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di Sara Nicoli

Lavoravano 16 ore al giorno e chi si rifiutava perdeva il posto. Avevano accettato tutti di fare turni massacranti anche se sapevano che la Thyssen Krupp di Torino avrebbe comunque chiuso i battenti entro il prossimo settembre 2008. E quel reparto che è saltato per aria l’altro giorno, la linea 5 delle ex Ferriere che dopo sembrava una città bombardata dal napalm, avrebbe mandato a casa tutti entro la fine di febbraio. Il fuoco di giovedì notte si è portato via l’elite della laminazione a freddo, anche se poi i forni sono a mille gradi e passa e qualcuno si mette pure a fare i distinguo sul se si possa definire o meno un lavoro usurante. Se ne sono andati in quattro, per ora, ma non si sa come finirà davvero. Erano figure preziose di operai specializzati che l’azienda aveva sottoposto a maxi straordinari perché in ritardo su una commessa e non voleva pagare la penale. Il tutto sotto la minaccia di non rinnovare i contratti a Terni, dove gran parte della forza lavoro si sposterà dopo settembre. Perché la chiusura della Thyssen di Torino ha salvato quella di Terni, dove ci lavorano in 3 mila e 500 e quando si deve far di conto su chi mandare a casa le cifre contano; meglio i 400 di Torino che mettere i due terzi di una città umbra in cassa integrazione. Fa male svegliarsi e scoprire che il mondo del lavoro, in Italia, è sempre più lontano dal presente e sempre più vicino all’immagine del mondo operaio di fine ‘800. Sono cambiate le parole per definire lo sfruttamento del lavoro, ma questa barbarica strage quotidiana se non altro ha fatto sì che ormai il solo pronunciare la parola “flessibilità” provochi una sincera repulsione in ogni lavoratore. Perché lo sappiamo bene che i quattro morti di Torino, il primo di loro è stato Antonio, un giovane di 36 anni, erano tutti molto flessibili. E che quello che li ha uccisi non è stato un incidente, ma lo sfruttamento selvaggio che fa tirare a mille gli impianti fino a far esplodere le macchine e costringe a un lavoro bestiale gli operai. Al momento in cui quel tubo, che trasportava olio bollente, è stato colpito da una scintilla sprigionatasi dal quadro elettrico e poi s'è spezzato, trasformandosi in un lanciafiamme, Antonio e una decina di ragazzi come lui hanno preso fuoco e chi lo avrebbe voluti soccorrere si è trovato davanti ad estintori che non funzionavano.

Quando si sono trasformati tutti in torce umane, alle due di notte, Antonio era alla quarta ora di straordinario. Dunque era alla dodicesima ora di lavoro in quell'inferno. Antonio era proprio il tipo di operaio di cui ha bisogno un padrone tedesco che decide di chiudere la fabbrica di Torino per portare via la produzione, ma prima di mettere i sigilli agli impianti vuole tirare fino all'ultima goccia di sangue alle macchine e agli uomini. Per questo una decina di loro ha preso fuoco, oggi, in un Paese dell’occidente avanzato, sotto il comando di Thyssenkrupp, un nome che se scomposto in due rimanda ad altri fuochi, a un altro secolo, a un'altra guerra.

La strage di Torino ha risvegliato qualche coscienza fino a ieri troppo impegnata a dare risposte stupide all’insicurezza dei cittadini per bene che si sentono aggrediti dai rumeni, ma d’altra parte è più comodo prendersela con i soliti poveri piuttosto che tentare di imporre ad un padrone arrogante il rispetto delle regole. Poi, quando avvengono le stragi, allora si è costretti a cambiare. C'è la fila, adesso, di quelli che si lamentano per la mancanza di sicurezza sul lavoro. Chi oggi dice che servono maggiori misure dovrebbe aggiungere che il modello sociale ed economico dominante è criminale. Chi chiede di produrre di più, per più ore nel giorno e per più anni nella vita è corresponsabile dei crimini quotidiani di cui ora, finalmente, si comincia a parlare senza troppe ipocrisie.

La sicurezza è incompatibile con modelli produttivi dove il fine ultimo è l’accumulazione, è inutile prendersi in giro. E chi persegue questi modelli, oltre a togliere dignità e diritti ai lavoratori, non fa altro che aumentare le possibilità che quei turni di lavoro si trasformino in anticamere della tragedia. I teorici del liberismo selvaggio, della necessità della fine del welfare in nome di quella che chiamano spudoratamente flessibilità, ma che per noi resta solo precarietà infinita, sono i principali responsabili di questa strage di morti sul lavoro, vittime della loro cultura e della loro fame di danaro e di potere. Oltre 3 persone muoiono ogni giorno in Italia sul luogo di lavoro. Per la precisione 3,56 secondo le medie ufficiali dell’Inail.

E c’è persino chi ha la faccia tosta di rilevare che, comunque, “quest’anno la situazione è in leggero miglioramento” perché nei primi mesi del 2007 gli incidenti mortali sarebbero diminuiti del 13%, da 888 morti si è passati a 774. C’è di che stare davvero allegri. Probabilmente i cancelli della fabbrica torinese della Thyssenkrupp non riaprirà mai più e quasi vien da sperare che davvero sia così, posti di lavoro a parte. Sembra che il prezzo da pagare per tenerla aperta sia davvero troppo alto.