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di Maura Cossutta

Formigoni ha detto no. E subito dopo si è accodato Totò Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia, cogliendo al volo l’occasione per farsi ricordare per qualcos’altro oltre ai famosi cannoli. Non passa quindi l’accordo tra Stato e Regioni sulla legge 194, nonostante il parere favorevole di tutte le altre Regioni, compreso quello dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, ANCI. E nonostante le numerose riunioni tecniche per discutere il merito del provvedimento, nonostante soprattutto le rassicurazioni esplicitamente date al ministro Livia Turco da parte dell’assessore alla sanità della Lombardia. L’assessore è stato smentito e Formigoni è intervenuto personalmente per agire all’ultimo minuto il diritto di veto, bloccando così ogni ipotesi di accordo, essendo questa la condizione per essere emanato quella di raggiungere l’unanimità. Mentre Formigoni parlava, altri avevano intanto già dettato la linea, dalle pagine del quotidiano L’Avvenire e con le dichiarazioni del “Movimento per la vita”. Questo accordo doveva essere assolutamente fermato, in nome del diritto alla vita “fin dal concepimento”. Il solito Volontè può allora esultare, perché “è stato sventato il complotto che favoriva esplicitamente le forme più subdole di infanticidio”. In realtà, a parte l’ossessione dell’onorevole Volontè, che sta diventando una cosa seria (per lui e per il suo medico curante), nella proposta di accordo si davano indicazioni alle Regioni per programmare e organizzare meglio i servizi proprio per evitare gli aborti, per non costringere una donna a dover scegliere di interrompere una gravidanza non desiderata.

Si parlava, insomma, semplicemente e banalmente di contraccezione, di consultori, di informazione ai giovani, di progetti specifici per le donne immigrate, insistendo sull’offerta attiva dei servizi, sull’aggiornamento delle professionalità degli operatori rispetto alla multiculturalità. Ma anche di come garantire alla donna una efficace e appropriata presa in carico nel momento di una diagnosi prenatale sfortunata, di informazione alle donne sulle leggi a tutela della maternità e sulla legge che garantisce il diritto a partorire in anonimato.

Un accordo complessivo, insomma, che affrontava tutte le più evidenti criticità, i problemi più rilevanti in merito all’applicazione della legge 194, che dovevano finalmente essere affrontati. Cose concrete, cose ovvie, che avrebbero dovuto essere ovvie, perché sempre ribadite puntualmente ogni anno nelle Relazioni al Parlamento sulla legge 194. Si chiedeva insomma un impegno esplicito, una responsabilità istituzionale comune, tra Ministero della salute e Regioni, per difendere e garantire pienamente e al meglio l’applicazione di una legge dello Stato.

“Assumendo la piena applicazione della legge 194 come priorità delle scelte di sanità pubblica, non si ravvisa la necessità di una sua modifica, ma viceversa si sottolinea la necessità di un rinnovato impegno programmatorio e operativo da parte di tutte le istituzioni competenti e degli operatori dei servizi”. Così era scritto nell’ultima Relazione sulla legge 194, presentata nell’ottobre scorso da Livia Turco. L’accordo derivava da lì, era la traduzione operativa di una sollecitata assunzione di responsabilità istituzionale da parte delle Regioni, per seguire indirizzi uniformi su tutto il territorio nazionale, per una migliore applicazione e non per una modifica della legge 194..

Formigoni si è messo di traverso, dopo aver emanato due mesi fa delle proprie raccomandazioni sull’applicazione della legge 194, quelle - per intenderci - dove fissava il limite delle 22 settimane e mezzo per poter abortire. Non solo per sentenziare quindi che, anche in riferimento alla legge 194, deve essere riconosciuto il federalismo sanitario, ma anche per diventare la testa d’ariete di una nuova strategia contro la legge. Non si dice che si vuole modificare, ma si depotenziano i contenuti e le indicazioni per una sua corretta applicazione. Per stravolgerla.

Ed è infatti sul terreno dell’applicazione della legge 194 che si gioca la partita. Prevenire gli aborti, lo dicono tutti, ma cosa si intende? Formigoni finanzia il “Movimento per la vita”, i Centri di Aiuto alla Vita, intendendo come prevenzione solo quella che “salva” il concepito nel momento in cui la donna è già in gravidanza. La contraccezione resta in un angolo, anzi, si sollecita l’obiezione anche sulla prescrizione degli anticoncezionali. Un tabù, le cui risposte vengono lasciate solo all’invadenza della Chiesa, alla rigidità dei dogmi, della dottrina. Gli adolescenti devono essere asessuati, la verginità torna ad essere “la dote” delle fanciulle oneste, la promozione della contraccezione diviene strumento di una libertà irresponsabile delle persone. Coerentemente, la proposta di accordo viene attaccata in quanto provvedimento “di prevenzione della maternità” .

In realtà sono proprio loro che, per attaccare la legge, smantellano le strategie dimostratesi più efficaci per ridurre il numero degli aborti. Se è evidente che nel nostro paese sono del tutto inadeguate politiche pubbliche che tutelino il desiderio di ogni donna di diventare madre, a partire da politiche per l’occupazione femminile, per i servizi sociali, i nidi, per una diversa ridistribuzione dei carichi familiari tra uomini e donne, è altrettanto vero che le politiche per la natalità non sono la strategia cardine per la prevenzione degli aborti. E’ noto che in molti paesi dove esistono finanziamenti e politiche a favore delle madri, ancora assai rilevante resta il fenomeno abortivo. E’ invece la legalizzazione dell’aborto, insieme alla promozione di un maggiore ed efficace ricorso a metodi di procreazione consapevole, che ha determinato i migliori risultati in termini di riduzione degli aborti.

Il cuore della legge sta qui e di questo si dovrebbe parlare. Come era esattamente scritto nella proposta di accordo. E cioè di informazione ed educazione sessuale nelle scuole, del ruolo dei consultori, che devono garantire adeguati orari di apertura, personale non obiettore, prevedendo l’accoglienza senza appuntamento con carattere di precedenza per la richiesta dell’inserimento di IUD, prevedendo la distribuzione dei mezzi contraccettivi alle fasce sociali meno abbienti e a maggior rischio di abortività, come i giovani e le immigrate. Di possibilità di prescrivere la “pillola del giorno dopo”, oltre che nei servizi consultoriali, anche nei Pronto Soccorso e nei servizi di guardia medica.

Il veto quindi è tutto politico. Da una parte Formigoni porta a casa la bandiera del federalismo sanitario, che gli serve per continuare la sua operazione politica di smantellamento del sevizio sanitario nazionale, di sussidiarietà, con il finanziamento diretto alla Compagnia delle Opere. Dall’altra diventa l’alfiere e l’interlocutore privilegiato di chi sta a guardare in questa campagna elettorale oltreTevere, nella crociata sui “valori non negoziabili”. Che diventano, a questo punto, sempre più numerosi. L’embrione e il concepito infatti non bastano più. L’obiettivo è la secolarizzazione della società, in cui i precetti della Chiesa diventano principi ispiratori degli atti normativi, della legislazione stessa. La contraccezione è l’ultima frontiera, in un paese sempre più bigotto e infelice, dove il diritto alla sessualità non è più un diritto umano fondamentale, ma un diritto selettivo, affidato soltanto a coppie sposate e devote.