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La scudisciata è di quelle pesanti, che lasciano il segno. Giovedì sera Mario Draghi ha impallinato Matteo Salvini con una reprimenda inattesa, soprattutto per la durezza dei toni. Le parole del presidente del Consiglio sono già incise nella storia di questa legislatura: “L’appello a non vaccinarsi - ha detto in conferenza stampa - è un appello a morire”. Non si tratta di una frase generica, ma di un preciso riferimento alle posizioni del leader leghista, che da qualche tempo si è inventato un compromesso per tenere buoni pro-vax e no-vax. La nuova linea del Carroccio suona più o meno così: “Le iniezioni vanno bene, ma per chi ha meno di 40 anni forse no”. Come sempre, la chiarezza manca dove il pensiero latita. 

 

Peraltro, la Lega era già uscita dolorante dal Consiglio dei ministri riunito prima del j’accuse draghiano. Una sconfitta su due fronti.

Il primo è quello delle discoteche, che il governo ha scelto di tenere chiuse malgrado le pressioni del Carroccio per una riapertura parziale. Il capodelegazione Giorgetti ha protestato con i colleghi ministri, definendo “incomprensibile” la scelta di vietare le serate danzanti ai giovani muniti di certificato verde. Ma è stato inutile. Anche in questo caso ha prevalso senza difficoltà la linea del Presidente del Consiglio.

La seconda debacle è quella più catastrofica per la Lega: l’estensione dell’obbligo di Green pass dal 6 agosto per frequentare cinema, musei e (soprattutto) ristoranti e bar al chiuso. Non è la linea di intransigenza totale varata da Macron in Francia, ma poco ci manca. Di sicuro, il provvedimento basta a smascherare l’incoerenza di Salvini, che la mattina arringa le folle inferocite per la “dittatura sanitaria” e la sera si piega senza resistere ai voleri di Palazzo Chigi. Non più tardi di un mese fa, con la consueta eleganza, Salvini ci deliziava con frasi tipo “il Green pass per i ristoranti è una cagata pazzesca”. Citazione appropriata quant’altre mai, visto che poi il segretario leghista ha fatto proprio la fine di Fantozzi, accettando la propria subalternità.

Se n’è accorta anche la base leghista, che subito ha riversato sui social la propria rabbia. Facebook e Twitter di solito sono la clava di Salvini, ma la decisione sul certificato verde li ha trasformati nella katana per l’harakiri. Il concetto espresso con maggiore frequenza nei commenti post-Cdm è più o meno questo: “Vi siete calati le braghe”.

Tuttavia, a ben vedere, non c’è molto di cui stupirsi. Con Fratelli d’Italia all’opposizione e i berlusconiani che giocano a fare i liberal, in questa maggioranza c’è un unico corpo estraneo: la Lega. Salvini è entrato nel governo solo per sedersi al tavolo degli aiuti europei e non rimanere a guardare mentre gli altri si spartivano soldi e poltrone (Quirinale compreso).

Una scelta sensata sotto il profilo dell’utilitarismo spiccio, ma folle dal punto di vista politico, perché fondata sulla percezione distorta che Salvini ha di sé. Inebriato dal grado di “Capitano” ricevuto dai fan, credeva di sopravvivere tenendo testa a Draghi, pensava che bastasse fare pressione su Palazzo Chigi per difendere l’equilibrio nella maggioranza. Ma sbagliava.

Al contrario di Conte, Draghi non cerca il compromesso a tutti i costi. Non gli interessa, non ne ha bisogno: è lì per fare i compiti dettati da Bruxelles e sa benissimo che nessuno avrà mai la forza di sabotare la maggioranza, perché il ribaltone metterebbe a rischio i soldi in arrivo dall’Europa.

Se tutto questo non bastasse, fra qualche giorno inizierà il semestre bianco, che blinderà il governo in modo definitivo e infliggerà un altro colpo al potere contrattuale della Lega. Salvini lo sa, per questo si lamenta sottovoce, a testa bassa. Non minaccia nessuno, non lancia ultimatum, ma fa il conciliante, si traveste da democristiano in cerca di mediazioni impossibili. E intanto perde voti.