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di Sara Nicoli

Roma, l'altro giorno, ha avuto l'occasione di risvegliarsi più laica, tollerante, moderna e libera. Nel solco della sua storia millenaria, il governo della Capitale aveva l'occasione di mostrare al mondo – e anche al resto del Paese – che quando si parla di diritti e di lotta alle discriminazioni, di solidarietà e rispetto per gli altri da sé non era seconda a nessuno. E che, soprattutto, era capace di far valere, attraverso una legge cittadina, quel valore della laicità della Stato che tanto stenta a trovare cittadinanza all'interno dei confini nazionali. Invece, ancora una volta, l'ombra lunga e inquietante del Vaticano ha avuto la meglio. Così, a Roma non ci sarà nessun registro delle unioni civili. Non è passato nulla in consiglio comunale, né la linea dura della sinistra, che sosteneva due delibere per l'istituzione del registro, né quella soft del Pd, che sollecitava il Parlamento a legiferare sul tema delle unioni civili, riconoscendo la non competenza dei comuni a deliberare in materia. Con l'opposizione compatta verso il no, nessuna delle mozioni ha ottenuto la maggioranza. Un'occasione persa. Senza che, per altro, la sinistra abbia tentato di vendere cara la pelle; tutti i tentativi di mediazione sono andati in fumo e, alla fine, la lunga discussione che ha impegnato per un giorno intero i consiglieri comunali si è chiusa con un nulla di fatto. Tutti a casa, come se nulla fosse mai successo. Walter Veltroni non c'era. Il Sindaco doveva presenziare ad un'importante iniziativa riguardante il suo Pd all'Aquila e oramai è noto che le necessità della Capitale e dei suoi cittadini sono passati in second'ordine per lui. Ma c'è statto anche chi – per altro non smentito – ha ipotizzato che l'impegno servisse a togliersi dall'impaccio di un voto che avrebbe messo a dura prova la sua maggioranza. E, soprattutto, lo avrebbe costretto a scegliere da che parte stare, un gioco che notoriamente non gli piace affatto.

La sua maggioranza politica, comunque, ha sofferto parecchio prima di alzare bandiera bianca e darla vinta, ancora una volta, a chi usa la fede come potere di interdizione politico sulle libertà Costituzionali di un Paese libero. Mentre in piazza del Campidoglio si svolgeva una manifestazione a sostegno delle delibere, in aula Giulio Cesare lunedì mattina c'erano anche alcuni deputati, a dimostrazione che la partita che si stava giocando aveva un rilievo nazionale. Sul piatto, due delibere, quella popolare, sottoscritta da oltre diecimila firme, e quella voluta dalla sinistra dell'Unione.

La prima ad essere bocciata è stata la versione voluta dall'ala sinistra della maggioranza: hanno votato contro 44 consiglieri, dal Pd all'Udeur, a tutto il centrodestra, e a favore 11 consiglieri della Sinistra. Nessun astenuto. La seconda a finire nel cestino è stata invece quella di iniziativa popolare per l'istituzione del registro. Non è passato nemmeno l'ordine del giorno voluto dal Pd e presentato dalla vicesindaco Mariapia Garavaglia che sollecitava una delibera quadro sui provvedimenti in materia di convivenza già adottati dal Campidoglio: hanno espresso parere favorevole 24 consiglieri, contrari altri 23, mentre 9 consiglieri della sinistra si sono astenuti.

La tensione, insomma, in Campidoglio è arrivata alle stelle: “Mi chiedo se esista una nuova maggioranza - si è inalberato il segretario del Prc a Roma, Massimiliano Smeriglio - che va dal Pd ad An”. “Il punto – ha spiegato il segretario romano di Sinistra Democratica, Massimo Cervellini - è che non si tratta di una questione marginale, ma di una condizione che riguarda migliaia di uomini e donne che lottano non per mettere in discussione l’istituzione famiglia, ma per conquistare diritti, dalle case alle graduatorie degli asili nido”.

Ragioni concrete di vivere quotidiano che nulla valgono se contrapposte a questioni che hanno a che fare con il potere politico di Oltretevere. Nel giorni scorsi, infatti, il Vicariato di Roma, attraverso una nota di stampo quasi intimidatorio pubblicata sull' Avvenire, aveva duramente criticato la decisione di votare l’ordine del giorno sull'istituzione di un registro per le unioni civili proprio nella città che è “punto di riferimento dei cattolici di tutto il mondo”. Ma l’ampliamento dei diritti per le coppie conviventi era stato anche uno dei punti qualificanti del programma di Veltroni in Campidoglio.

Come si è detto, lunedì scorso né il Sindaco, né la sua vice, erano in Aula. A mettere in crisi la maggioranza pare sia stato un incontro tra il sindaco di Roma e il cardinal Bertone. “Prima che intervenissero cinque editoriali dell'Avvenire, prima che ci fosse l'incontro tra Veltroni e Bertone – ha spiegato Massimiliano Iervolino, segretario dei Radicali di Roma – avevamo quasi raggiunto un accordo tra comitato promotore e centrosinistra, compreso il Pd, dopo tutto è saltato”. Potevamo avere dubbi?

No. Perchè un conto è essere il sindaco, un altro è essere, soprattutto, il segretario del Pd. “Quello che ci fa imbestialire – ha commentato anche Aurelio Mancuso, presidente dell’Arcigay – è che quello che è successo a Roma sarà sintomo di quello che farà anche il Pd: perchè Veltroni non ha detto una parola chiara? Perchè non ha accettato nemmeno la mediazione?”. Perchè non era conveniente, rispondiamo noi, senza tema di smentita.

D'altra parte, anche questo triste episodio che ha avuto come palcoscenico il Campidoglio, mette quanto mai in evidenza che il vero problema del Partito Democratico è il peso che i cattolici vogliono esercitare sia al suo interno che sotto le sue bandiere sugli altri fronti della politica nazionale: il caso di Paola Binetti e del suo “no” alla fiducia al governo per una questione solo apparentemente di coscienza è un fatto esemplificativo. Veltroni, indubbiamente, non ha in animo di inimicarsi ora una sostanziale parte della sua nuova creatura politica, ma la “questione cattolica”, se non risolta, rischia di esplodergli in mano. Prima che da deludente sindaco diventi un nuovo, deludente, presidente del Consiglio. Ovviamente democristiamo.