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di Sara Nicoli

Si diceva, una volta, che la classe operaia andava in paradiso. A risentirlo oggi, questo antico adagio sembra quasi una beffa, un cinico presagio dell’attualità: la classe operaia di oggi va davvero in paradiso. E ci va sempre più spedita e numerosa, a gruppi di cinque, sei al giorno, dopo aver assaggiato l’inferno nei luoghi di lavoro dove la sicurezza latita al pari dei contratti a tempo indeterminato, dove il cottimo e il caporalato non fanno ormai più notizia mascherati da una gergalità leguleia che, ovviamente, salva la forma lasciando intonsa la sostanza. Oggi è il primo maggio, la festa del lavoro che non c’è, del sommerso, dell’occupazione senza regole e sicurezza. E’, forse, più la festa di San Precario che quella del lavoro, perchè si festeggiano idealmente anche i 1390 assenti, lavoratori caduti sotto la falce bianca negli ultimi 12 mesi e molti dei quali al nero, un dato da terzo mondo che rischia di rimanere a lungo tale perché a nuove regole di sicurezza che il governo imporrà presto alle imprese non corrisponde un adeguato numero di ispettori che quelle stesse regole dovrebbero far rispettare in modo draconiano. Perché poi, alla fine, non ci sono solo i morti da piangere, ci sono anche 7606 nuovi invalidi, vittime di 304.260 infortuni (dati Inail), vite comunque spezzate che oggi, primo maggio, festa del lavoro, non hanno davvero nulla da festeggiare. Nel novero delle buone intenzioni che sempre accompagnano le feste comandate, ieri si è registrata la presa di posizione della ministra della Salute, Livia Turco, che ha lanciato lo slogan che oggi accompagnerà le manifestazioni in corso in tutta la Penisola. “L’Italia riparte dal lavoro” è una frase carica di significato, che suscita pensieri complicati e che suona come un impegno forte a ricostruire l’asse portante di una nazione: il lavoro, appunto. Ma c’è davvero questa volontà? Un rapido giro d’orizzonte mette in evidenza l’esatto contrario. L’occupazione è punteggiata da condizioni di lavoro sempre più precarie ed alienanti. I dati statistici evidenziano un sensibile aumento dei posti di lavoro, ma non rendono conto dei bassi salari, delle mancate sicurezze e tutele per i lavoratori, del dilagare dei lavori a tempo determinato ed a bassa qualità professionale. Un tempo abbiamo pensato che le nuove tecnologie, che permettevano di ottenere lo stesso risultato con minore impiego di tempo e di energie, ci avrebbero permesso di lavorare con meno fatica e di dedicare più tempo alla nostra vita. Non è andata così perché la competitività internazionale non regolata e la finanziarizzazione dell'economia hanno spinto le imprese ad assumere per tempi brevi ed a richiedere l'assoluta padronanza del tempo di chi lavora. Sono nate così le oltre quaranta tipologie dei contratti di lavoro previste dalla legge 30 (lavoro a chiamata, lavoro in coppia, contratti a progetto etc.).La dignità del lavoro non ha più cittadinanza e questa situazione ha prodotto l'impossibilità per tanti giovani, ma anche per tanti quarantenni e cinquantenni espulsi precocemente dal mercato del lavoro, di progettare la propria vita e di guardare con speranza al futuro. Se questo vi sembra poco.

Ogni giorno ci sono nuovi caduti nei cantieri, nei campi, nella aziende metalmeccaniche. Sono morti che dipendono certo dal mancato rispetto delle regole di sicurezza da parte delle imprese, ma anche dal continuo ricambio di manodopera che impedisce un serio addestramento al lavoro ed il raggiungimento di esperienza e padronanza della mansione. Non possiamo solo invocare più controlli, più rispetto delle procedure di sicurezza e sanzioni più severe per i datori di lavoro che non le applicano; dobbiamo interrogarci su come si produce e se è giusto pagare questo prezzo per una crescita che non guarda al benessere delle persone ma solo all'accumulazione della ricchezza. Qualche giorno fa un operaio edile di 74 anni è morto cadendo da un'impalcatura. Come è possibile che un uomo di quella età sia costretto a salire su un'impalcatura e come lo si può permettere? La risposta è semplice, banale: in Italia il 45% delle pensioni è inferiore a 500 euro al mese e l'80% è inferiore ai mille.

E così, mentre si teorizza che, dal momento che la vita si allunga, è possibile lavorare più a lungo, bisognerebbe ricordare che non tutti i lavori sono uguali e che alcuni non si possono fare a tutte le ètà. Non basta, quindi, correggere la flessibilità del lavoro con nuove tutele e nuovi ammortizzatori sociali, è necessario porsi domande più radicali attorno al modo di produrre, a come si manifesta la moderna contraddizione tra capitale e lavoro, a come sia possibile ridistribuire la ricchezza per migliorare le condizioni di lavoro e di vita delle persone. C’è, insomma, tutto un mondo da ripensare. E non sarebbe male se oggi, primo maggio, l'Italia ripartisse da qui per ripensare se stessa ed il lavoro.