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di Maria Vittoria Orsolato

Dare un nome e un cognome ai rom grazie all’incrocio di impronte digitali e foto segnaletiche, non importa che questi abbiano 60 o 6 anni e non importa che abbiano commesso o meno reati. Questa la nuova trovata pro-sicurezza del Ministro dell’Interno Maroni, che sapevamo avere un debole per blues, tastiere e occhiali alla moda, ma che proprio non ci aspettavamo fosse un fan del filone C.S.I. Per contrastare la microcriminalità e combattere lo sfruttamento di minori con il massimo della tecnologia e della precisione, il Viminale avrebbe chiesto ai prefetti di Roma, Milano e Napoli di fare un censimento degli accampamenti abusivi nelle tre regioni commissariate in via straordinaria lo scorso 30 maggio. Lombardia, Campania e Lazio sono infatti state designate dal Governo come regioni ad “emergenza nomadi” e conseguentemente dotate di ordinanze speciali che gli osservatori internazionali, in primis gli inglesi, hanno già definito “razziste e xenofobe”. La pietra dello scandalo è emersa solo quando il prefetto di Roma, forse in un eccesso di zelo, ha sollevato una controversia riguardo all’articolo 1 comma 2c dell’ordinanza speciale a lui affidata, in cui si specifica che il commissario “deve provvedere all´identificazione e al censimento delle persone, anche minori di età e dei nuclei familiari presenti nei campi nomadi attraverso rilievi segnaletici”. Il prefetto Carlo Mosca si domandava, lecitamente, se fosse il caso di schedare anche i bambini sebbene fior fiore di convenzioni e carte internazionali sui diritti dei minori vietino esplicitamente un’esposizione così discriminante e annunciava, in una lezione all’Università RomaTre, di non voler prendere alla lettera le direttive ministeriali.

Mosca è stato richiamato all’ordine dal ministro leghista ma nel frattempo la stampa - a sorpresa anche Famiglia Cristiana - si è scatenata e da Bruxelles sono cominciati ad arrivare i primi malumori. Il provvedimento straordinario, figlio dell’esecrabile pacchetto-sicurezza, ha infatti destato preoccupazioni al Commissariato di Giustizia Europeo. Infatti, usare le impronte digitali - soprattutto dei bambini - per creare schedari basati sull’etnia fa molto Terzo Reich ed è in palese contraddizione con una serie di disposizioni europee anti-discriminazione, in particolar modo con la direttiva 2000/43, la quale esclude espressamente la possibilità di sottoporre cittadini comunitari e non a trattamenti particolari in ragione della loro appartenenza geografica o etnica.

Se Palazzo Chigi non saprà dare una risposta soddisfacente ai quesiti della Commissione Europea, l’Italia tutta potrebbe incappare in pesanti sanzioni disciplinari che vanno dall’ammenda pecuniaria - ma tanto ci siamo abituati - fino al deferimento in Corte di Giustizia Europea per violazione dell’articolo 6 del Trattato dell’UE, il che addirittura prevedrebbe la sospensione dello Stato dall’Unione. Ad oggi i precedenti di questo genere sono stati solo due: l’Austria di Heider e la Polonia dei gemelli Kaczynski, e non ci fanno per nulla onore.

Tornando in Italia, c’è già chi promette battaglia e a Como un centinaio di bambini si sono presentati provocatoriamente alle autorità comunali per dichiararsi zingari, con il supporto e l’approvazione dei genitori. La misura non riesce a trovare consenso neppure tra i magistrati: “È un sistema mai usato, nemmeno per i minori italiani o stranieri più esposti al rischio, una forma di odiosa discriminazione razziale” dichiara il presidente dell'Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia, Maria Rita Verardo, convinta che i piccoli rom - che ricordiamo per la metà potrebbero essere nati in Italia e quindi naturalizzati italiani - “avrebbero bisogno di condizioni di vita migliori e di più integrazione nella società che li ospita”. I togati, e non solo loro, pensano poi che questa sia solo una “misura demagogica volta alla criminalizzazione a tutti i costi delle realtà marginali”; se infatti è vero che questa disposizione nasce per tutelare i minori allora non si capisce perché non possa essere estesa ai bimbi e ai ragazzi delle altre etnie che compongono il mosaico sociale italiano. “ I minori, tutti e senza distinzione, devono essere potetti per principio costituzionale e per solenni impegni internazionali” chiudeva la nota del direttivo dell’A.I.M.M.F.

A cercare di calmare gli animi il ministro della Pubblica Istruzione, la Silvio’s Angel Mariastella Gelmini (che forse già sogna un futuro in cui i militari aspettino i bimbi fuori dagli accampamenti per portarli a scuola a passo di marcia) nella ridda dei numeri ci tiene a precisare: “Su 35.000 bimbi nomadi solo 12.000 sono iscritti a scuola” come a dire che gli altri 23.000 sono in strada a operarsi per renderla meno sicura. E loro, gli zingari, cosa rispondono? Vadim, 34 anni, tre figli e una roulotte alle porte di Bologna non sembra avere dubbi: “Sono pronto a collaborare e a far schedare i miei figli, l’importante è che poi io possa essere sereno e senza rotture di scatole nella città in cui ho scelto di vivere con la mia famiglia”. Più chiaro di così...