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di Carlo Benedetti

C’è stato il “sorpasso” in favore dei musulmani, ma è subito contestazione: i dati più recenti precisano che il mondo dei seguaci dell’Islam è di un miliardo 322 milioni rispetto a un miliardo 115 milioni di cattolici. Ma la Chiesa di Roma – pur rivelando il nuovo predominio religioso - va cauta nell’accettare le cifre mettendo così da parte molte delle sue tesi sull’ecumenismo e sul rapporto paritario tra le varie confessioni. Ma i dati sono chiari. I musulmani avanzano e sono di ogni razza, nazionalità e cultura: dalle Filippine alla Nigeria, dai territori ex sovietici all’Asia, all’Indonesia. Ma anche con forti presenze in Europa e negli Stati Uniti. Tutti legati da un’unica, comune, fede islamica. Ed è proprio in conseguenza dei risultati di questa nuova sociologia della religione che sia il mondo cattolico che quello musulmano pongono nuovi e pressanti interrogativi. Che sono quelli che si riferiscono alla penetrazione e compenetrazione delle diverse religioni. Il panorama che esce da queste indagini è vasto e complesso. Le domande che si impongono – in sintesi – sono di questa natura: che tipo di distribuzione si registra nel mondo quanto a cattolici e musulmani? E, soprattutto, esiste, dal punto di vista geografico, un “mondo musulmano”, oppure questo mondo va considerato semplicemente come l'insieme di tutti i musulmani, ovunque essi vivano? In che modo i musulmani vedono i non musulmani, e viceversa? E ancora: cosa denota l’aggettivo “musulmano” (dall’arabo: muslim)? Comprende – si risponde – chiunque abbia fatto quella professione di fede che consiste nel dichiarare, con intenzione e davanti a testimoni: “Attesto che non c'è altro dio che Iddio, Allah”.

Ma sono proprio la vastità degli adepti e la complessità del mondo musulmano a rendere difficili statistiche e inchieste. Le ragioni sono di due ordini: una tecnica e l'altra politica. I censimenti, infatti, non sono attendibili al cento per cento nemmeno nei paesi industriali più avanzati (Italia compresa, quindi) dove molti cittadini non furono contati, nel 1991 e nel 2001, per inefficienza dei servizi preposti, come possono confermare molte testimonianze di singoli rilevatori; tanto meno lo sono in vari paesi del Terzo mondo, nei quali possono sfuggire alla rilevazione interi segmenti della popolazione: nomadi, ad esempio, e abitanti di regioni remote o difficilmente accessibili (per non parlare della millenaria riluttanza a farsi contare, propria di chi, dietro al censimento, intravede l'arrivo di imposte, tasse e chiamata alle armi). A queste difficoltà tecniche si deve aggiungere non di rado la scelta politica di manipolare consapevolmente i dati. Tutto è, quindi, oggetto di riflessioni e discussioni.

Ma ecco ora che la “notizia” del sorpasso musulmano pone la necessità di nuove azioni di ricerca. Anche per il fatto che risulta più che mai evidente che il mondo arabo-islamico non è tagliato fuori dei circuiti culturali europei, anzi vi è integrato più di quanto si possa immaginare. Questa integrazione ha permesso, inoltre, una circolazione delle idee europee di notevole consistenza, soprattutto nel bacino del Mediterraneo; circolazione che ha dato spesso frutti negativi, e comunque discontinui, ma che non si possono sottovalutare in un'analisi dei processi culturali e ideologici dell'area. Ed è in tale contesto che molti studiosi, oggi, fanno riferimento all’atteggiamento che ebbe a suo tempo il marxismo nei confronti dell’islamismo. E si può anche sostenere che siamo restati un po’ tutti vittime dei luoghi comuni. L’incidenza marxista nei confronti del risveglio islamico non è stata, infatti, sufficientemente studiata, né nei suoi aspetti costruttivi (un confronto circa le scelte economiche o gli assetti istituzionali), né nei suoi aspetti negativi (la visione eurocentrica, non sempre di provenienza sovietica, dell'Islam come ideologia totalizzante ed alternativa, e non come concreta e irrinunciabile esperienza storica delle masse).

