. “In linea di principio non sono contrario alle trattative (con Israele) – ha spiegato Barghuti – ma i palestinesi in questo caso le hanno accettate solo in seguito a pressioni esterne”.

In particolare, ha aggiunto, «Abu Mazen ha ripreso i colloqui per le pressioni dei paesi arabi,  non perché sia convinto della concretezza dell’iniziativa». «Queste trattative falliranno, così come è avvenuto in passato, perche’ Israele non ha intenzione di arrivare alla pace e non rispetterà gli impegni», ha concluso il leader di Fatah.