Verba volant, scripta manent. Eppure non è sufficiente vergare la carta
con parole, proclami, principi. La storia, come la realtà quotidiana
del nostro tempo, ci insegna che spesso le parole evaporano, leggere, come non
esistessero. Appare un fenomeno assurdo ed inaccettabile se osserviamo quell'evaporazione
nei principi riconosciuti dalla comunità internazionale con i quali essa
stessa si obbliga al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali.
Diventano pretestuose, scomode, fastidiose, quando si sovrappongono ad una realtà
che le corrisponde sempre meno. Così accade che, nonostante il nostro
sia un paese che sulla Carta ripudia la guerra, l'Italia sia andata in Iraq
con coloro che sulla base di menzogne, e ben consapevoli, "esportavano
la democrazia". Oggi il nostro paese si dichiara per il ritiro "responsabile",
che dovrà, entro Settembre, chiudere con una avventura indecente, sbagliata
ed illegittima sotto il comando dei falchi americani a difendere, in nome della
Enduring Freedom, il controllo statunitense dei pozzi di petrolio iracheni.
Restare ancora a raccogliere i frutti di una guerra nata sulla menzogna sarebbe
stato scandaloso, inaccettabile, spropositato. L'art.11 della Costituzione, è un'altra norma evaporata in nome di un
inganno lessicale, che traduce guerra in missione di pace o peace-keeping,
più suggestivo.
Nella strategia della tensione che domina lo scenario internazionale, dopo la
tensione per l'Iran, i lanci di missili da parte della Corea del Nord, gli attentati
quasi quotidiani in Iraq, oggi la situazione sul fronte Israeliano esplode nuovamente
e con un'intensità preoccupante, con il veto americano a dare man forte.
Anche lì, armi occidentali.
Questi ed altri eventi nel teatro internazionale finiscono con il lasciarci
percepire quanto evanescenti siano i principi e le norme di diritto internazionale,
tutti inzuppati di pace, disarmo, sicurezza internazionale, diritti umani. Non
è stato sufficiente calcare le piazze nella numerose manifestazioni pacifiste
che hanno fatto sentire la voce dei movimenti ed il loro no alla guerra, a tutte
le guerre, qui in Italia fino alla lontana America.
Quei movimenti, e l'opinione pubblica tutta, sono tuttavia l'unica forza che
può destabilizzare gli equilibri che i governi disegnano con le loro
alleanze, scoperte o celate che siano.
Così, ad esempio, tutti noi dovremmo rifiutare di lavorare per aziende che producono o fanno ricerca nel campo delle armi, soprattutto nucleari. Perché finché esiste il business delle armi ci saranno guerre e dovremo rassegnarci, tra le altre cose, ad avere bombe nucleari vicino casa. Trovarlo un fatto normale o fatalmente da accettare è insostenibile.
Se pensiamo ad esempio che l'Italia ha ratificato, come molti altri paesi, il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, ma non ci pensa nemmeno lontanamente a liberare il territorio nazionale dalle armi nucleari Usa, comprendiamo che non sono i governi gli attori più adeguati a portare la pace nel mondo. E' necessario uno sforzo più concreto ed intenso da parte dei popoli, dei cittadini.
Davanti alle grandi potenze, ai palazzi di vetro maestosi, capi di Stato che
si riuniscono per discutere di questioni di vitale importanza, pare quasi grottesca
la vicenda di Pordenone. Ci sentiamo sempre più lontani dai luoghi dove
il destino del mondo viene discusso e deciso e quando capita che venga citato
in giudizio in un tribunale qualunque niente meno che un paese come gli Stati
Uniti, nella persona del loro segretario alla difesa Rumsfield, viene quasi
da sorridere. Si perché in Italia è riconosciuta la possibilità
di citare in giudizio uno Stato straniero e quando questi viola una norma di
diritto internazionale, è soggetto alla giurisdizione del giudice nazionale
territorialmente competente.
Tiziano Tissino (Beati Costruttori di Pace), Giuseppe Rizzardo (Comitato unitario
contro Aviano 2000), Michele Negro (Rifondazione comunista), Carlo Mayer (Coordinamento
No global di Pordenone) e Monia Giacobini (Democratici di sinistra) si sono
rivolti al Tribunale civile di Pordenone nel dicembre 2005 per chiedere, oltre
al risarcimento dei danni, la rimozione delle 50 - numero probabile ma che non
è possibile verificare - atomiche presenti nella base di Aviano, in evidente
violazione del Trattato di non Proliferazione. Trattato che, nonostante sia
ormai svuotato della sua efficacia effettiva, risulta un ottimo veicolo per
portare la questione davanti ad un giudice italiano.
Il Trattato non consente all'Italia di ospitare ordigni nucleari e obbliga
gli altri paesi firmatari a non dispiegare gli stessi fuori dal loro territorio.
I cinque promotori della causa sono assistiti dagli avvocati Joachin Lau, Claudio
Giangiacomo e Filippo Trippanera della Ialana, Associazione internazionale di
giuristi contro le armi nucleari, e sperano che il giudice Alberto Rossi dichiari
illecita e dannosa per i cittadini la presenza delle armi nucleari e ne disponga
la rimozione dal territorio nazionale.
La prima udienza si è svolta lo scorso 7 luglio ed ha visto la presenza
davanti al Tribunale ad attenderli gruppi di pacifisti armati di bandiere
tra i quali la senatrice Lidia Menapace.
All'udienza nulla di fatto. Tutto rimandato al 23 marzo 2007 perché,
a quanto pare, il giudice non ha potuto accertare la regolare notifica della
citazione al governo degli Stati Uniti.
Non si sa cosa accadrà alla prossima udienza e come risolverà la questione il giudice italiano, ma va senz'altro apprezzato il tentativo di muoversi concretamente sul nostro territorio per ottenere che quei principi internazionali, ed in particolare quel Trattato, non siano lettera morta.
Sarebbe bene considerare che la comunità internazionale è composta da paesi, da Stati sovrani, quindi dai governi: la classe dirigente che detiene il potere, in ciascuno Stato, è parte attiva dello scenario internazionale, con le sue guerre, quelle di cui si parla e le altre taciute, con i traffici di armi che ognuno di questi stati produce.
La comunità internazionale non è concepita come ius naturale dei popoli, ma come ordinamento formato dagli Stati. A noi resta il ruolo attivo di segnare dei nostri passi le piazze della pace per generare una pressione pregnante e senza sconti sui governi, per costringerli alla pace e al rispetto di quei principi ormai caduti nella desuetudine.