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Doveva essere “la Waterloo del precariato”, ma siamo ancora nella fase del cantiere. La pioggia di emendamenti in arrivo sul Decreto Dignità promette di cambiare notevolmente la natura del primo provvedimento varato dal governo Conte. E le incongruenze non mancano.

 

I contorni della legge che verrà sono ancora da definire, ma su questo Dl si misurano già due caratteristiche fondamentali dell’esecutivo gialloverde: l’inconciliabilità politica dei due partiti di maggioranza e la tendenza a improvvisare quando sti tratta di economia.

 

Sul primo fronte, la storia del decreto dimostra che Lega e Movimento 5 Stelle sono portatori di interessi in buona parte opposti. Per schematizzare, il partito di Matteo Salvini non può fare a meno delle imprese - soprattutto delle Pmi del Nord Est - mentre i grillini hanno il loro bacino elettorale di riferimento nei disoccupati e nei precari, soprattutto del Sud.

 

 

Proprio per questo i leghisti - fra un sorriso e una pacca sulla spalla agli alleati - subito dopo aver approvato il Dl in Consiglio dei ministri hanno promesso di correggerlo in Parlamento. Così com’è, a loro non può andare bene: le aziende vengono penalizzate in vari modi (sale il costo dei rinnovi contrattuali e aumenta l’indennità massima per i licenziamenti senza giusta causa), mentre le richieste degli imprenditori vengono ignorate. Il bastone senza la carota.

 

Di qui, la necessità delle toppe. La Lega è riuscita a farle digerire ai grillini, i quali hanno perfino ceduto sul ritorno dei voucher, definiti poco più di un anno fa da Di Maio “una forma di schiavitù”.

 

La novità più consistente all’orizzonte riguarda però nuovi bonus per le stabilizzazioni, un terreno su cui i gialloverdi danno prova quantomeno di scarsa creatività. Allo studio c’è infatti l’estensione al biennio 2019-2020 dell’ incentivo attualmente in vigore, cioè lo sconto contributivo del 50% con tetto a 3mila euro per le aziende che assumono under 35 a tempo indeterminato.

 

Si tratta del bonus varato l’anno scorso dal governo Gentiloni, che però - in base alle regole attuali - terminerà l’anno prossimo, peraltro abbassando l’asticella dell’applicabilità agli under 30. L’emendamento al Dl Dignità interviene proprio su questo punto, confermando la quota 35 anche per il 2019 ed estendendola al 2020.

 

Ma non è finita. Al momento, il Decreto Dignità aumenta dello 0,5% il contributo addizionale su ogni rinnovo contrattuale a partire dal secondo. Ebbene, un altro emendamento prevede di restituire alle aziende la somma corrispondente a questo aggravio nel caso in cui il contratto venga trasformato da precario a tempo indeterminato.

 

Purtroppo le cifre in gioco sono così irrisorie che difficilmente convinceranno gli imprenditore a cambiare politica sui contratti: si parla al massimo di un risparmio pari a 110-120 euro l’anno per ogni lavoratore stabilizzato.

 

Ma l’aspetto più straordinario è che questo incentivo è già in vigore dal 2012. A introdurlo fu la legge Fornero, che aumentò dell’1,4% il costo dei contratti a termine, una percentuale cui si sommerà lo 0,5% del Decreto Dignità. Peccato che già il provvedimento del governo Monti imponesse la restituzione del maggior costo in caso di stabilizzazione del contratto. La nuova norma sarebbe dunque ridondante.

 

Insomma, questi rattoppi sono nati per soddisfare le esigenze sbagliate - quelle elettorali di Salvini - e si stanno rivelando a dir poco miseri. Un prolungamento del bonus Gentiloni e una scopiazzatura della legge Fornero non basteranno a trasformare il Decreto Dignità in un grimaldello capace di scardinare il precariato italiano. Più che Waterloo, viene in mente la Fortezza Bastiani, quella del Deserto dei Tartari. Dove il tenente Drogo aspetta la gloria per tutta la vita. Inutilmente.