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di Sara Nicoli

Dichiarare o consegnare ad una persona fidata la propria volontà di ricevere o meno terapie rianimatorie, di ventilazione, di alimentazione o di idratazione nel momento in cui non si abbia più la capacità di esprimerlo da soli. Sono queste le ''volontà anticipate'', piu' comunemente chiamate "testamento biologico" alle quali il Parlamento sta lavorando da mesi muovendosi nel solito terreno accidentato che contraddistingue le discussioni politici sui temi etici. Casi clamorosi di cronaca (come la battaglia di Piergiorgio Welby per porre fine ad una vita legata solo alle macchine) hanno portato il tema delle volontà anticipate nel cuore dello scontro bioetico. C'é una netta spaccatura, trasversale a maggioranza e opposizione, tra chi ritiene che sia il medico, in scienza e coscienza, in dialogo con il paziente e la sua famiglia, a dover tracciare il confine tra cura e accanimento terapeutico, tra pietà e dignità. Altri quelli che invece credono che la parola ultima spetti al malato, che puo' esprimerla anche quando e' ancora in salute, o in una fase iniziale di una malattia invalidante il cui decorso non lascia adito a speranza alcuna. Una scelta (tra l'obbligatorietà del rispetto del "testamento" da parte dei medici, quella della possibilità di obiezione di coscienza e ancora quella sulla scelta non soltanto di "staccare la spina" di respiratori e affini, ma anche di interrompere nutrizione e idratazione meccaniche) che divide quasi geometricamente i ddl attualmente in discussione nella commissione Sanità del Senato. "Immagino che a giugno il ddl potrebbe arrivare al Senato" ha annunciato nel convegno di Roma il presidente della commissione Ignazio Marino, fiducioso che "alla fine si riuscirà a distinguere che cos'é sostegno alla vita e che cos'é, invece, terapia, e dunque rinunciabile, da parte del paziente", secondo anche quanto affermato dalla Costituzione. Ma componenti decisive nella costruzione della maggioranza, come ad esempio la corrente Teodem, sembrano pronte a dare battaglia.

Il rischio è che anche questo tema finisca in polveroni polemici com'è accaduto con la legge 40, anche se non si sta parlando di casi di persone pienamente coscienti come Welby, e dunque non è in gioco nulla che possa essere considerato un cavallo di Troia per l’eutanasia. Il discussione c’è invece uno strumento che dà voce ai pazienti che non possono più esprimere il consenso. Tornare a parlare di testamento biologico adesso, dopo la guerra dei Dico e la crisi di governo del mese scorso, è una decisione tutt'altro che banale. Sorprende in positivo, quindi, la scelta della presidenza del Senato di promuovere, insieme alla commissione sanità, un confronto aperto sul quale è intervenuto anche il Presidente Napoletano augurandosi che il Parlamento decida in fretta e positivamente su un tema sentito veramente da tutti. La scommessa è di provare a spoliticizzare l’argomento per evitare che le volontà anticipate di trattamento diventino l'ennesimo terreno di scontro politico tra laici e cattolici. O che vengano riposte nel cassetto degli argomenti troppo scomodi e lì dimenticati.

Ma quante chance ci sono di disinnescare tutte le mine poste lungo l'iter legislativo che sta partendo nella commissione presieduta da Ignazio Marino? Il presupposto fondamentale per raggiungere il traguardo è non caricarlo di significati che oltrepassano il suo perimetro originario: il testamento biologico è uno strumento pensato per restituire la voce a quei pazienti che non sono più in grado di esprimere il proprio consenso informato sulle cure a cui vengono sottoposti. E per non lasciare i medici da soli, di fronte a decisioni difficili da cui dipendono la vita e la morte di malati con cui non è più possibile comunicare.

