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di Agnese Licata


1.041 nati in meno; più nascite premature e parti trigemellari; aumento delle donne costrette a rinunciare a uno dei feto per permettere agli altri di svilupparsi e vivere; incremento del “turismo sanitario”. Sono questi i risultati che la legge 40, la legge sulla procreazione assistita, ha brillantemente ottenuto da quando, il 19 febbraio 2004, è stata approvata dal Parlamento italiano. Diciotto contestatissimi articoli pensati e scritti dal centrodestra, ma votati da una maggioranza trasversale (al Senato il 62 per cento degli esponenti della Margherita votò in modo favorevole). Fin dalla presentazione del disegno di legge, molti medici erano stati chiari: con un testo del genere si rischia di ostacolare invece che favorire la nascita di nuove vite. E, infatti, a due anni dalla sua entrata in vigore, dopo la tanta sofferenza testimoniata attraverso i media da centinaia di aspiranti genitori, anche i numeri arrivano a dar loro ragione. Mentre si continua ad aspettare la revisione delle linee guida promessa dal ministro alla Salute Livia Turco. Varie le conseguenze da considerare. A partire dalla ridotta efficacia delle tecniche di fecondazione. Se nel 2003 erano il 24,8 per cento le coppie che, dopo essersi rivolte a un centro specializzato, erano riuscite a portare a termine una gravidanza, nel periodo post-legge 40 (2004-2005) la percentuale è scesa al 21,2 per cento. Un calo del 3,6 per cento che, stimando, vuol dire oltre mille bambini in meno. La ragione è sempre la stessa: l’obbligo, per il medico, d’impiantare tutti gli embrioni frutto della fecondazione in vitro, in un numero però non superiore a tre. L’articolo 14 è categorico, non ammette distinzioni. Non conta che una donna sia nel suo periodo di vita più fecondo o abbia passato i quarant’anni. Per tutte, indifferentemente, vale il presunto numero perfetto - il tre - con il risultato che le donne più giovani si trovano sempre più spesso a dover affrontare difficili gravidanze multiple, mentre per le altre si riducono le probabilità di poter coronare il sogno di un bambino.

A peggiorare le cose ci sono altri tre aspetti. Innanzitutto, il divieto totale per l’eterologa. Come se accettare sperme da un donatore anonimo possa essere considerato un peccato mortale con chissà quali conseguenze. Accanto a questo, a pesare sulle speranze di chi ha problemi ad avere figli c’è il divieto di congelare gli embrioni. Prima di questa legge tanto gradita alla Chiesa, la donna poteva sottoporsi una sola volta alla pesante cura ormonale necessaria a stimolare la produzione di ovuli, fecondarli tutti, impiantarne solo quelli che il medico riteneva necessari e congelare gli altri in caso di un primo insuccesso. Dal 2004 questo non è più possibile, con il risultato che se la sperata gravidanza non arriva, è necessario ricominciare con ormoni su ormoni. E che questa non sia una soluzione a tutela della salute dell’aspirante mamma è fuori discussione. Ma, nelle alte sfere clericali, è difficile fare passare il concetto che la vita di una donna sia più importante di un gruppo di cellule amorfe. Così, come risultato, le tante che non possono permettersi di andare all’estero rinunciano dopo i primi tentativi.

L’altro aspetto da considerare è quello dell’analisi preimpianto. In tutti gli altri Paesi occidentali, le tecniche di fecondazione cercano di ridurre al minimo il numero degli embrioni da impiantare, proprio per evitare gravidanze multiple, spesso pericolose per la madre e per la salute dei concepiti. Per mantenere comunque alte le percentuali di successo, i centri che praticano la fecondazione artificiale puntano sempre di più a perfezionare l’analisi preimpianto. Ossia, una serie di test che permettono di selezionare gli embrioni che avranno meno probabilità di essere abortiti spontaneamente. Non si tratta, come alcuni vogliono far credere, di “scegliere un figlio come al supermercato”, ma di sfruttare una tecnica per tutelare la salute di tutti: mamme e bambini. È assurdo pensare che, con la legge 40, centri italiani all’avanguardia in questo tipo di analisi abbiano dovuto mettere sotto cellophane attrezzature costate migliaia di euro, come anche tanta esperienza sul campo, mentre la Turchia – nazione che più di altre ha puntato sull’analisi preimpianto – accoglie centinaia di coppie italiane, 250 solo nel 2007.

Perché poi la vera assurdità di questa legge sta tutta qua: pretendere di negare anni di scoperte mediche in un’Europa dove non serve neanche il passaporto per passare la frontiera, dove basta avere soldi e conoscenze per fare all’estero quello che in patria viene negato. Poco importa che così si finisca per aggiungere ulteriori disuguaglianze tra chi può e chi no. Poco importa che si spingano coppie ad avventurarsi, da sole, in quello che sempre di più sta diventando un mercato. Mercato nato proprio per trarre profitto dall’esistenza di nazioni proibizioniste come l’Italia. Facile, soprattutto se non ci si può permettere di andare in Inghilterra, Spagna, Belgio e si è costretti a ripiegare su paesi dell’Est, tornare a casa con tante speranze infrante e il portafoglio vuoto.
E se nei centri più grandi come quello di Bruxelles i pazienti italiani sono così tanti da aver organizzato anche un sostegno in italiano, in giro per l’Europa sono nate anche delle vere e proprie cliniche specializzate nell’eludere le normative delle varie nazioni. È il caso della Eubios. “I nostri pazienti vengono nel nostro centro di Merano oppure telefonano e poi noi li smistiamo (!) a seconda delle loro esigenze”, ha spiegato al Corriere della sera Herbert Zech, direttore scientifico della Eubios. Che ha poi aggiunto: “quest’anno abbiamo avuto 900 coppie. Il prossimo, sono pronto a scommettere, saranno 1.500”.

Per coloro che non possono permettersi la spesa di un’operazione all’estero (dell’ordine di migliaia di euro), c’è anche un altro rischio a incombere. Lo stesso rischio che ha dovuto affrontare una mamma che si è rivolta a un centro di Salerno. Dei suoi tre gemelli, ben due sarebbero stati malati di talassemia, condannati a una vita – tra l’altro molto breve - fatta di continue trasfusioni e sofferenze. Ha così deciso di praticare una riduzione parziale di gravidanza, ossia un’iniezione di cloruro di potassio nel cuore dei due feti. L’ordinamento italiano è talmente coerente che se con la legge 40 proibisce di verificare prima dell’impianto eventuali malformazioni del feto, dall’altro, per fortuna verrebbe da dire, prevede l’aborto in piena gravidanza e con tutte le sofferenze connesse. Stime ufficiose parlano di un aumento del cento per cento degli aborti parziali, fatti non solo in casi come questi, ma anche nei parti plurigemellari, per garantire che almeno uno o due dei feti possano svilupparsi abbastanza.

Cose già dette, sottolineate più volte. Ma che continuano a rimanere parole al vento, anche dopo due anni di governo del centrosinistra.