Ed è prendendo atto del recente sorpasso che si possono avanzare alcune ipotesi di sviluppo futuro. Ammettendo, tra l’altro, che sta emergendo – proprio nel mondo dei musulmani segnato da una faticosa corsa a ostacoli contro il tempo - un nuovo tipo di nazionalismo, i cui risultati sono ancora molto confusi; è infatti un nazionalismo che non si identifica con la logica dello Stato, cosi come si era configurata nel processo di indipendenza successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Il concetto stesso di nazionalità ricalca oggi modelli più tradizionali, desunti dalla particolare storia della regione, e formalizzati attraverso moduli e linguaggi presi, appunto, a prestito dall'Islam. E comunque il risveglio islamico non solo non impedisce, ma può favorire una dinamica politica all'interno di vari paesi per due ordini di ragioni: la prima è rappresentata dalla spinta oggettiva a cercare, rifiutando il retaggio culturale europeo, strumenti di analisi più aderenti alle realtà specifiche, di cui l'Islam può benissimo essere filtro anche quando si debba di necessità affrontare il problema della lotta di classe. La seconda risiede nel processo di massificazione e di coinvolgimento popolare che non può, data la situazione internazionale, anche in termini culturali, mediatici e sociali, rientrare tranquillamente senza lasciare traccia, come in alcuni casi del passato è pure avvenuto. Di conseguenza bisogna ammettere che si è alla presenza di un importante momento di trasformazione e che il “sorpasso” dei musulmani impone atteggiamenti più pragmatici, tutti segnati da uno spirito di conoscenza. Per non parlare della tolleranza…

Un’osservazione, comunque, è doverosa. Si è soliti, infatti, parlare della passività delle masse arabo-islamiche. Ma quando il referente ideologico diventa l'Islam, la passività cede il passo a una mobilitazione spontanea. Il fatto è ampiamente generalizzabile. Non si tratta soltanto (per riferirsi all’oggi) del caso iraniano o di quello afghano, ma vale in gran parte per tutti i paesi arabi.
Non sono dunque gli elementi relativi al dato numerico che distinguono, in linea generale, un movimento islamico da un altro, quanto il contesto specifico in cui agiscono, oltre che il tipo di rapporto tra masse e leadership, anch'esso diverso da caso a caso. La strumentalizzazione, certo, non solo è possibile, ma in molti casi documentata. Ma non basta a spiegare le diverse collocazioni dei movimenti islamici, quasi che le masse islamiche, a causa della loro arretratezza, siano mobilitate da particolari parole d'ordine, senza nessuna consapevolezza della loro effettiva portata e delle realtà sociali e politiche che esse, se realizzate, prefigurano. Se così fosse, sarebbe assurdo porsi anche semplicemente il problema dell'emergere di nuovi soggetti politici e del significato di alcuni avvenimenti mediorientali, i quali hanno, se non altro, provocato la rottura di equilibri dati per scontati, e che scontati sembravano, anche per una valutazione dell'arretratezza delle popolazioni locali che i fatti hanno, almeno in parte, smentito.

Si è quindi chiamati – in relazione ai temi che il “sorpasso” solleva – a rileggere tutte le condizioni di conflittualità esistenti. Tenendo conto soprattutto che il comune denominatore dei vari movimenti islamici sembra un certo tipo di antimperialismo, che si configura come una formale contrapposizione agli USA. E che avanza sempre più un rifiuto dei modelli di vita occidentali. C’è un antimperialismo che si esprime al negativo e non attraverso puntuali controproposte in campo sociale, politico ed economico. Il campo “musulmano” non si presenta omogeneo. L’Egitto ne è un esempio. Qui una larga fascia dell'opposizione è costituita da musulmani e da organizzazioni islamiche di varia tendenza. Ma anche in Egitto il movimento islamico, nel suo insieme, mostra aspetti tra loro contrastanti: un aspetto popolare, immediato, che attraverso le formule di rito islamiche di protesta, rivendica una maggiore giustizia sociale che la politica del governo non riesce a garantire; c'è poi un altro aspetto, decisamente reazionario, che in larga misura si identifica con la dirigenza dei Fratelli Musulmani legati agli interessi petroliferi e alla politica delle multinazionali.

Un altro esempio interessante è quello della Turchia, paese in genere non preso suffi¬cientemente in considerazione nel quadro complessivo del Medio Oriente. Ma è qui che si assiste – nonostante tutte le dichiarate adesioni nei confronti dell’Occidente - a una forte ripresa dell'Islam. Ecco quindi che la “conta” tra musulmani e cattolici non dovrebbe portare a un giro di vite. Nuove crociate anti-islamiche, oltre che culturalmente sbagliate, potrebbero sconvolgere il quadro geopolitico portando in rotta di collisione la Chiesa di Roma e l’Islam. Si perderebbero di vista i veri fattori globali. Quelli che si riferiscono alla crisi delle ideologie nei paesi industrialmente avanzati e a quella tragica e inappagata sete di giustizia propria del Terzo e Quarto mondo.