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di Alessandro Iacuelli

In Italia a volte c'è da meravigliarsi non solo per le cose che succedono, ma anche per le reazioni che le cose suscitano. Così, può apparire strano che l'ultima mossa di marketing di Luca Cordero di Montezemolo abbia ottenuto tanti consensi sia dal mondo politico che dalla società civile. Al "fuori da Confindustria gli imprenditori che pagano il pizzo" il plauso è stato quasi unanime: dopo decenni nei quali politica e imprenditoria si sono battuti per convincere il mondo che la mafia non esiste, finalmente Confindustria prende una posizione netta. Ma è davvero una posizione così netta? Leggendo tra le righe, non sembra. A ricordarlo è praticamente l'unica voce di dissenso che si leva dall'interno del mondo imprenditoriale, quella di Filippo Callipo, presidente della Confindustria calabrese fino all'anno scorso, quando decise di lasciare l'incarico perché si era ritrovato da solo a denunciare il racket in Calabria. "Se continuo a denunciare quello che gli altri non vogliono mai denunciare - dichiarò al momento dell'addio - finirà che mi prenderanno per pazzo". Partiamo da un assunto molto semplice: un imprenditore taglieggiato, che fino ad oggi non si è mai opposto all'estorsione, magari per paura, ammetterà mai di pagare il pizzo? E chi di costoro deciderà che, pur di rimanere in Confindustria, è il caso di non pagare più e di guadagnarsi magari una bomba per sé ed una per la propria azienda? La proposta di espellere chi versa il pizzo alla mafia o alle altre organizzazioni criminali non sembra un sistema per risolvere il problema. Anzi Confindustria, dato il tipo di organizzazione che è, dovrebbe stare vicino all'associato che subisce un'estorsione. Appare difficile credere che ci sia un imprenditore che con gioia e allegria paghi il pizzo alla 'ndrangheta, o alla camorra, o alla mafia siciliana. Imprenditore o no, per arrivare a pagare vuol dire che si ha paura. Ora c'è qualcosa di nuovo: chi ammette di avere paura e di pagare, viene espulso dalle associazioni di imprenditori, viene lasciato solo, viene isolato, praticamente gettato nelle braccia della 'ndrangheta e della mafia.

"Nel Mezzogiorno - ricorda Callipo - dovremmo espellere dalle associazioni di industriali, dei commercianti, e degli agricoltori l'80-90% degli associati. E anche nel Nord, perché qui si paga il pizzo alla mafia con la pistola, ma loro magari pagano tangenti di altro tipo alla mafia con la penna". Esistono da anni, in Italia, associazioni anti-racket che invece hanno colto la vera essenza del problema: bisogna stare vicino a chi subisce queste cose e fare quadrato attorno a lui, non espellere e lasciare isolato chi già subisce la mafia.

Da Confindustria, avremmo atteso altro. Tanto per cominciare avremmo preferito avere dei dati certi, ad esempio su quante sono le imprese che in Italia pagano il pizzo. L’organizzazione padronale avrebbe potuto ottenere facilmente questi dati, magari con un questionario anonimo. Confindustria, che da sempre si batte per costringere lo Stato a modificare pensioni e TFR, che pretende da sempre sgravi fiscali e riduzione delle tasse per le imprese, non poteva stavolta battersi per costringere lo Stato ad affrontare con rigore, e con tolleranza zero, la lotta alla criminalità organizzata sui nostri territori?

Ma nell'Italia dove vanno perseguitati lavavetri e clandestini, dove la tolleranza zero va invocata per la microdelinquenza in nome della sicurezza, difficilmente si possono creare le condizioni per liberare i cittadini dalla morsa del ricatto, ridargli fiducia e magari spingerli a denunciare. Le mafie, in fondo, sono interne ai sistemi imprenditoriali, poiché apportano capitali liberi, denaro da investire, consentono di alterare il mercato con le intimidazioni abbattendo la concorrenza, permettendo di diventare imprenditori a persone che non ne hanno né la levatura, né la capacità. Quindi, da Confindustria sarebbe meglio avere prese di posizione più chiare, più nette, e meno ambigue, rispetto alle solite blande dichiarazioni di principio.

Perché allora la Confindustria siciliana ha avanzato questa proposta? "Perché - risponde Filippo Callipo - ha bisogno di fare un po' di fumo e di riguadagnare visibilità. Nessuno di quelli che hanno avanzato la proposta pensa che il problema possa essere risolto in questo modo. Non è minacciando l'imprenditore di cacciarlo che si risolve la questione. Bisogna dirgli: vieni qua, parliamone, ti aiuto, sono io come associazione che faccio denuncia". “Però - spiega l'ex presidente - siccome ogni tanto dobbiamo venire fuori, non dico che sono proprio operazioni di marketing, e lo dico sempre tra virgolette, ma le definirei più così piuttosto che una cosa reale. Non credo che un imprenditore costretto a pagare il pizzo si intimidisca se lo cacci".

Già. Operazione di marketing. Ce ne eravamo accorti, ma non è di questo che la debole Italia dell'antimafia ha bisogno. Avremmo preferito che al posto degli imprenditori che pagano il pizzo fossero stati espulsi gli imprenditori che con la mafia fanno affari, in Sicilia come al Nord, e che alla mafia devono le loro fortune. Quando Montezemolo proporrà l'espulsione di costoro, sarà il caso di congratularsi.