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La vittoria elettorale della Todde in Sardegna è una splendida notizia per la Sardegna che non dovrà più avere un fascista insopportabile come Truzzu al comando (castigato con un distacco in meno di 20 punti sulla Todde soprattutto da Cagliari, la città dove è sindaco e che quindi lo conosce) ed è un’importante dato di valore nazionale per l’esperimento politico del “campo largo” fondato sull’antifascismo. L’egocentrico Soru ha provato a fare il Bertinotti riveduto, ma non è riuscito nell’impresa di vendicarsi del centrosinistra facendo vincere la destra.

Soprattutto la vittoria della Todde è una novità politica, dato che l’ultima regione passata dal centrodestra al centrosinistra era stata la Campania nel 2015. Quella sarda è un’autentica sberla alla Meloni e al suo governicchio di impresentabili. La sberla alla Meloni risponde all’arroganza con la quale la ducetta aveva imposto la candidatura del suo camerata di gioventù, ribadendo come a lei, e lei sola, spetta il comando sulle scelte dell’intera destra italiana in tutte le sue sfaccettature.

 

L’idea meloniana di marcare il territorio candidando un fascista, suo camerata dai tempi del Campo Hobbit, si è rivelata un azzardo perso. Ha voluto forzare ulteriormente a destra l’identità della coalizione ma ha prodotto il risultato opposto. A Cagliari, dove si era recata a sostenere il suo candidato,  la Meloni si era prodotta in uno show da cabarettista di serie C: pensando di trovarsi al pub con i camerati aveva ironizzato sull’identità antifascista rivendicata dalla Todde. Adesso magari sarà meno ridanciana. Proprio in nome dell’antifascismo, infatti, la Todde ha mobilitato gli elettori ormai da anni divenuti spettatori e, dovendo per forza contare il 9 per cento della lista Soru, la vittoria del centrosinistra si fa rotonda, oltre il 54%.

A destra, ovviamente, si tenta di minimizzare; se avesse vinto avrebbero parlato di “onda lunga”, avendo perso cercano di ridurre il peso della sconfitta. Ma lo spiazzamento è forte e la tristezza abbonda. Stando ai sondaggi pilotati di questi mesi, sembrava che da sola la Meloni e il suo FdI fossero quasi al 43% dei voti. Poi però si vota e il sogno finisce.

Il voto sardo verrà ora trasformato in un paradigma: c’è chi vorrà indicarlo (giustamente) come la conferma che la destra vince solo se il centrosinistra corre separato, e c’è chi, a destra, intende sottovalutarne il valore, argomentando che fosse un test riguardante una sola Regione, con 1600.000 elettori e dove il diritto di voto è stato esercitato dal 52,4% degli stessi. Però se si usa questo ragionamento, allora vale anche per la vittoria della Meloni del settembre 2022, quando votò solo il 46% degli aventi diritto e la Meloni ottenne solo il 26% dei voti. E’ bene ricordare che la sua presenza a Palazzo Chigi è solo in virtù della legge elettorale suicida (Rosatellum) voluta dai sodali di Renzi: la ducetta, numeri alla mano, è stata votata da circa il 13% dell’elettorato, non proprio un plebiscito, anche se spaccia la sua vittoria come un’investitura popolare assoluta a lei e famigli.

Questo voto avrà dei riflessi evidenti anche all’interno della coalizione governativa. La Lega, che dovette ingoiare la candidatura dell’amico della Meloni, ha ulteriori motivi di fastidio che alzeranno sicuramente la tensione già palpabile in vista delle europee. La  ducetta aspira a superare la Polonia e i Baltici nel poco considerevole ruolo di servitore degli Stati Uniti, convinta di essersi sistemata benissimo chiunque vinca tra Biden e Trump. Inoltre, avendo sposato la causa della rielezione della Von der Layen, si ritiene al centro delle operazioni di reset dell’establishment europeo, ma in realtà è alla vigilia di una consultazione elettorale che, sondaggi alla mano, la renderebbero ininfluente per ogni indirizzo. In cambio, il riverbero nazionale sarebbe delicatissimo, perché la competizione interna con la Lega su immigrazione, repressione e politica estera e l’aperto contrasto sulle politiche socioeconomiche, la mette in una posizione delicata per gli equilibri parlamentari. Inciamperà proprio sulla politica interna e non potrà attendersi certo il sostegno del Carroccio: la sua spudorata simpatia per la componente leghista che lavora al superamento di Salvini non passa inosservata al bauscia meneghino.

Nel campo del centrosinistra esce rafforzata la Shlein, si afferma la sua linea politica di alleanza con il M5S e nel PD perdono terreno le vedove di Letta e Gentiloni, quelli che aspettavano la sconfitta per chiederne le dimissioni. Le prossime regionali, in Abruzzo e Basilicata, poi Piemonte e Bari, dovranno trovare ancora il centrosinistra unito nel fronteggiare la destra in tutte le sue articolazioni.

Non vi sono dubbi sul fatto che la vittoria disegna di per sé una prospettiva politica, per quanto limitatamente alla competizione elettorale. Insegna che per quanto si possano avere idee distinti e distanti che devono caratterizzare il dibattito e l’iniziativa culturale e politica della sinistra tutta, sul piano elettorale è impossibile non concentrarsi su un percorso unitario, dato che rimandare a casa questa destra fascista, incapace e volgare, che punta tutte le sue fiches sull’ulteriore impoverimento delle classi disagiate e sulla repressione del dissenso, è già di per sé un programma politico condivisibile.

Dalla Sardegna il messaggio arriva chiaro: questa destra oscurantista, feroce con i deboli e serva con i forti, come tutta la sua storia decennale insegna, ha nella testa solo l’utilizzo delle istituzioni per compiere la sua vendetta contro la sinistra antifascista che l’ha estromessa dalle piazze di tutta Italia per più di 50 anni. Oltre non sa e non può andare, vista anche la scarsissima qualità del suo gruppo dirigente. Le prime parole della Todde, che ha definito il voto sardo “una risposta civile alle manganellate di Pisa”, indicano un cammino preciso da cui non si può deviare: l’antifascismo è e resta l’unica religione civile di questo Paese.