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Ormai va di moda. Persino l’ex Vicepresidente statunitense, Joe Biden, afferma che la sconfitta referendaria della riforma costituzionale é stata merito/colpa di Vladimir Putin. E’ vero: Biden non è famoso per credibilità, semmai per una certa inclinazione alle gaffes, comprese quelle a sfondo razzista nei confronti del suo ex-presidente.

 

 

Ma l’affermazione dell’ex vicepresidente USA non coglie di sorpresa, perché ricordavamo effettivamente un tentativo pesante d’ingerenza straniera nel voto italiano.

 

Ma non proprio russo, visto che fu di Goldman Sachs, che scrisse parola per parola non solo le modifiche costituzionali proposte da Renzi, ma anche il report sull’agenda politica del segretario del PD, che lo adottò come programma sin dal suo insediamento al Nazareno. Certo, non si può escludere che la politica, oltre che le banche d’affari, abbiano tentato di condizionare il voto, ma anche qui abbiamo un memoria diversa da quella di Biden.

 

Ricordiamo infatti tanto l’allora Presidente USA, Barak Obama, quanto l’Unione Europea, che invitarono caldamente gli italiani a votare Si al referendum, raccontando di apocalisse possibile nel caso Renzi avesse perso. Da ultimo, l’ambasciatore statunitense a Roma, John Phillips, “avvertì” come, nel caso di una vittoria del No, gli investimenti americani sarebbero finiti. L’ingerenza, insomma, c’è stata, ma nessun testo in cirillico è girato presso i milioni di italiani che hanno fatto prevalere il No. Le bufale erano tutte italoamericane.

 

Se qualche ingenuo volesse prendere per buone le sparate di Biden dovrebbe concludere che deve avere avuto una forza tremenda la propaganda russa per riuscire ad imporsi, perché a favore del Si arrivarono pronunce nette dal Governo, dal Quirinale, da Confindustria, dal PD e da alcuni sindacati, da molti intellettuali a un tanto al chilo, da registi e attori, scrittori e giornalisti. Tutti coloro insomma che oggi vengono oggi definiti influencer e che una volta erano chiamati opinion maker.

 

Non furono però sufficienti. Il tentativo golpista di rimodellare la Costituzione sulle esigenze delle banche, torcendo il senso democratico della Carta attraverso l’annullamento della parte riguardante i principi ispiratori, venne rigettato con una forza che nessun ufficio studi di nessuna banca aveva immaginato. Come già accaduto anni prima con il tentativo di Berlusconi, l’Italia oppose uno rifiuto assoluto. 

 

Quello che il referendum dello scorso anno determinò nella coscienza nazionale fu un inizio di rinascita collettiva; la Costituzione venne difesa perché percepita come simbolo dell’identità nazionale, frutto di una storia scritta con il sangue dei vincitori contro il mostro nazifascista e che, proprio perché antifascista, nella sua prima parte rivendica principi di giustizia sociale, eguaglianza e libertà ai quali gli italiani non sono disposti a rinunciare.

 

Solo Renzi non aveva compreso quello che sarebbe accaduto; immaginò l’Italia provincia di Rignano sull’Arno e pensò che il modo migliore di festeggiare il Patto del Nazareno fosse quello di riuscire dove Berlusconi aveva fallito. Ne uscì a pezzi. Quel voto è stato il simbolo più efficace della fine della connessione tra Renzi e l’Italia; anticipò la caduta verticale di un borioso incompetente e di un partito concepito come suo comitato elettorale, privato dei riferimenti politici ereditati e ormai strutturato ad immagine e somiglianza del suo capo.

 

Adesso, ad un anno di distanza da quella disfatta, sia Renzi che il PD sono corsi ad iscriversi nel club dei danneggiati dalle fake news, che potrebbero adesso determinarne la prossima sconfitta elettorale. La bufala s’iscrive nel panorama deprimente della politica italiana e sottovaluta la forza dei fatti.

 

Non c’è bisogno di bugie, infatti, per giudicare Renzi e il PD per quanto fatto al governo del paese, la verità basta e avanza. Che poi la banda toscana non riesca a farsi una ragione di quanto gli italiani ormai la detestino attiene allo spessore che la caratterizza. Non ci riescono, non ci arrivano, non sanno darsi pace. E anche per perdere, si sa, c’è bisogno di grandezza.