Il caso Meocci, come previsto, è arrivato alla sua logica e inevitabile
conclusione: l'ex consigliere dell'Authority tlc in quota Udc, arrivato sulla
poltrona più alta di viale Mazzini per aver contribuito alla stesura
della legge Gasparri, e' incompatibile con la carica di direttore generale della
Rai e deve quindi lasciare, immediatamente a parere dell'Autorità, l'incarico
che attualmente ricopre a viale Mazzini.
Ci sono volute tre riunioni, ma alla fine l'Autorità per le Comunicazioni
si é espressa con grande severità su una questione che, già
al momento della nomina di Mocci, era apparsa palesemente in contrasto con la
legge: tuttavia si è voluta trascinare fino ad oggi nell'attesa, probabilmente,
di conoscere quale sarebbe stato il nuovo assetto politico del Paese. Anche
l'Authority, a quanto sembra, tiene famiglia. Il neo incompatibile dg della
Rai si é visto anche comminare una multa di 373 mila euro, mentre la
Rai, per averlo nominato dg, sarà chiamata a pagare 14,3 milioni di euro,
una cifra pari all'attivo di bilancio aziendale che proprio ieri pomeriggio
il cda Rai ha approvato. Nonostante gli appigli giuridici siano piuttosto labili,
c'è da ritenere che la Rai decida di ricorrere al Tar del Lazio contro
la delibera, se non altro nella speranza di veder ridotta la sanzione. Ora, tuttavia, si apre uno scenario piuttosto complesso per il futuro della
tv pubblica. Secondo le prime indicazioni, la delibera adottata dal consiglio
dell'Authority, che é stata votata dai quattro commissari del centrosinistra
e dal presidente Corrado Calabrò, e' immediatamente esecutiva e quindi
Meocci dovrebbe lasciare viale Mazzini "seduta stante". Ma a decidere
su questo punto sarà il cda della Rai, che dovrà prendere atto
della decisione dell'Autorità e scegliere se opporsi lasciando il dg
al suo posto. Sulla questione dell' incompatibilità, Meocci si era sempre
difeso sostenendo che il suo era "un ritorno in Rai", essendo un caposervizio
del Tg1 in aspettativa durante l'incarico svolto proprio come consigliere dell'Agcom:
una spiegazione piuttosto fragile, visto che la legge 481 del 1995 impedisce
ai componenti dell'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, per
un periodo di almeno quattro anni dalla cessazione dell'incarico, di intrattenere,
direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di
impiego con le imprese operanti nel settore di competenza dell'Autorita.
E lo sapevano tutti, per primo il ministro del Tesoro, allora Siniscalco, l'azionista
principale di viale Mazzini. L'esito di quella improvvida quanto illegittima
nomina è stato commentato duramente dal consigliere Rai, Rognoni: "La
Rai con questa decisione rischia di dover navigare in un mare di incertezze
- disse - e fa rabbia pensare che un governo, in carica ancora per qualche giorno,
abbia fatto nove mesi fa una scelta che oggi si è dimostrata irresponsabile".
Più che irresponsabile, profondamente arrogante. Meocci è stato
imposto a viale Mazzini dalla maggioranza di centrodestra, con lo scopo di asservire
la Rai a Berlusconi durante la campagna elettorale. Peccato che però,
alla fine il direttore generale sia stato meno utile del previsto, tant'è
che negli ultimi mesi la sua poltrona non veniva più difesa con convinzione
neppure dallo stesso centrodestra. Che, infatti, ieri l'ha mollato senza troppi
rimpianti.
Meocci è stato nominato il 5 agosto 2005 e, proprio in virtù della
possibile violazione di legge che il suo incarico avrebbe costituito, il presidente
Rai, Petruccioli, chiese ed ottenne dal Tesoro una "assicurazione"
per non far pesare sui bilanci di viale Mazzini le salatissime multe previste
in frangenti come questi, dove la gestione aziendale non c'entra, ma le pressioni
politiche, invece, parecchio: 14.379.307,00 euro, l'ammontare della sanzione,
sono infatti pari allo 0,5% del fatturato di Viale Mazzini. Adesso, però,
inutile recriminare: la Rai naviga nuovamente a vista. "Il caso Meocci
deve essere un'occasione per una vera svolta nella gestione della Rai",
si è augurato il verde Pecoraio Scanio, ma il ministro Landolfi è
dubbioso: " Non si capisce infatti perche' l'Agcom abbia atteso fino ad
oggi prima di decidere, impedendo di fatto al Governo di adottare tempestivamente
i provvedimenti consequenziali. Non vorremmo che fossimo in presenza di una
nuova forma di spoil system". E c'è anche chi la spara grossa:
"Sbaglierò - ha sostenuto senza vergogna alcuna il coordinatore
di Forza Italia, Bondi, - ma anche la decisione dell'autorità garante
per le comunicazioni si inserisce in un clima che puzza di regime. E' un altro
brutto segnale, dopo tanti altri di questi primi giorni".
Ma quale regime Come ha sottolineato il presidente della Vigilanza Rai, Gentiloni l'Autorità ha deciso nei tempi e nei modi previsti dalla legge. Non spetta alla politica pronunciarsi sul merito. Si e' trattato infatti di una decisione tecnico giuridica assunta in piena conformità con l'istruttoria svolta dagli uffici e dal servizio legale dell'Autorità stessa. Quasi più veloce di una prescrizione.