Quando si dice che questo paese ha bisogno di una svolta si è molto
al di sotto di ogni verità. Questo paese ha bisogno di un governo che,
con decisa pazienza, ricostruisca le strutture elementari della dignità
civica, della cultura di base, della semplice funzionalità statale. A
testimoniarlo è, se ce ne fosse bisogno, la giornata di attesa dei risultati
elettorali:a cinque ore dalla chiusura dei seggi, con un sistema elettorale
che in teoria rendeva semplicissimo e rapidissimo il conteggio, non avevamo
neppure i risultati della metà dei seggi del senato; due società
addette ai sondaggi davano i numeri come solo gli ubriachi, il Ministero degli
Interni aveva l'aria di essere chiuso, per ferie o per altro, e l'opinione pubblica
era in preda alle televisioni, come durante il Festival di San Remo.
La vergogna, questa volta, ha invaso anche le menti più sobrie tra coloro
che hanno votato, semplicemente, per avere un governo più degno di questo
nome. Siamo come il Libano. Come i paesi più devastati del Terzo mondo. O
come i paesi che hanno cambiato regime da poco. Con un'angoscia in più,
però: in quei paesi l'irrompere della povertà anche in plaghe
sociali che prima se ne salvavano e l'evidenza di un'amara ingiustizia sociale
determinano spesso spostamenti politici più chiari che non da noi. Qui,
in Italia, dove si è verificata una vergognosa concentrazione della ricchezza
nelle mani di 250.000 persone, e dove la precarietà ha un volto infinitamente
più devastato che nel resto dell'Europa occidentale ed è per giunta
una formidabile fonte di illegalità ulteriore, nessuno più capisce
in base a quali considerazioni elettori ed elettrici compiano la loro scelta
di voto.
Dunque, il problema di questo paese è eminentemente e radicalmente culturale.
Riflettano, per piacere, coloro che aspirano a dargli un governo: l'economicismo
del quale i discorsi politici sono permeati, di destra o di sinistra che sia,
non fa altro che incrementare un'opinione secondo cui bisogna fare i soldi,
non produrre qualcosa; bisogna tenerseli e non pagare le tasse, bisogna educare
figli "elastici", capaci di svolgere qualsiasi compito, non figli
capaci di fare qualcosa di buono e dunque dotati di dignità. Quanto al
richiamo ai "valori", blandire identità e tradizioni confessionali,
"dottrine sociali" cardinalizie, ondate sentimentali circa la difesa
degli embrioni dalle mamme cattive, non fa altro che alimentare l'ipocrisia
nazionale secondo la quale basta sposarsi in chiesa, per il resto si può
essere darwinisti come nessun liberista yankee riesce ad essere, almeno non
con altrettanto selvaggio estremismo personale e politico.
Svolta? Questo paese ha bisogno di una rivoluzione, e che sia culturale. I
governi di solito non fanno rivoluzioni, ma viviamo un'epoca particolarissima
se è vero che, "spiritualmente" forse si sta meglio in America
latina che in Italia. Si tratta di deprimere la giocosità nazionale che
considera anche le elezioni come una hit parade da godere tra un intrattenimento
televisivo e un po' di gioco in borsa, e di proporre strutture minime di ricostruzione
personale e collettiva: dalle scuole ai partiti, dalle televisioni ai luoghi
di lavoro. Con campagne di alfabetizzazione su due temi: lo Stato, che è
Stato sociale, la ricchezza, che va prodotta e ridistribuita.
Tanto per cominciare. Su tutto il resto, valori, culture, relazioni umane: chi
ha filo da tessere tesserà, se solo non gli viene impedito di pensare,
se non lo si soffoca in un mare di stupidità.
Così forse diventeremo un paese latinoamericano, o mediorientale, o asiatico:
sarebbe meglio.