Per scacciare i fantasmi, in teoria, basterebbe rileggere la convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e la biomedicina, che non può certo essere sospettata di derive laiciste. Lo stesso testo che accorda protezione agli embrioni (drt. 18) riconosce l'importanza dei desideri precedentemente espressi dai pazienti che, al momento di un intervento medico, sono in stato di incoscienza (art. 9). Questa consapevolezza non dovrebbe vacillare neppure quando si discute dei nodi più difficili come la nutrizione artificiale, che resta la mina più pericolosa sulla strada verso l’approvazione di una legge sulle volontà anticipate di trattamento. La nutrizione artificiale va inclusa fra i trattamenti medici che possono essere rifiutati quando si compila il testamento biologico?

C'è chi sostiene di no, perchè è convinto che si tratti di un atto di assistenza, alla stregua delle cure infermieristiche, e quindi interromperlo significherebbe lasciare il paziente in uno stato di abbandono. E c'è chi sostiene di si, perchè quel che conta sono le volontà del paziente: quando è cosciente, per potergli praticare la nutrizione artificiale, è necessario ottenere il suo consenso informato. Perché dovremmo sottrarre lo stesso atto alla sua autodeterminazione quando è incosciente?

Il caso Terri Schiavo ha dimostrato quanto sia facile cadere in preda ai dubbi quando si parla di sospensione della nutrizione artificiale. Se si lascia che l'emotività abbia la meglio sulla ragione si finisce per pagare il prezzo dell’immobilismo che può sfociare anche nella barbarie: chi può sentirsi tranquillo di fronte all'idea che vengano negati cibo e acqua proprio ai malati più vulnerabili, condannandoli a morire di sete e di fame? Ma il testamento biologico nasce proprio per rispettare le volontà del paziente, non certo per trascurare i suoi bisogni più elementari: è bene che il fatto sia chiaro per evitare fraintendimenti, speculazioni politiche e rigurgiti di oscurantismo cattolico che, purtroppo, si sono già fatti sentire nel dibattito ponendo distinguo destinati, se accolti, a disinnescare la validità della prossima legge.

Lo scorso gennaio in pochi si sono accorti che la Società italiana di nutrizione enterale e parenterale (Sinpe) ha preparato un documento per contribuire al dibattito pubblico. In quelle pagine si sostiene che la nutrizione artificiale si configura sempre come un atto medico, perché è un trattamento sostitutivo, come la ventilazione meccanica e l'emodialisi. Infatti viene intrapreso per sostituire il deficit di una funzione complessa, come quella dell'alimentazione naturale, quando questa è compromessa. È un atto che ha indicazioni, controindicazioni ed effetti indesiderati e che quindi non può, come vorrebbero alcuni, essere tenuto fuori dalla legge sul testamento biologico. Eppure è proprio su questo punto che si incontrano le più pesanti resistenze.

E sono i Teodem, supportati direttamente dal Cardinale Javier Barragan, a voler introdurre limitazioni proprio a partire dal nodo della nutrizione. Nonostante i rappresentanti di tutte le altre principali confessioni religiose non abbiano trovato nulla da dire sull’argomento, per Barragan la nutrizione artificiale non può essere in alcun modo considerata accanimento terapeutico perché “non sono terapie, ma modi di soddisfare la necessità di un paziente che non può farlo da sé”. La scienza ci dice il contrario ma la Chiesa, come al solito, pensa di saperne di più. E incaponendosi a difendere questo punto mira a rimettere in discussione anche altre questioni attraverso sei “condizioni imprescindibili” che altro non sono che paletti per impedire il varo di una legge socialmente avanzata.

Il presidente della commissione Sanità del Senato, Ignazio Marino, conta di presentare un ddl condiviso da tutte le forze politiche entro la fine di maggio. Ma il Vaticano è in grande allerta. E nonostante le aperture non esiterà ad invadere nuovamente il campo con diktat e richiami all’obbedienza del proprio gregge parlamentare che, onestamente, non sono più sopportabili. Ma se questo scenario, come è presumibile, dovesse concretizzarsi, la legge sul testamento biologico farà la fine dei Dico e toccherà scendere in piazza per riaffermare un diritto che dovrebbe essere considerato parte integrante dei diritti delle persone, quello di morire con dignità. Contro una Chiesa sempre meno umana e contro un Parlamento sempre più ostaggio del “partito di Dio”.