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di Cinzia Frassi

Dopo la caduta del governo Prodi, con la sua dinamica, con la mortadella e lo spumante goliardico quanto volgare, ecco arrivare anche il nulla di fatto del Presidente del Senato Franco Marini. Dopo giorni di consultazioni, il malcapitato getta la spugna. Pochi giorni fa, l’abbiamo ascoltato confidare nel famoso spiraglio per riuscire a richiamare tutti al senso di una non ben precisata responsabilità davanti al Paese ed ai cittadini. Giudicava determinante il contributo delle forze sociali, che in coro hanno fatto sapere di ritenere importante un governo che traghettasse il paese per il tempo necessario a riscrivere la legge elettorale. Insomma, la medesima canzone intonata negli ultimi mesi. L’esplorazione targata Marini é fallita, rimandando il referendum elettorale da alcuni tanto voluto, soprattutto dopo il segnale verde della Consulta, al prossimo futuro. Ciò comporta che il prossimo governo dovrà comunque farci i conti. Non solo: fino a pochi giorni prima della caduta del governo Prodi, che potremmo definire incidentale quanto prevedibile, sembrava unanime l’impegno dei leader di partito proprio rispetto alla riforma della legge elettorale. Dichiarazioni all’insegna della collaborazione, discussioni sulle varie formule che ci hanno tenuto impegnati e che parlavano a turno di maggioritario alla francese o alla tedesca in insalata italiana, con proporzionale, con sbarramento e quant’altro. Anche qui nulla di fatto, e chi diceva di considerare la riforma della legge elettorale come conditio sine qua non per poter affrontare in futuro una nuova tornata elettorale con i canoni della successiva governabilità, oggi sbatte la porta, festeggia e ritiene urgente chiamare gli italiani alle urne. Sempre per il bene del Paese. Resta il fatto oggettivo, con tutte le sue prevedibili conseguenze, che il prossimo governo, probabilmente di centro destra, si ritroverà a fare i conti con la legge “porcata” firmata Calderoli.

In questo clima, di tanto in tanto ma costantemente, tutti si riempiono la bocca di “per il bene del Paese”, di “riforme istituzionali urgenti per la democrazia” oppure “per risolvere i problemi delle famiglie” e via così. Intanto, la voragine tra politica e cittadini si fa sempre più oscura e profonda. La vera caduta, più che del governo che ha guidato il Paese per ventidue mesi, è quella dell’interesse popolare di chi si identifica sempre meno con una generazione di politici ormai avvizzita, nonostante il sempre “nuovo che avanza”.

Fatto sta che Franco Marini, in trentacinque minuti di colloquio con il Presidente della Repubblica, ha rimesso ieri il suo mandato spiegando che, pur riscontrando come “diffusa” la consapevolezza di “modificare la legge elettorale vigente”, non esiste “una significativa maggioranza su una precisa ipotesi. Ha giocato un ruolo fondamentale nella scena politica italiana lo spettro delle grandi coalizioni. Forse si è preteso costruire a tavolino una realtà politica inconcepibile, almeno in questa stagione di seconda Repubblica, del famoso bipolarismo dell’alternanza. In Italia infatti, non si contano i piccoli partiti sopravvissuti alla scure della fine della prima repubblica e che oggi, non solo sono incapaci di realizzare soggetti di partito unitari, ma che per di più giocano al partito dell’ago della bilancia.

Alle prossime e ormai inevitabili elezioni, pare che lo scenario politico possa essere un po’ diverso da quello del non molto lontano aprile 2006. Certamente il centro sinistra sembra non poter essere più definito una “coalizione”, almeno non con i medesimi canoni di allora. La nascita del Partito Democratico ha scompaginato le fila e le correnti che componevano Margherita e Democratici di Sinistra, richiamando la capacità di agglomerazione della sinistra, attualmente ancora in difficoltà nel processo di riunione.

Intanto l’algido sindaco di Roma, che da qualche tempo entra nei giochi di altri palazzi istituzionali pur non essendo stato investito dal consenso popolare, si rammarica riguardo al nulla di fatto di Marini per “un'ulteriore occasione mancata", definendo "irrealistico" il patto Fi-Pd ipotizzato da Il Giornale proprio nella giornata decisiva per l’esito dell’esplorazione del Presidente del Senato. Per l’anchorman dei nuovi democratici, il problema è sempre lo stesso e ribadisce quella dichiarazione di poco tempo fa di “correre da solo” proprio a caldo, ieri, quando Marini scendeva dal colle: "A fronte di uno schieramento di 12, 14 o 15 partiti che ci sarà sull'altro versante della politica italiana, il Pd si presenterà sulla base della propria identità e del proprio programma". Ma cosa attende gli italiani già nauseati dai vizietti della politica italiana?

Da un lato pare che nel centro destra nulla sia cambiato. I dissapori con paventati divorzi in seno alla coalizione sembrano appianati, la compattezza garantita nonostante i numerosi partiti che la compongono, per non parlare del fatto che il Cavaliere ha già tolto dal cassetto il nuovo “contratto con gli italiani” , del quale forse si sta già preparando la spettacolarizzazione nel salotto bianco di Bruno Vespa.

Dall’altro, c’è una ex coalizione che dovrà necessariamente bruciare le tappe sia in seno al Partito Democratico che nei processi di costituzione unitaria, se ci saranno, di tutti coloro che vorrebbero essere riconosciuti come una forza di sinistra popolare, affiancandosi al centro.

La vera sfida per entrambi, tuttavia, dovrebbe essere quella di resettare il ruolo rivestito fino ad oggi, senza dare altro spettacolo nella già imminente campagna elettorale, riconquistando la passione politica degli italiani, che potrebbero preferire una gita domenicale all’agonia delle urne.