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di Fabrizio Casari

Si può declinare in molti modi la paura, ma tale resta. Non può essere trasformata in prudenza o in accorta strategia, nemmeno con la potentissima batteria mediatica a disposizione: paura è, paura resta. Ed è la paura di perdere quella che attanaglia Berlusconi che fugge, letteralmente fugge, dal confronto televisivo con Walter Veltroni, il principale - non unico - avversario di questa competizione elettorale. Di Veltroni, Berlusconi ha paura. Perché dal 1994 ad oggi, per la prima volta, il cavaliere della destra ha di fronte un personaggio che, quale che sia il giudizio politico che su di lui si vuole avere, è uomo di grande capacità comunicativa. Conosce l’arte della persuasione e le tecniche della comunicazione politica, sa tenere bene il contraddittorio e non ripete formule ideologiche; rappresenta, nel bene e nel male, la novità politica che rende la compagine di destra il “già visto” che in molti, peraltro, si augurano di non dover rivedere. E l’aria che si respira, da qualche giorno, pare indicare una possibile sorpresa per tutti coloro che ritenevano il risultato già scontato a favore di Berlusconi. Un confronto televisivo che indicasse Veltroni più credibile, accellererebbe definitivamente la concreta realizzabilità di questo scenario. Le urla manzoniane contro la par condicio che il cavaliere ripete ormai ogni giorno appaiono assurde proprio perché pronunciate da colui cha ha reso la par condicio una condizione necessaria, ancorché insufficiente, per riequilibrare il pesantissimo squilibrio di mezzi a disposizione nella battaglia politica. Ma il dominio assoluto nei media, elemento primario di quel mostruoso conflitto d’interessi di cui è vittima l’Italia, non elimina comunque la paura del cavaliere di sostenere un confronto alla pari. Nemmeno “Porta a Porta”, il luogo dove persino l’ipotetico tappeto da rosso diventa per magia azzurro, offre sufficienti garanzie. E di Fede ce n’è uno solo.

Il perché di questa fuga dal confronto televisivo di Berlusconi non è comunque nuovo né strano. Non è nuovo in quanto già nelle passate campagne elettorali è stato costretto solo all’ultimo momento ad accettare un confronto che non voleva, temendo di offrire una opportunità di recupero dei consensi all’avversario che, stando ai suoi sondaggi, era indietro. E non è strano dal momento che Berlusconi non tollera domande scomode, osservazioni, obiezioni, comunque un contraddittorio da dove può emergere il senso più profondo della sua “discesa in campo”: il bene delle sue aziende a scapito di quello del Paese.

Restano ancora quindici giorni di schermaglie, dispetti e ripicche, cioè i principali ingredienti di questa noiosa campagna elettorale e il cavaliere di Arcore dimostra ogni giorno che passa di temere il sorpasso. Non tanto nelle intenzioni di voto prospettate dai sondaggi, notoriamente fallaci in quanto pilotabili in principio causa committente e in fine attraverso la scelta su quali domande porre e come porle. Le risposte, infatti, variano a seconda di come le domande vengono formulate, come tutti sanno e tutti fingono di non sapere.

Del resto, la provata inaffidabilità dei sondaggi è la sola grande lezione che il Porcellum ha impartito al sistema politico-mediatico di questo paese. Non solo e non tanto perché gli italiani risultano poco inclini a dire quello che vogliono, che spesso si rivela diverso da quello che pensano e non ne parliamo di quello che fanno; ma anche perché, diversamente da quello che accade con le elezioni alla Camera dei Deputati, la tecnica di assegnazione dei seggi al Senato rende complicatissimo un ipotetico calcolo con ragionevoli – per non dire certi – margini di errore.

E del resto, a testimoniare la precarietà del presunto vantaggio del cavaliere, c’è il recupero netto di oltre la metà della distanza tra Pdl e Pd che si calcolava all’inizio della campagna elettorale. Difficile non attribuire il dato ad una indubbia capacità di Veltroni di recuperare consensi, capacità certificata anche dalle piazze dove il candidato del Pd parla, piene più di quanto avveniva nelle passate campagne elettorali.

A questo si aggiunge l’avvenuta scomposizione dei poli politici, che rende ulteriormente difficile calcolare le ricadute elettorali. Non è facile, infatti, valutare con esattezza quanto incideranno l’Udc di Casini e la Rosa bianca, o la scissione della Santanché e di Storace da An, nel complesso dei voti attribuibili alla destra. Oltretutto, mentre dal centro continuano a pervenire segnali netti d’indisponibilità a varare un eventuale governo di destra, non altrettanto - per fortuna - si ode dalla Sinistra Arcobaleno. Ne consegue dunque che sia alla Camera che al Senato i seggi del centro risultano difficilmente sommabili a quelli della destra, mentre a sinistra non si avvertono preclusioni nel caso fosse necessario impedire che il Paese venga riconsegnato a Berlusconi e Fini.

C’è il rischio, insomma, che la marcia trionfale dell’eterno candidato della destra inciampi. Quella che si giocherà tra quindici giorni è una partita nella quale Veltroni ha a disposizione tre risultati su tre, mentre Berlusconi ne ha uno solo. Per l’ex sindaco di Roma, infatti, una sconfitta – se con margine ridotto - non precluderebbe il suo destino politico di guida del Pd; meno che mai un sostanziale pareggio e figuriamoci una vittoria. Per Berlusconi invece, che queste elezioni ha voluto e che pur di averle non ha esitato a sfasciare la Cdl, una sconfitta o un pareggio sarebbero il definitivo fallimento. Sarebbe la fine per i suoi sogni di Palazzo Chigi prima e Quirinale poi. Potrebbe ritrovarsi a cantare con Apicella nella nuova mansione sul lago recentemente acquistata. Pare che il clima sia buono.