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di Miriam Giannantina

Damasco. Verso le 10 di mattina sentiamo un’esplosione. Il rumore non é fortissimo ma abbastanza chiaro. Ci precipitiamo sul tetto della nostra casa in città vecchia. Dopo pochi minuti una nuova esplosione seguita da spari di armi da fuoco. Si vede del fumo bianco provenire dal centro della città moderna, direzione Kafar Souseh. Ci sono altre persone affacciate alle finestre e ai balconi delle case circostanti. Nella piazza vicino casa si nota un crocicchio di 5 uomini con giacca di pelle scura e pantaloni neri, la divisa inconfondibile degli uomini del mokhabarat, i servizi di sicurezza.

Per paura di essere notati, i curiosi rientrano nelle case. Iniziano ad arrivare le prime notizie sulla TV siriana. Stessa breaking news su Syria News, il canale di stato, su Dunia, il canale satellitare di Rami Makhlouf, cugino del presidente. Parlano di due attacchi terroristici, due esplosioni che hanno colpito il quartier generale della sicurezza nazionale (Ahm Dawlia) e una branca della stessa sicurezza nazionale poco distante e, dopo appena qualche minuto, già attribuiscono la responsabilità degli attentati ad Al Qaeda. Più tardi specificheranno che due giorni prima erano giunte avvisi di infiltrazioni di Al Qaeda dal Libano.

La TV statale mostra immagini raccapriccianti di corpi divelti, pezzi di cervello, braccia e gambe, afferma che ci sono vittime civili ma non fornisce numeri. Usciamo per strada in città vecchia, è venerdi, quasi tutti i negozi sono chiusi, pochissime persone per strada, atmosfera più cupa del solito ma la vita continua a scorrere. Ormai sono rimasti pochissimi stranieri in città, si viene identificati facilmente. Nel pomeriggio la TV parla di 35 persone, 10 agenti della sicurezza e 25 civili, uccisi dall’esplosione di due autobombe, e di varie decine di feriti. Un servizio mostra il viceministro degli esteri siriano accompagnato dal capo della prima delegazione di osservatori della Lega araba che si recano sul luogo degli attentati. I primi osservatori, incaricati di preparare l’arrivo del resto della missione come prevede il protocollo siglato tra la Siria e la lega araba, sono giunti a Damasco giovedi ed i restanti osservatori si attendono entro la fine del mese. In serata il numero delle vittime salirà a 44 ed un centinaio di feriti.

Circolano molte domande sulla tempistica - proprio il giorno dopo l’arrivo dei primi osservatori della lega araba - e le modalità degli attentati. Ahmad, un oppositore, afferma subito che gli attentati sono stati organizzati dallo stesso regime per mostrare alla Lega Araba l’azione di bande di terroristi, e così provare la propria tesi sostenuta dall’inizio della rivolta. “Ci sono tanti punti oscuri” afferma Ahmad “perchè è salito solo fumo bianco se l’esplosione ha carbonizzato corpi e distrutto macchine? Perché gli spari dopo l’esplosione e tra chi? Il numero delle vittime è alto se si pensa che solitamente di venerdi mattina in quella zona della città, sede di molti uffici, non c’é molto traffico.

Al Qaida non ha una storia di intervento in Siria”, Ahmad non esclude le ipotesi più terribili, ad esempio che le vittime siano state forzosamente “concentrate” nel luogo dell’esplosione o che si tratti addirittura di cadaveri di oppositori. “Per questo regime le vite umane non contano, può sacrificarne decine anche dalle proprie fila” continua Ahmad. Riad Assad, il comandante dell’Esercito Libero Siriano basato in Turchia, condanna gli attentati e ne attribuisce la responsabilità al regime. “Noi non abbiamo questa capacità e interveniamo a difesa dei manifestanti” dichiara ad Al-jazeera.

Nella tarda mattinata inziano a comparire sulle TV panarabe Al-jazeera e Al-arabya, come ogni venerdì da oltre 10 mesi ormai, le immagini delle manifestazioni contro il regime riprese dai mediattivisti dell’opposizione. Questo venerdì è stato intolato dagli oppositori “il Protocollo (della Lega Araba n.d.r.) ci uccide”, secondo i quali il protocollo della Lega Araba firmato dalla Siria (dopo aver ottenuto alcune modifiche) ha solo l’obiettivo di far guadagnare tempo al regime che continua la repressione. “Prima c’erano 20 vittime al giorno, dopo il protocollo sono 100” c’è scritto su uno striscione di una manifestazione ad Homs, roccaforte delle proteste. Burhan Ghalioun, presidente del Consiglio Nazionale Siriano, raggruppamento dell’opposizione basato all’estero, ha affermato che il regime sta recitando e ha richiesto l’intervento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per proteggere i civili. Sono almeno 20 le vittime civili della repressione delle manifestazioni di venerdì secondo gli attivisti.

Gli attentati di Damasco - primi di questo tipo negli oltre 10 mesi di rivolta in Siria - potrebbero segnare un pericoloso salto di qualità nella crisi siriana, incamminata verso un futuro incerto e fosco. Tornano in mente le parole ascoltate la scorsa estate da un diplomatico occidentale di lungo corso in Siria “non sono ancora ricorsi ad attentati terroristici e bombe come in Iraq” ed un mese fa da un giornalista che, dopo un’intervista con i rappresentanti dell’esercito libero siriano, riferiva di evoluzioni importanti prima di Natale. Ahmad, di nuovo, ha pochi dubbi sul futuro: “Tra qualche mese qui in Siria sarà come in Libia”.

fonte: Nena news