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di Cinzia Frassi

I tratti salienti della riforma Costituzionale voluta dal centro destra riguardano principalmente la famosa devolution, la trasformazione del Senato in Senato Federale, il Primo ministro e la demolizione della forma di governo parlamentare.
Per quanto riguarda questo ultimo aspetto, nel disegno di questa riforma, il Primo ministro viene ad assumere un ruolo centrale, assolutamente predominante nella vita istituzionale, oscurando i poteri tipici degli altri organi costituzionali, sbilanciando pericolosamente quel meccanismo di pesi e contrappesi che sta alla base di un funzionamento democratico delle istituzioni e che le rende impermeabili anche ad attacchi dall'interno, storicamente pericolosi. Consideriamo in primo luogo che il Primo ministro verrebbe eletto direttamente dai cittadini ed è collegato ad una lista di candidati o ad una coalizione. L'art. 92 della Costituzione, nella sua nuova stesura, comporta che "la legge disciplina l'elezione dei deputati in modo da favorire la formazione di una maggioranza collegata al candidato alla carica di Primo ministro". In sostanza si tratta di un premio di maggioranza che va a rafforzare quel cordone ombelicale che lega il primo ministro e la maggioranza a lui collegata alla Camera. Un legame ulteriormente consolidato dalle previsioni del nuovo art. 94, che, insieme ad altre disposizioni, costruisce la sostanziale "inamovibilità" del Premier e spoglia il Parlamento del suo ruolo centrale, politico e di controllo. Nella logica dei riformatori, l'elezione diretta del Primo ministro da parte dei cittadini lo esenta dal presentarsi alle Camere per ottenerne la fiducia. "Il Primo ministro illustra il programma di legislatura e la composizione del Governo alle Camere entro 10 gg dalla sua formazione. La Camera dei deputati si esprime con un voto sul programma" (nuovo art. 94, comma 1). Una fiducia presunta che obbliga a considerare il venire meno di quella centralità del Parlamento che sostanzialmente fino ad ora ha convalidato la politica del governo ed il suo programma proprio con la fiducia e proprio nel momento della sua nascita, che in tal modo diventa politica comune.

Non solo. La presunzione di quella fiducia unitamente al fatto che passa sostanzialmente nelle mani dello stesso Primo ministro il potere di sciogliere la Camera dei deputati, consente di constatare il rapporto di dipendenza dell'Assemblea legislativa dal primo ministro, dove il legame così costruito diventa un facile strumento di ricatto.
Infatti, il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indice le elezioni su richiesta del primo ministro, in caso di sua morte o impedimento permanente, in caso di sue dimissioni o quando venga votata dalla Camera una mozione di sfiducia ai sensi del 3 comma del nuovo art. 94. Il potere di sciogliere le camera passa di fatto nelle mani del Primo ministro perché, tranne nel caso di una mozione di sfiducia, dipende da una sua decisione. Il Presidente della Repubblica è relegato ad un ruolo simbolico e notarile.

La legislatura va avanti se resta al suo posto il Primo ministro. Lo si evince da un lato da quanto previsto dall'art. 94, comma 2, nella sua nuova stesura, a proposito della questione di fiducia con la quale il primo ministro chiede alla Camera che si esprima con priorità sulle proposte del Governo, con l'esclusione delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale. In caso di voto contrario il primo ministro si dimette. E' chiaro che porre tuot court la questione di fiducia significa mettere sostanzialmente ai ferri corti la Camera e la sua maggioranza, che normalmente si inchina così al capo del governo, eventualità che del resto abbiamo già visto accadere.
Dall'altro va considerata la possibilità che la fiducia, inizialmente presunta, venga meno in forza di una mozione di sfiducia presentata e approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti la Camera. Ma questa previsione non è sufficiente per scalfire il potere e quella inamovibilità propria di un premierato così forte, al quale è sufficiente controllare una parte di quella maggioranza, i suoi fidati di partito ad esempio, per scongiurare il pericolo di essere mandato a casa.
Le stesse considerazioni si possono fare a proposito della cosiddetta mozione costruttiva, che appare inserita nel disegno della riforma quasi come un tentativo per rendere meno evidente la figura sui generis del Primo ministro, e che consente di definire l'assetto democratico futuro, referendum permettendo, come una Repubblica del Premier.
Credo sia già stato ampiamente dimostrato negli ultimi 5 anni che una maggioranza forte possa agire indisturbata e indisturbabile sotto la guida di un Premier forte, fin qui in termini economici e di controllo dei mezzi di informazione, cui si aggiungerebbero le prerogative qui dette.

