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di Saverio Monno

Al termine di un finesettimana a dir poco frenetico, Verdi e Comunisti italiani hanno chiuso i rispettivi congressi nazionali. A Chianciano, gli stati generali del sole che ride hanno conferito la reggenza a Grazia Francescato, che con oltre il 60% delle preferenze riuscita ad avere la meglio sull’ex deputato Marco Boato e su Fabio Roggiolani, leader dei Verdi in Toscana e presentatore della mozione “Progetto Ecologista e Federalista”. La votazione, a scrutinio segreto, ha chiuso una tre giorni di tensioni, attese e recriminazioni. Ad appoggiare la presidentessa storica dei Verdi è statai, l’anima più radicale del partito; dallo stesso Pecoraro Scanio, che è spuntato a giochi fatti, tra i fischi, “solo” per la “benedizione”, ai vari Paolo Cento, Loredana de Petris, Gianfranco Bettin e Angelo Bonelli (molto fischiato anche lui). “Una vittoria – denuncia Boato – all'insegna di uno sfrontato continuativismo, che vede prevalere le ragioni di un gruppo dirigente già artefice della disfatta elettorale”. Un mandato “ponte”, quello della Francescato, che dovrebbe consentire al partito di restare a galla almeno sino alle prossime Europee, cercando magari di riaprire il dialogo con l’ala riformista degli ambientalisti, già approdati nel Pd, badando poi a non indispettire troppo Pdci e Rifondazione, perché non si sa mai…Nel frattempo, “non chiamateci più quelli del no – ha avvertito la neoportavoce nazionale – noi diciamo alcuni no, non ideologici, ma sacrosanti, e tanti sì vitali”. Meno insidioso – almeno all’apparenza – il clima a Salsomaggiore, dove Oliviero Diliberto, con l’ultimo richiamo all’unità dei comunisti, la conferma del “centralismo democratico” e la messa al bando delle minoranze interne al partito, ha chiuso trionfante il congresso del Pdci. Il professore cagliaritano sbanca, ma in realtà la seconda mozione (Bellillo-Robotti) si è autoesclusa dagli organismi dirigenti, per protesta a quello che definiscono “centralismo autoritario”. Altro cruccio l’amico-nemico di sempre, Marco Rizzo che, pur appoggiando il segretario, si era concesso il lusso di porre qualche paletto di troppo. Su tutte la richiesta di ritiro delle truppe dal Libano, sconfessando, dunque, il voto del partito al governo. La risposta di Diliberto è stata secca. “Siamo contrari al ritiro delle nostre truppe dal Libano - ha tuonato al microfono il professore sardo - la situazione è in netto miglioramento, evitiamo quindi di fare a gara a chi dice le cose che sembrano più di sinistra”.

Il bilancio è magro, dunque, anche per il meeting di Salsomaggiore. Sepolti l’arcobaleno e l'alleanza con il centrosinistra, Diliberto chiude con “il partito di lotta e di governo” ed apre la fase del partito “d’opposizione”; senza sconfessare le battaglie passate, ma pressando quotidianamente sul Prc - almeno per un “accordo federativo”. Decisioni in netta controtendenza per una formazione che nel ’98 nasceva come apposito sostegno di un Prodi prossimo alla caduta, pugnalato proprio dall’ala bertinottiana dello stesso Prc tanto di “moda” oggigiorno. Nonostante il tentativo di raddrizzare la schiena alle correnti minoritarie sia momentaneamente riuscito, c’è poco di che rallegrarsi: non sono, poi, così in pochi, a credere che sia l’ora di farla finita con la sindrome dei comunisti uniti e accettare invece la sfida di dare al nostro paese una forza di sinistra che sia davvero in grado di incidere.

Prendere tempo, dunque. Questo il senso - banalmente utilitaristico - dei due congressi. C’è da studiare la strategia elettorale per le prossime Europee. Lì potrebbe davvero esserci la partita finale. In palio i consueti rimborsi e finanziamenti, ma anche il rischio di giocarsi simboli ed esistenza stessa delle diverse formazioni. Ecco che diviene prioritario capire cosa fa Rifondazione. Resterà legata a falce e martello o abbraccerà l’idea della “costituente per l’unità delle sinistre”?

Dal canto suo, Rifondazione Comunista si prepara a vivere uno dei congressi più duri della sua storia politica. Archiviato il capitolo della “guerra delle tessere”, conclusasi senza un vero vincitore, resta pur sempre il rischio di una spaccatura nella mozione 1 Ferrero/Grassi, il tandem che da aprile guida questa fase della transizione. Il rischio di una scissione è scartata a priori da tutti. Non è un’ipotesi credibile, ma è giunto il momento per Vendola, ormai ad un passo dalla segreteria, di provare a mescolare le carte, di proporre la sua candidatura quale sintesi di unità e trasparenza. “E’ il momento di ricomporre l’unità di Rifondazione” sostiene il politico pugliese.La questione è politica. “Chi ci accusa di voler sciogliere il Prc – chiarisce Vendola - usa il termine Costituente come sostantivo, mentre noi lo adoperiamo come aggettivo”. Rifondazione – almeno per il momento – non si discute. E’ il punto di partenza di un progetto di ricostruzione che non può e non deve essere impulsivo.

Paradossalmente tra le varie mozioni (1 Ferrero/Grassi, 3 Pegolo/Giannini/ Verruggio, 4 Bellotti, 5 De Cesaris/Russo/Stramaccioni) il più vicino all’intesa è anche quello teoricamente più lontano, cioè quello rappresentato da Claudio Grassi, coordinatore di “Essere Comunisti”. Lo stesso dirigente che ha annullato il congresso di Reggio Calabria, risultato poi decisivo per il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta per il politico barese. “Vorrei solo evitare che si esca da Chianciano con tre - quattro documenti diversi e senza una linea politica definita – sostiene Grassi – se c’è l’intesa ogni mozione deve avere la possibilità di entrare in segreteria”.

Se sulla linea politica, l’accordo, ancorché complicato, non sembra irraggiungibile, un’intesa sul futuro della segreteria è un colpo a dir poco proibitivo. Per la mozione 2 “il nome di Nichi Vendola è irrinunciabile”, ma non può dirsi altrettanto per le altre correnti. L’ex senatore Giovanni Russo Spena, ad esempio, esclude qualsiasi accordo su una segreteria “targata Vendola”. “Il fatto che si sia candidato tentando il plebiscito senza esserci riuscito, non depone a suo favore – afferma Grassi – ma di questo discuteremo in seguito.” E conclude: “Nel partito ci sono tanti pesi e contrappesi…” Come dire che se ne parlerà a Chianciano, nessuna anticipazione.