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di Lidia Campagnano

Quando si dice che questo paese ha bisogno di una svolta si è molto al di sotto di ogni verità. Questo paese ha bisogno di un governo che, con decisa pazienza, ricostruisca le strutture elementari della dignità civica, della cultura di base, della semplice funzionalità statale. A testimoniarlo è, se ce ne fosse bisogno, la giornata di attesa dei risultati elettorali:a cinque ore dalla chiusura dei seggi, con un sistema elettorale che in teoria rendeva semplicissimo e rapidissimo il conteggio, non avevamo neppure i risultati della metà dei seggi del senato; due società addette ai sondaggi davano i numeri come solo gli ubriachi, il Ministero degli Interni aveva l'aria di essere chiuso, per ferie o per altro, e l'opinione pubblica era in preda alle televisioni, come durante il Festival di San Remo.
La vergogna, questa volta, ha invaso anche le menti più sobrie tra coloro che hanno votato, semplicemente, per avere un governo più degno di questo nome. Siamo come il Libano. Come i paesi più devastati del Terzo mondo. O come i paesi che hanno cambiato regime da poco. Con un'angoscia in più, però: in quei paesi l'irrompere della povertà anche in plaghe sociali che prima se ne salvavano e l'evidenza di un'amara ingiustizia sociale determinano spesso spostamenti politici più chiari che non da noi. Qui, in Italia, dove si è verificata una vergognosa concentrazione della ricchezza nelle mani di 250.000 persone, e dove la precarietà ha un volto infinitamente più devastato che nel resto dell'Europa occidentale ed è per giunta una formidabile fonte di illegalità ulteriore, nessuno più capisce in base a quali considerazioni elettori ed elettrici compiano la loro scelta di voto.


Dunque, il problema di questo paese è eminentemente e radicalmente culturale. Riflettano, per piacere, coloro che aspirano a dargli un governo: l'economicismo del quale i discorsi politici sono permeati, di destra o di sinistra che sia, non fa altro che incrementare un'opinione secondo cui bisogna fare i soldi, non produrre qualcosa; bisogna tenerseli e non pagare le tasse, bisogna educare figli "elastici", capaci di svolgere qualsiasi compito, non figli capaci di fare qualcosa di buono e dunque dotati di dignità. Quanto al richiamo ai "valori", blandire identità e tradizioni confessionali, "dottrine sociali" cardinalizie, ondate sentimentali circa la difesa degli embrioni dalle mamme cattive, non fa altro che alimentare l'ipocrisia nazionale secondo la quale basta sposarsi in chiesa, per il resto si può essere darwinisti come nessun liberista yankee riesce ad essere, almeno non con altrettanto selvaggio estremismo personale e politico.

Svolta? Questo paese ha bisogno di una rivoluzione, e che sia culturale. I governi di solito non fanno rivoluzioni, ma viviamo un'epoca particolarissima se è vero che, "spiritualmente" forse si sta meglio in America latina che in Italia. Si tratta di deprimere la giocosità nazionale che considera anche le elezioni come una hit parade da godere tra un intrattenimento televisivo e un po' di gioco in borsa, e di proporre strutture minime di ricostruzione personale e collettiva: dalle scuole ai partiti, dalle televisioni ai luoghi di lavoro. Con campagne di alfabetizzazione su due temi: lo Stato, che è Stato sociale, la ricchezza, che va prodotta e ridistribuita.
Tanto per cominciare. Su tutto il resto, valori, culture, relazioni umane: chi ha filo da tessere tesserà, se solo non gli viene impedito di pensare, se non lo si soffoca in un mare di stupidità.
Così forse diventeremo un paese latinoamericano, o mediorientale, o asiatico: sarebbe meglio.