La mozione costruttiva, inserita dal nuovo art. 88, comma 2, consente "ai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti la Camera" di dichiarare di voler continuare nell'attuazione del programma e di designare un nuovo primo ministro. In sostanza, con la mozione costruttiva i deputati della maggioranza possono sostituire al primo ministro dimissionario un nuovo primo ministro.
In questo caso non si scioglie la Camera ma il Presidente della Repubblica nomina il nuovo primo ministro. Non c'è quindi la possibilità di un governo sostenuto da deputati appartenenti all'opposizione. In altri paesi, quali Germania, Spagna e Belgio, la sfiducia costruttiva non vede distinzione tra deputati di maggioranza e di opposizione, perché è finalizzata a consentire la prosecuzione della legislatura quando il Premier perde il sostegno che invece trova un'altra personalità politica.

Ma per rappresentare in maniera chiara la nuova figura e i poteri del Primo ministro nell'ottica di questa riforma, si deve considerare anche che in base al nuovo art. 95 egli non dirige più la politica generale del Governo, bensì la "determina", oltre che promuovere e coordinare l'attività dei ministri, che lui stesso nomina o revoca. Anche qui cambiano i rapporti e il loro atteggiarsi: chi dirige è necessariamente in un rapporto di sovraordinazione, decide se, come e cosa fare. Inoltre, è nelle mani del Governo la facoltà di dettare l'ordine del giorno a Camera e Senato. (nuovo art. 72, comma 5)

Un premierato forte che appare una risposta alla mal sopportata scomodità di quell'assetto democratico disegnato dalla Costituzione del '48. Un cancellare vincoli dell'ordine democratico vissuti apertamente dalla politica degli ultimi anni come ostacoli alla "modernità" alias al suo libero agire. Con l'introduzione dell'elezione diretta del Premier, unitamente all'effetto maggioritario gia abbastanza visibile, si provoca un forte cambiamento sociale oltre che politico. Le grandi coalizioni che sostengono il Premier inghiottono i partiti, nel loro essere formazioni classiche di contatto con la base, portatrici di pluralismo della domanda e dei bisogni sociali, di rappresentatività della realtà che sta fuori dai "palazzi della politica". Questa capacità, questo elemento di democraticità dello stato viene di fatto consegnato al Premier e alla sua coalizione, al suo gruppo ristretto di potere e alle sue istanze.

Non si tratta di demonizzare un modello basato su un premierato forte, ma di considerarlo anche alla luce della realtà attuale italiana, nel suo sistema di informazione, nell'atteggiarsi dei monopoli all'italiana, nell'aprire la finestra a protagonismi aberranti che potrebbero somigliare a quelli cacciati dalla porta dai nostri nonni.

Basti, a dimostrazione di quanto si è fin qui detto, la considerazione che questa stessa riforma, ormai scongiurabile solo con il "no" al referendum, rappresenta il pericolo di un atteggiarsi della politica che, solo con l'aiuto del premio di maggioranza alla Camera e con l'abilità nella tecnica di scambio di interessi nel suo interno, ha prodotto questa riforma costituzionale che cambia insieme a quei 53 articoli l'intera Repubblica così come la conosciamo.