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di The New York Times

Abu Ghraib, l’infame prigione di Baghdad adesso è vuota. La sua chiusura, invocata per il timore di possibili attacchi dei ribelli Sunniti, insieme con il trasferimento dei suoi 2400 prigionieri, è stata annunciata la scorsa settimana dal governo iracheno, che ha ripreso il controllo della struttura nel 2006. Né la chiusura della prigione nè il trascorrere del tempo potranno cancellare la macchia causata dagli abusi ai detenuti da parte dei soldati USA, degli ufficiali dell’intelligence militare ed delle compagnie private durante l’occupazione americana.



Un nuovo decreto da parte della Corte d’Appello del quarto distretto degli Stati Uniti D’America, potrà determinare se le vittime di Abu Ghraib, potranno finalmente svelare le loro storie in un tribunale. Discusso il mese scorso, questo appello cerca di ripristinare il procedimento per danni civili, promosso dal Centro per i Diritti Costituzionali contro un Contractor (compagnia privata appaltata, si potrebbe anche definire, ndr) in nome di 4 iracheni, soggetti, secondo la loro testimonianza, ad elettrochoc, violenze sessuali, obbligo di rimanere nudi ed altri abusi alla loro persona.

La causa è stata rilanciata dal Magistrato della Corte Distrettuale dopo una breve lettura del recente procedimento della Corte Suprema che ha considerato lo Statuto degli Illeciti Civili sugli stranieri.

Il procedimento non entra nel merito né della parte civile che accusa, né della difesa del contractor privato. Come se non bastasse, il tribunale ha accettato la richiesta bizzarra della Compagnia straniera sotto accusa di addebitare i costi processuali alla parte civile.

Il quarto distretto, dunque, avrebbe negato il processo a queste vittime e, se questa richiesta di risarcimento non verrà cambiata e potrebbe scoraggiare altri, con risorse economiche limitate, ad intentare qualsiasi causa legale. Questo pone anche un altro drammatico precedente: impedire a tribunali americani di giudicare casi di torture ed abusi accaduti all’estero ma con forti legami con gli Stati Uniti.

Sono passati dieci anni dallo scandalo di Abu Ghraib trasmesso per primo dal canale di notizie CBS, che mostrava foto agghiaccianti di soldati americani mentre abusavano fisicamente dei detenuti.
L’anniversario sottolinea due aspetti importanti: il primo rispetto allo stesso metodo di tortura, il secondo riguardo il terribile fallimento del Governo nel dare giustizia per le vittime.

Il Dipartimento di Giustizia, sia sotto George W. Bush che sotto Obama, ha mostrato scarso interesse nel ricercare i colpevoli. Soltanto alcuni soldati, di scarso livello, sono stati condannati alla prigione, per esempio Lynndie England e Charles Graner Jr., che molti ricorderanno in posa sorridenti dietro ad una piramide umana di iracheni nudi. Nessun alto ufficiale è mai stato condannato, al massimo un ammonimento o la perdita di qualche grado militare. Nessuna offerta di riparazione da parte del Governo stesso, per coloro che hanno subito questi abusi.

Il Presidente Bush etichettò velocemente lo show dell’orrore di Abu Ghraib come l’opera di alcune mele marce, ma risulta evidente qui come altrove che il problema degli abusi era qualcosa di ben organizzato. Arriva da una cultura di permissività nel trattamento dei detenuti, incoraggiati dai più altri funzionari dell’Amministrazione Bush, basato sulla totale mancanza di rispetto nei vecchi divieti contro la tortura ed altri maltrattamenti.

Non ci sono state accuse penali verso i contractor privati, malamente addestrati e senza nessun tipo di supervisione. Contractor impiegati dal Governo per condurre gli interrogatori ad Abu Ghraib, nonostante un Rapporto Militare del 2004 che sottolineava come nel contratto di queste compagnie si incoraggiava a indebolire i prigionieri privandoli del sonno o con tecniche dolorose.

 

Solo un contractor ha dovuto risarcire $5.28 milioni in un caso separato nel Maryland, portato avanti da 71 detenuti, in cui si è provato la complicità dei membri della Compagnia di Sicurezza appaltata. La somma, una volta divisa tra loro, è ancora una compensazione inadeguata, considerato le pene inflitte ed il dolore provato, ma comunque meglio di niente. Un decreto corretto da parte del quarto Distretto, nell’attuale caso in Virginia, potrebbe dare a qualche altra vittima un po’ di giustizia, pur se molto in ritardo.