Il Consiglio di stato si è caricato letteralmente la croce in spalla
e ha salito il Golgota dell'indecenza per difendere un simbolo religioso dal
ricorso di una signora di origine finlandese che non lo apprezzava esposto nelle
classi dei figli.
Sostengono al Consiglio, con un'improvvida sentenza, che Gesù Cristo
in croce rappresenti valori meritevoli per la Repubblica Italiana, e che pertanto
la sua presenza sia importante e giusta all'interno degli ambienti nei quali
si istruiscono i nostri pargoli.
La Corte si fa quindi allo stesso tempo autorità teologica e interprete
della storia patria per ricavare una sentenza che diversamente apparirebbe fondata
sul nulla e contraria alla lettera della legge. L'interpretazione teologica,
la parte cioè che attiene al significato della croce, non dovrebbe appartenere
alle prerogative dei giudici, per i quali non è certo previsto da nessuna
parte il diritto di intervenire a disciplinare, fino alla definizione, la natura
del cristianesimo. Ancora meno i giudici sono titolati a dare patenti alle religioni, ancora
meno a stabilire la loro aderenza ai valori, laici, della repubblica. Non spetta
ai giudici decidere quali religioni siano degne di essere ammesse nelle nostre
scuole e non spetta ad una amministrazione laica dare la patente di ammissibilità
a un simbolo religioso contrabbandandolo per altro, o negarla ad altri.
Se alla Corte compete far osservare la legge, e non parteggiare per una religione,
ancora di più competerebbe la difesa del carattere laico dello stato
e della libertà dell'insegnamento, da influenze religiose ed irrazionali.
Purtroppo ai tempi della resurrezione dell'oscurantismo cristiano, nel nostro
paese e anche in altri, fa da contrappeso la calata di braghe degli impiegati
nelle amministrazioni e la corsa a riscuotere la benevolenza del soglio di Pietro,
o del predicatore, mullah o rabbino, che controlli consistenti porzioni di consenso,
pur se minoritarie. Una polarizzazione della competizione religiosa che inquina
le istituzioni anche nei paesi fondati sulla netta distinzione dell'elemento
religioso da quello politico-istituzionale. Una strada pericolosa, perché
a ben vedere, nel volgere di pochi anni e con il mutare delle culture, potrebbe
portare a nuove persecuzioni verso i culti che ora si intende promuovere surrettiziamente.
Se infatti i culti ritengono legittimo influenzare anche chi non vi si riconosca, si espongono fatalmente al rischio di poter essere oggetto di analoghe interferenze, una volta che i rapporti di forza volgano a loro sfavore. Un gioco rischioso prima di tutto per chi sembra ora goderne, avallato in questo caso con motivazioni risibili da giudici che hanno agito sulla base di convinzioni personali, quanto assolutamente non accettabili nel loro malcelato intento di contrabbandare il crocifisso per una banale simbolo della pace e della tolleranza; visto che c'è chi pone la fedeltà a quel simbolo prima di quella alla stessa legalità democratica.
La decisione è in realtà la spia di un problema più vasto, cioè quello dell'ingerenza ecclesiastica nelle istituzioni. Non è un mistero che la chiesa italiana appoggi senza alcun imbarazzo veri e propri fenomeni incresciosi nel nostro paese, a patto che mostrino deferenza verso la sua stessa autorità e adesione alla propaganda cattolica. Succede quindi che la chiesa accolga e protegga, supporti esplicitamente e promuova, una quantità di personaggi molto discutibili che prosperano nei partiti che si richiamano ai valori cristiani operando esclusivamente per il loro profitto, spesso illecito.
Mentre il Papa tuona contro i contratti per le unioni civili, praticamente
tace sulla mafia; mentre denuncia l'aborto come un omicidio, distilla con il
contagocce le critiche alle guerre.
Vale il caso dell'amministrazione "democristiana" della Sicilia, contro
la quale la Chiesa non fiata da anni; vale per il recente scandalo nella sanità
di Teramo, città nella quale ferventi obiettori antiaboristi praticavano
aborti in privato con contorno di truffe alla regione. Mai si è sentita
una parola delle gerarchie ecclesiastiche contro quei medici che si mascherano
da devoti per fare carriera e poi si dedicano privatamente a fare quanto che
la coscienza impedirebbe loro nel servizio pubblico. La piaga è diffusissima
e ci sono intere regioni nelle quali i medici obiettori sono quasi il 100%,
perché chi fa aborti non fa carriera nella sanità ancora fortemente
controllata dai baronati rispettosi dei "valori" cattolici. Questo
rende inconsistente ogni pretesa di aver titolo ad esercitare un magistero morale
all'interno delle istituzioni; sarebbe molto più decente ci si limitasse
al lobbysmo.
La pretesa della Corte, che la croce incarni e rappresenti quindi valori meritevoli di essere veicolati nelle scuole, è assolutamente da respingere; non fosse altro perché si tratta di un simbolo identitario, ma di un'identità religiosa troppo spesso disposta a non curarsi dei valori repubblicani quando entrino in conflitto con quelli propri. La croce è simbolo di molte cose, anche di supremazia, di guerre in nome della religione, di discriminazione verso gli omosessuali, di omofobia, di sostanziale negazione dell'uguaglianza tra gli uomini espressa attraverso la pretesa dell'evangelizazione.
"La sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato
non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di
rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile
ed intuibile, come ogni simbolo, valori civilmente rilevanti".
Questo dice la sentenza e proprio questo è il punto che non convince,
visto che non a tutti la croce evoca immediatamente la positività che
evidentemente ispira al Consiglio di Stato; il trucchetto è tutto qui,
la trasformazione di un simbolo religioso in un'altra cosa, per accontentare
le pretese delle gerarchie ecclesiastiche. In nome del popolo italiano?