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Addio alla “sguattera del Guatemala”. Addio a “babbo, devi dire la verità”. Addio a “cattivona, cattivona, cattivona”. Diciamo addio a tutte le intercettazioni che negli ultimi anni ci hanno insegnato a conoscere meglio la nostra classe politica. Con il suo classismo, le sue pantomime, i suoi pruriti senili. Non potremo leggere più nulla.

 

 

Nei giorni fra Natale e Capodanno, periodo in cui la vita rallenta e il pensiero si dissolve, il governo ha assestato il colpo. Nemmeno 24 ore dopo lo scioglimento delle Camere, quando ormai tutti avevamo la guardia abbassata, è stato varato il decreto legislativo sulle intercettazioni, frutto della delega contenuta nella riforma penale della scorsa estate. Dove non arrivò Berlusconi, è arrivato l’ineffabile ministro Orlando.

 

La legge è confusa, piena di passaggi difficili da interpretare che spianeranno la strada al caos. Ma ha un merito: mette d’accordo tutti. Nel senso che fa infuriare tutti, dai magistrati agli avvocati difensori, passando per i giornalisti. Senza pretese di completezza, mettiamo in luce tre problemi della nuova normativa.

 

Il più grave è il meccanismo che di fatto attribuisce alla polizia giudiziaria la selezione delle intercettazioni. Poliziotti, carabinieri e finanzieri decideranno sul momento quali parti delle conversazioni che ascoltano siano penalmente rilevanti e metteranno per iscritto soltanto quelle. In caso di errore - per distrazione, ignoranza, mancanza del quadro d’insieme - non ci sarà modo di correggere il loro operato. Il Pm non potrà esercitare alcun controllo: per farlo dovrebbe riascoltare da capo (e da solo) tutte le registrazioni, il che è impensabile. Non avrà nemmeno dei brogliacci che lo aiutino a capire dove cercare.

 

Il magistrato, insomma, agirà come un filtro di secondo livello. Passerà al setaccio le intercettazioni trascritte e separerà quelle che ritiene utili al procedimento da quelle che gli sembrano irrilevanti. Le prime non saranno coperte da segreto e gli avvocati difensori potranno ottenerne una copia. Le seconde, invece, finiranno insieme a quelle non trascritte (elencate con data, ora e numero di telefono) in un archivio sotto la responsabilità del Pm stesso, che ne garantirà la segretezza. I legali avranno 10 giorni di tempo (30 nei casi più complessi) per consultare questi verbali e le registrazioni non trascritte, ma non potranno averne una copia.

 

E qui sta il secondo problema. Come farà un avvocato a capire in quale intercettazione si nasconda l’informazione utile al suo assistito? Non avrà alcuna indicazione per orientarsi e in più dovrà concludere la ricerca in tempi strettissimi.

 

Gli intercettati ricchi potranno ovviare al problema pagando una squadra di avvocati, mentre le persone normali e i poveri dovranno rassegnarsi: la prova che li scagiona forse esiste, ma non la troveranno mai. Con tanti saluti al diritto alla difesa uguale per tutti.

 

Infine, la stampa. Ai giornalisti viene dato un contentino: potranno leggere e pubblicare le ordinanze di custodia emesse dal Gip una volta che queste siano state rese note alle parti. Al tempo stesso, però, negli atti si potranno inserire solo “i brani essenziali” e soltanto “ove necessario”.

 

Traduzione: se dalle intercettazioni emergeranno fatti d’interesse pubblico, che però risulteranno essere privi di rilevanza penale e inutili a giustificare le misure chieste dal Pm, rimarranno nell’oblio. Non potremo leggere più nulla. Né di sguattere, né di babbi, né di cattivone.