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Nelle recenti parole di Papa Francesco contro l’aborto, aldilà dello sconcerto o del fastidio che possono aver provocato, alcuni hanno voluto leggervi l’ennesimo altalenarsi di posizioni più aperte e più conservatrici proprie della retorica papale, altri hanno invece ritenuto di non doversi stupire per una presa di posizione così netta, trattandosi - appunto - del Papa.

 

In fondo, per la religione cattolica il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza è particolarmente delicato, assume un valore fondante dal punto di vista dottrinario e, insieme, fa emergere la rabbia e il fastidio delle gerarchie ecclesiali quando non riescono ad esercitare la loro influenza, ovvero a condizionare decisamente le scelte legislative dei diversi paesi cattolici. Italia in particolare, per ovvie ragioni.

 

 

Nelle parole di Francesco si possono riscontrare i tratti consueti del furore gesuitico, che hanno certamente contribuito a destare sorpresa; ma, purtroppo, ciò che è risultato insopportabile e davvero fuori luogo è la definizione di “sicari” affibbiata gratuitamente agli operatori sanitari - medici e paramedici – e a tutte quelle strutture sociosanitarie che, dalla presa in carico della paziente alla scelta del percorso, fino alla gestione dell’intervento, sono deputate dalla legge ad intervenire a sostegno delle donne. Definire “sicari” queste figure, che operano oltretutto in regime di estrema difficoltà, visto che la stessa 194 consente un troppo facile e generalizzato ricorso all’obiezione dei medici (che poi praticano però aborti nelle strutture private) è un insulto indegno, uno schiaffo alla decenza verbale, seppur papale.

 

Si può ritenere che le parole di Papa Francesco avessero anche uno scopo che andasse oltre il tema specifico della 194. Non è un mistero la lotta acerrima che contrappone il Pontefice gesuita alle lobbies cattoliche come l’Opus Dei e i Legionari di Cristo, seguiti da tutte le pattuglie sparse dell’oltranzismo clerico-fascista. Sono sette diaboliche più che cattoliche, che fanno del potere temporale e del denaro, dell’influenza sulle terrene scelte dei poteri politici e finanziari la ragione unica del loro esistenza.

 

Ufficialmente la disputa è sull’identità teologica che vede da sempre lo scontro tra l’ultradestra e i gesuiti, e che viene narrato anche come scontro sulla corretta o non corretta interpretazione della Dottrina Sociale della Chiesa; ma in realtà la parte reazionaria delle gerarchie ecclesiali attacca il papato di Francesco proprio per tentare di riconquistare le posizioni di potere perse con il suo arrivo a San Pietro. Al Papa argentino imputano persino una difesa eccessivamente blanda dei sacerdoti pedofili e ladri, comunque non all’altezza delle circostanze. Dossier, inganni, trappole mediatiche e complotti di tonache sporche abituate a dominare oltre ogni ragione e fede, guidano l'assalto e alcuni media si prestano volentieri all'affiancamento.

 

A detta di alcuni le parole così veementi e violente contro l'aborto risultano poco congrue per un magistero come quello di Francesco che, in molte altre prese di posizione, è parso impegnato nella maggior comprensione della società e con un minor rigore dogmatico nella lettura teologica. Si insinua dunque che la furia verbale evidenziata del Papa sull’aborto sia stata funzionale al tentativo di abbassare i toni dello scontro con l’ultradestra vaticana, cioè alla volontà di anteporre il governo vaticano allo scontro tra componenti del clero. Le parole esagerate di Francesco possono insomma essere lette come una sorta di dimostrazione che sui principi fondanti della Dottrina non vi sono esitazioni e che, dunque, se si vuole sconfiggere questo papato, non è nel nome del rispetto integrale dell’identità teologica che si possono ottenere risultati.

 

Non vi è certezza nell’analisi, l’estrema segretezza delle cose vaticane non aiuta a fare luce. Certo è che se Papa Francesco decide di aprire una fase negoziale con i suoi nemici, sarebbe bene evitasse i diritti civili e ricordasse che nessuna donna che sceglie d’interrompere una gravidanza lo fa a cuor leggero. Se il timore è che l’aborto divenga una pratica contraccettiva stiano tranquilli dietro al colonnato di San Pietro: nessuna preferisce il dolore a una pillola, l’ospedale ad un profilattico.

 

Nemmeno in Vaticano in fondo ci credono. Sono perfettamente consci del dramma femminile che c’è dietro l’aborto e dell’urgenza che vi era di fermare lo sterminio delle mammane, per cui una pratica di autodifesa clandestina divenne legge dello Stato. Ciò che spaventa le tonache è la libertà di scelta delle donne, la rivendicazione di proprietà del loro corpo e del loro destino, la sfacciataggine di porre loro stesse quale elemento decisivo per una maternità libera e consapevole. Si arrenda la Curia: se la creazione è cosa di dio, la procreazione è cosa di donne.

 

C’è piuttosto, nella Chiesa, un piano decisamente più profondo - perché interviene direttamente nella strumentalizzazione politica della lettura teologica - che anche in caso di necessità di aborto terapeutico assegna priorità ad una ipotesi di vita (quella del feto) piuttosto che ad una vita già esistente (quella della madre). E’ la stessa follia ideologica - e non teologica - che invitava le vittime degli stupri etnici in guerra a concepire comunque sebbene gravide di un orrore indicibile, favorendo così attivamente, peraltro, il disegno criminale su base etnica di chi lo aveva compiuto.

 

C’è, ancor più, un’idea della donna non solo unicamente nel ruolo di madre, ma addirittura come incubatrice della procreazione, soggetto inerte e privo di diritti di fronte al concepimento. Una sorta di strumento di procreazione, a cui devono essere negati in radice diritti e scelte; evidentemente, lungi dal rappresentare una persona in tutto e per tutto, la donna ha solo un suo ruolo sociale da osservare ed è solo alla chiesa che spetta il giudizio sul noumenico e fenomenico, suo come di tutti e tutte.

 

Eppure sarebbe meglio riconsiderare tanto i contenuti come la modalità della comunicazione verso l’esterno, dato che si è dinnanzi ad una chiesa giunta al più basso livello di credibilità della sua storia millenaria, nella quale i crimini sessuali e finanziari superano di gran lunga il valore delle sue opere benefiche, dove la minaccia delle sette evangeliche pone a rischio la capacità di Roma di garantire il suo controllo sui cristiani.

 

Non sarà con le mediazioni al ribasso e utilizzando il corpo delle donne come agnello sacrificale da sgozzare sull’altare della mediazione interna alla Chiesa a fornire un maggiore e più convinto consenso. L’integralismo religioso non ha mai fornito altro che divisioni, sangue e crisi delle vocazioni, mai vittorie. Inutile pensare di rovesciare la clessidra in direzione medioevo, l’Italia ormai abbonda di aspiranti Pasquino, tacere è diventato inusuale. Meglio allora prendere atto che la libertà è il fondamento di ogni scelta, che la dottrina teologica non può divenire Costituzione e che quello che viene considerato il peccato mortale assume spesso le sembianze del bene supremo.