di Rosa Ana De Santis

Le 48 ore annunciate sono passate e non solo gli sbarchi continuano, ma la soluzione politica si fa sempre più nebulosa all’orizzonte. In 12 ore sono arrivati quasi mille disperati a bordo delle solite carrette del mare. Nessuno sgombero dell’isola quindi, ma altri 7 sbarchi. Questa volta lo spot del premier dura ancor meno di quanto non sia accaduto per i rifiuti di Napoli e, forse per la prima volta in modo così plateale, l’onda di questa emergenza ha iniziato a far scricchiolare la maggioranza.

L’ipotesi avanzata dai buoni consiglieri del premier, e accettata dopo polemiche e resistenze dalla Lega, è quella di ricorrere per i migranti ad un  permesso temporaneo di 6 mesi per l’area Shengen. Questa soluzione permetterebbe, come rivendicato dagli stessi stranieri in fuga, di utilizzare il nostro paese solo come area di transito e di vedere spostamenti in altri paesi europei: Francia, Germania ed altri. Una soluzione che farebbe calare anche i rischi di tensioni e proteste da parte di chi si ritrova nei fatti bloccato in tendopoli sparse, senza alcune informazione sulla propria futura collocazione e con una evidente limitazione della libertà individuale.

Intanto l’accordo di cui Berlusconi parlava da giorni con la Tunisia non esisteva e l’incontro con il premier tunisino Beji Kaid Essebsi ha semplicemente affermato una volontà di collaborazione che per ora non ha lasciato carte scritte. Una commissione di tecnici è rimasta al lavoro, ma Maroni non ha alcun accordo in tasca. Del resto la Tunisia, dopo la rivoluzione dei gelsomini e la deposizione di Ben Ali, è un paese in piena ricostruzione con problemi enormi da affrontare, impensabile vederlo come partner ideale, dotato degli strumenti idonei, per intervenire in una crisi politica internazionale di questa portata. Anche la Commissione Europea, dopo aver riconosciuto alle autorità nazionali il potere di concedere permessi temporanei, ha ipotizzato, in caso di aumento dei flussi, soggiorni di un anno per i paesi comunitari.

L’onda dei profughi e dei rifugiati ha obbligato persino la politica di casa nostra, stereotipata su retorica mista a xenofobia, di ricorrere a strumenti politici e legislativi di accoglienza intelligente e condivisa con il resto dell’Europa. Per necessità si è dovuti andare oltre alle richieste di Bossi e dei suoi compari che volevano che i migranti non disturbassero i Comuni del Nord. Inizia però ora un’altra partita, più insidiosa, che sarà affidata alle amministrazioni locali e alla società civile, regione per regione; e sarà lì che il matrimonio con la Lega, che le fonti Pdl ancora danno per granitico e blindato, affronterà la sua sfida più ardua.

I voti dati agli sbandieratori del razzismo e della Padania, faranno fatica a riconoscersi in un governo che non ha voluto né potuto organizzare i rimpatri di massa, gridati nei comizi. Il primo a insistere su questa spaccatura è proprio il Ministro degli Interni, Maroni, che va a Tunisi con l’obiettivo principale di bloccare gli sbarchi, mentre Palazzo Grazioli da il via al permesso di soggiorno. Ci sono insomma due sensibilità politiche che, ora più che mai, escono allo scoperto e vedono proprio il premier in una posizione più sofferta e meno idillica con il Carroccio. Da un lato le soluzioni politiche di lungo respiro e l’Europa, che Berlusconi non può disattendere, dall’altro il carattere populistico e anti europeo della Lega.

Un veleno che rischia di far pagare prezzi altissimi a chi è in fuga dalle macerie del Nord Africa e forse anche a questa maggioranza che, senza spot e personalismi, torna a contare i propri voti e a svelare i numeri che il Cavaliere non ha. La sensazione è che invitare Bossi nella nuova reggia di Lampedusa per un accordo in casa, questa volta proprio non sarebbe una valida mossa, né sortirebbe gli stessi felici esiti di Arcore.

 

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