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di Sara Nicoli

In un Paese che sta andando a rotoli e dove ogni ridicola sparata del re dei bauscia Berlusconi viene presa sul serio, l’assistere alla cannibalizzazione delle spoglie di Alitalia per puri fini elettoralistici dell’immediato rende la visione del futuro del Paese – e non solo quello dell’ex compagnia di bandiera – a tinte davvero fosche. Quello che sta accadendo ad Alitalia, a partire dall’ultima barzelletta della cordata italiana capitanata dai figli del Berlusca per far contento l’elettorato del “papino” nonchè gli azionisti di Sea-Malpensa a partire dalla Moratti e dal sempre più imbarazzante Formigoni, è la perfetta parabola del peggio dell’Italia di oggi. Gli ingredienti ci sono tutti, a partire dall’imprevidenza di una classe manageriale corrotta, il pressappochismo e gli scaricabarile degli ultimi governi, l’incoerenza e l’opportunismo dei partiti politici che l’hanno lottizzata forse più della Rai per finire con quella cretineria imprenditoriale (e soprattutto politica) che ha preteso la costruzione dell’hub di Malpensa solo per sentirsi padani potenti ad un passo dall’Europa. Ma se si è dei bauscia e dei nani politici, le distanze dalle vere società civili ed imprenditoriali non possono che restare siderali. Per salvare Malpensa e i soldi di alcuni ricchi elettori (e futuri ministri) del Pdl si dovrà arrivare a dichiarare il fallimento della compagnia. E dire che ci si sarebbe potuto pensare molto prima, ma faceva comodo un po’ a tutti continuare a far soldi sulle spalle degli altri, i contribuenti italiani. Come al solito, come sempre.

D’altra parte, da lustri Alitalia addossa a piè di lista le sue perdite alle tasche degli italiani: 15 miliardi in 15 anni, senza che nessuno abbia avuto il coraggio di affrontare il problema alla radice. Tralasciando sulle liquidazioni di platino che gli inutili manager pubblici hanno rubato sempre dalle tasche dei contribuenti, dopo aver dichiarato che non sapevano dove mettere le mani, lascia adesso senza parole l’ennesima discesa in campo del barzellettiere pubblico numero uno che dichiara, come al solito, di avere la soluzione in tasca a tempo scaduto quando si guardò bene dall'esporsi mentre governava. Ma bisogna dar anche atto a Berlusconi di non essere rimasto solo a raccontar panzane fuori tempo massimo. Quando Prodi e Padoa-Schioppa hanno deciso che era venuto il momento di frenare la china di Alitalia verso il fallimento, un ridicolo combinato disposto di manager, sindacati e politici hanno fatto di tutto per evitare di togliere le mani dalla compagnia, dichiarando senza pudore che quella coalizione di governo li stava consegnando “nudi alla trattativa” (copyright Bonanni, Cisl). Un comportamento che, visto dall’esterno, ha scoraggiato tutti i possibili compratori seri ed ha lasciato sul campo solo l’esangue Air One e – oggi, in campagna elettorale – la strumentale cordata berlusconiana (un trucco fin troppo usato in passato).


Ma il problema, ovviamente, non è certo legato alla conduzione delle trattative di vendita. Il problema è Malpensa e l’ottusità politica che ha permesso che si confondesse la sopravvivenza della compagnia di bandiera con quella dell’hub lombardo. Chi, infatti, ha creato Malpensa, adesso scarica la colpa di tutti i problemi su un’ipotetica inefficienza di Alitalia, alimentando strumentalmente la mancanza di chiarezza. Ma non è mai stata colpa di Alitalia se Malpensa non ha mai funzionato. La colpa è stata solo e semplicemente di chi ha voluto far nascere qualcosa di totalmente inutile nell’economia generale della viabilità aerea nazionale. E non solo..

