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Lo spread italiano sale, le aste del Tesoro vanno meno bene del solito e le agenzie di rating guardano Roma con occhi truci. La settimana scorsa è arrivata una pallottola a salve da Fitch, che ha confermato il giudizio BBB sul nostro Paese, modificando però il giudizio sulle prospettive da “stabile” a “negativo”. Ora incombono le pagelle di Moody’s e di Standard & Poor’s, che in caso di declassamento porterebbero l’Italia sull’orlo del rating “spazzatura”.

 

A creare tanta apprensione nei mercati è la legge di Bilancio che il governo legastellato scriverà nei prossimi mesi. Gran parte della questione gira intorno a un singolo valore: il rapporto deficit-Pil 2019, che peraltro l’Esecutivo dovrebbe anticipare con la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, attesa entro fine mese (in realtà sarà un Def ex novo, visto che la versione di aprile era un semplice schema senza valutazioni politiche prodotto dal governo Gentiloni in fase di proroga post-elettorale).

 

“Sfioreremo il 3% senza però superarlo, come solo i grandi artisti sanno fare”, ha detto Matteo Salvini ad Alzano Lombardo, dando l’impressione di prodursi in un’improvvisazione da palcoscenico più che in una valutazione tecnica. Dello stesso tenore l’intervento di Luigi Di Maio alla festa del Fatto: “Non saranno gli indici a stabilire lo stato del Paese, ma i sorrisi dei cittadini, la loro felicità”.

 

Con queste parole i due vicepremier hanno dato ragione a Fitch, che nella sua analisi sull’Italia ha puntato il dito contro la «natura nuova e non collaudata del Governo, le considerevoli differenze politiche fra i partner della coalizione e le contraddizioni fra gli elevati costi dell’attuazione degli impegni presi nel Contratto e l’obiettivo di ridurre il debito pubblico».

 

Proprio questa settimana i due partiti di Governo iniziano l’assalto alla dirigenza del Tesoro, con l’obiettivo di sponsorizzare le rispettive misure-bandiera, flat tax e reddito di cittadinanza. Il problema è conciliare due esigenze divergenti: una politica, l’altra contabile. In vista delle europee 2019 leghisti e pentastellati devono dare agli elettori l’impressione di aver mantenuto le promesse con cui hanno raggiunto il potere, ma al tempo stesso non possono permettersi di varare tassa piatta e reddito di cittadinanza nelle versioni originarie, perché costerebbero troppo. Più o meno – rispettivamente – 48 e 17 miliardi, soldi impossibili da trovare anche sfondando di qualche decimale il 3% di deficit-Pil.

 

I leghisti si sono quindi rassegnati a non poter varare la flat tax sbandierata in campagna elettorale, cioè un’aliquota unica al 15%. Una delle ipotesi alternative prevede la riduzione degli scaglioni Irpef da 5 a 3, accompagnata da un ampliamento della no tax area o da nuovi quozienti familiari. Sarebbe anche una soluzione meno iniqua dal punto di vista sociale.

 

Quanto al reddito di cittadinanza, Di Maio ha confermato che “arriverà nel 2019”, ma ancora non è dato sapere in che modo, anche perché per funzionare necessita di una riforma assai complessa dei centri per l’impiego (che, non è un dettaglio, sono gestiti dalle Regioni).

 

Nel frattempo, la Bce sta chiudendo il rubinetto del quantitative easing. Dal marzo 2015, l’Eurotower ha comprato Bot e Btp per oltre 350 miliardi di euro: quando questi titoli arriveranno a scadenza, la Banca centrale europea li sostituirà con altre obbligazioni pubbliche di pari importo – di fatto rinnovando l’investimento – ma a partire dal gennaio 2019 gli acquisti smetteranno di crescere.

 

Con il venir meno di un compratore sicuro e generoso come la Bce, il Tesoro farà più fatica a collocare i titoli di Stato, per cui è facile prevedere che nei prossimi mesi tassi e spread continueranno a salire. Se poi queste difficoltà si trasformeranno in un nuovo attacco speculativo contro il nostro Paese, dipenderà da come il Governo risolverà il rebus della manovra d’autunno. L’avvertimento arrivato negli ultimi mesi dai mercati non poteva essere più chiaro.