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di Fabrizio Casari

Rutelli e Binetti, Alemanno e Cesa, Franceschini e Cicchitto. I caporali di complemento dei partiti si sono apparecchiati il loro passaggio nei tg di pranzo e cena. Tutti nello stesso posto. Che non è l’emiciclo di Montecitorio, dove dovrebbero confrontarsi e scontrarsi idee e programmi - se solo ce ne fossero - ma Piazza San Pietro, dove di bipartisan c’è solo l’inginocchiamento. Sono corsi tutti lì, prostrati, non tanto ad ascoltare la “Verità” del pastore tedesco, quanto piuttosto a reiterare, con la loro presenza e le dichiarazioni di banalità, la loro vocazione a stare genuflessi. L’ennesimo scatto di reni per intercettare voti e favori della curia, l’ennesima dimostrazione di quanto l’idea della laicità della politica, dell’autonomia dei valori che dovrebbe far da sfondo a ruoli diversi ed obiettivi diversi, sia superata dalla naturale inclinazione alla servitù. La religione, infatti, ha smesso da tempo di essere un’intima convinzione, un rapporto con la propria coscienza che deve fermarsi davanti all’interesse pubblico che si è chiamati a rappresentare. Non c’è nessuna contraddizione tra invocare libertà per sé e ordinare precetti per gli altri, soprattutto se questo rende, politicamente e non solo. Non è nemmeno necessario agire in coerenza; si vive benissimo inchinandosi al Papa con la propria vita indifferente ai dettami di Santa Romana Chiesa. C’erano infatti più divorziati al Family day che a un congresso radicale, ma si sa: consensus no olet. La mobilitazione ordita e ordinata da Ruini ha avuto il suo bagno di folla. Duecentomila persone (che di tg in tg lieviteranno, vedrete) venute da tutte le parrocchie, hanno voluto testimoniare quanto sia magnifico ascoltare il Papa. E chi glielo nega? San Pietro poi, è il posto giusto. Semmai non lo è l’Università La Sapienza di Roma. Dove nessuno ha negato la parola al Papa, ma ha contestato la legittimità della sua presenza all’inaugurazione dell’anno accademico.

Il pastore tedesco ha scelto di non presenziare per non sfidare contestazioni. Coraggioso. Più che il missionario di dio senza paura è sembrato un emulo di Nanni Moretti del “mi si nota di più se vado o se non vado?” quando ha scelto di utilizzare e di strumentalizzare la sua partecipazione all’inaugurazione dell’anno accademico per forzare politicamente. Solo poche ore prima aveva attaccato il Comune di Roma, reo di aver solo ipotizzato di non continuare ad andare in deficit per far ingrassare gli ospedali di proprietà curiale.

All’università La Sapienza nessuno ha impedito di parlare al Papa, che pure niente c’entrava né con il luogo, né con la cerimonia. Si è invece obiettato (ogni tanto si obietta anche qui, che ci vuoi fare..) circa il senso e l’opportunità della sua presenza in una manifestazione che nulla ha di religioso e di mistico. Si è detto e scritto molto a questo proposito, e lo si è fatto spesso a sproposito. Se il Papa ha diritto di parola (ci mancherebbe altro) lo hanno anche coloro che il Papa non lo vogliono sentire. Oppure lui ha tutto il diritto di parlare e noi solo il dovere di ascoltare e di tacere? E, nello specifico, i docenti e gli studenti dell’università, hanno certamente il diritto – e forse anche il dovere – di dire quello che pensano, visto che è la loro università, dove studiano, lavorano, sono pagati e pagano. E del resto: per caso all’inaugurazione dell’anno accademico all’università cattolica invitano i politici laici?

Il fatto è che ormai l’informazione italiana ritiene che sia naturale che il papa prenda più spazio del Presidente della Repubblica, che il Vaticano abbia più spazio che le istituzioni. Succede solo qui da noi. In nessun altro paese al mondo le minacce ed i rimbrotti della chiesa godono di tanta vetrina mediatica. Perché ovunque, tranne che da noi, non è la chiesa a fissare l’agenda politica dei partiti. Perché ovunque la fede è fede e la ragione è ragione. Tranne che negli stati teocratici, il rispetto per le credenze religiose ottiene pari rispetto per la laicità delle istituzioni.

Questo Papa, uno dei più reazionari della già ingloriosa storia del Vaticano, ribalta il piano della logica e sfida continuamente la ragione e la pazienza di chi papalino non è, né vuole diventarlo. Con scarso senso del ridicolo lancia anatemi e proclama che la scienza e la logica sono “relativismo”, mentre i suoi dogmi e la sua fede sono la “Verità”. Rappresenta un potere odioso, ignorante e crudele, che sfida la scienza con il dogma unico, che è poi quello della loro convenienza ad esercitare il massimo potere temporale. E poco importa che sia una religione, come tutte, che ammanta di “mistero della fede” le tesi più inverosimili che, come logica vuole, possono essere accettate da chi in quei dogmi ha fede e non da chi non ne ha. Perché la violenza di questi curatori di anime, ipocriti mercanti di privilegi e potere, arriva ad ammonire chi non gli obbedisce.

Non è questa la sede per affrontare la natura profonda tra religiosità e coscienza civile, o per analizzare quanto il bisogno di spiritualità pervada ogni aggregato sociale. Si tratta solo di ricordare che quest’indice puntato con il quale indicano i mali degli altri, dovrebbero cominciare a indirizzarlo verso le loro tonache. Perché parlano di anime ma odiano i corpi. Vivono sulla manipolazione delle persone più semplici, quelle più sole, incapaci di reagire ai colpi che la vita gli assesta. Perché sulla disperazione e sulla solitudine campano gli speculatori dei valori, spacciatori di improbabili redenzioni future a fronte di obbedienza cieca qui ed ora. Indicano i comportamenti sessuali mentre le loro diocesi vanno in bancarotta per i risarcimenti giudiziari per atti di pedofilia. Si battono contro l’aborto, ma non contro le guerre e le dittature. Hanno spalmato generosamente la loro fede e il loro perdono sulle spade dei tiranni, ad ogni latitudine. Odiano le donne, la loro libertà di scelta, perché esse esistono solo in quanto madri. Chiedono scusa in cinque minuti per quanto fatto in cinquecento anni e rappresentano la storia scritta con i fiumi di sangue a sancire il loro comando.

Il posto giusto per la chiesa è la preghiera. Per chi vuol pregare e per chi vuole ascoltare chi prega. Ma una società complessa, laica nelle sue scelte collettive, non può che lasciare il credo religioso alla sfera privata di ognuno. Sapendo che, in primo luogo, c’è la libertà di tutti a definire il limite dell’arbitrarietà di ciascuno.