Malpensa soffre dei collegamenti ferroviari scadenti e del proliferare di aeroporti padani: per questo i clienti preferiscono partire da Linate o da Torino. Il problema lo hanno creato gli enti locali, che ora pretendono che altri suppliscano ai loro errori. La Sea, controllata dal comune di Milano, vorrebbe che la boccheggiante Alitalia, in procinto di essere salvata dal solo Cavaliere, mantenesse su Malpensa un assetto operativo che oggi le costa (a lei, quindi a noi tutti pro quota) 250 milioni all'anno. E qualora decidesse di dare il benservito, allora dovrebbe pagare pegno. Anche parecchio salato. L’egoismo degli azionisti di Sea, a cominciare dal presidente Bonomi, si rappresenta tutto nella causa che la società ha intentato contro Alitalia e nella quale ha chiesto di farsi carico (con 1200 milioni euro) di tutti i buchi che gli enti locali hanno creato a Malpensa continuando a godere dei profitti di Linate . Un atteggiamento non solo ricattatorio ma anche masochistico, che equivale a chiedere il fallimento della compagnia di bandiera via carte bollate. Ma il bello è che a chiederlo è quello stesso Bonomi che dalla sua poltrona romana di presidente Alitalia condivise questa scelta fallimentare: straordinario.

Solo in questo Paese allo sfascio possono succedere queste cose. Così come solo in Italia si può tollerare che, per puro opportunismo politico, si sia pronti a far fallire la compagnia di bandiera pur di non lasciare la vittoria di un suo ipotetico salvataggio all’avversa coalizione politica. Roba da tempi delle caverne, politicamente parlando: siccome chi si piega all'unica proposta seria in campo (quella di Air France) è il mio rivale politico, io mi oppongo per trarne un dividendo politico. Se Alitalia andrà in procedura, potrò sempre prendermela con chi sta cercando di recidere il bubbone lungamente trascurato. Mors tua, vita mea, insomma, come ai tempi dei gladiatori romani. Anche questo, straordinario.

Che poi chi tanto gorgheggia sul liberismo voglia una soluzione politica fuori dalle regole di mercato, cominciando dalla richiesta di soldi allo Stato (stiamo ovviamente parlando ancora di Berlusconi), è solo uno dei tanti esempi di quale genere di razza imprenditoriale sia quella italiana. Non c’è infatti da stupirsi se in questo Paese malato fino al midollo nessun imprenditore osi dire parole di verità: sotto elezioni nessuno se la sente di rischiare. D’altra parte, anche nel 2007 il governo fece appello all’imprenditoria italiana per salvare Alitalia, ma nessuno si è volle assumere i rischi, anche perché, a ben guardare, in Italia non si hanno competenze specifiche nella materia.

Insomma, Berlusconi ci sta prendendo per i fondelli un’altra volta, lui, i suoi figli, le sue società e i suoi sodali. L’unico, vero modo per salvare Alitalia è siglare il patto con Air France, cercando di trattare sui posti di lavoro e a quel paese Malpensa e chi ha fatto soldi fino ad oggi facendo pagare allo Stato (cioè a noi) l’aeroporto internazionale padano. E’ infatti chiarissimo, fino a dimostrarsi abbagliante, che se fosse esistita davvero un’alternativa l’avremmo dovuta vederla molto tempo fa. Ancora oggi, se davvero stessimo vendendo Alitalia per un piatto di lenticchie, qualcuno offrirebbe una lenticchia in più (Padoa-Schioppa), per avere il gioiello, senza pretendere altri soldi pubblici: ma, ovviamente, non succederà. La storiella della cordata italiana sarà tirata innanzi più a lungo possibile da Berlusconi che, ne siamo certi, sarà pronto a farla scomparire un giorno dopo aver vinto le prossime elezioni. Nel paese di Pulcinella questo non fa neppure notizia. Eppure il Cavaliere continua nello sberleffo: “O si fa Alitalia o si muore”, ha detto ieri. E come tutte le sue battute, anche questa non fa affatto ridere.