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di Elena Ferrara

E’ bene tenerlo a mente proprio ora, quando siamo davanti a tavole imbandite, tradizionali quanto familiari: altro che capponi e tacchino, tortelli e panettoni, é lo “slot food” che ha cambiato la nostra vita. Dal caffé alla pizza sono infatti 17 milioni gli italiani che si mettono in fila davanti agli 800mila distributori automatici in ogni parte del paese. E sono in pochi a chiedersi se esista una relazione tra la qualità del cibo, i luoghi di consumo e gli orari in cui è consumato. Risulta così sempre più evidente (lo spiegano i dietologi più affermati) che la sovrabbondanza alimentare e dei punti di ristoro si scontra con le leggi fisiologiche che regolano i ritmi cronobiologici e che determinano l'appetibilità e la digeribilità dei cibi. Alimentazione, quindi, come scienza e come arena di intervento per la sociologia. Vediamo le statistiche che evidenziano come il mercato dei consumi alimentari extradomestici sia salito oltre i 58 miliardi di euro (in crescita del 2,6% rispetto al 2004, quando furono spesi 56.686 miliardi). Nel dettaglio, crescono del 2,5% i consumi nei ristoranti e pizzerie (31.270 miliardi), del 2,5% nei bar (20.065 mld.) e del 3% nelle mense (6.334 mld.). La previsione è che il trend di crescita porti questi consumi a quota 65.281 mld. a fine anno, ovvero il 12,2% in piú rispetto al 2005. Crescono in maniera piú contenuta i consumi alimentari domestici. In prospettiva e globalmente, secondo alcune previsioni più “ottimistiche” nel 2008 avremo speso 183,4 miliardi di euro, pari al 6,4% in piú di quello che spendiamo per alimentarci in casa e fuori casa. La quota in merito raggiungerà pertanto il 36% del totale rispetto al 34% odierno. Tutto questo porta a farci notare che i consumi fuori casa sono pressoché stabili e di poco superiori agli 8 miliardi (bar, stazioni di servizio, ecc) così come pressoché stabile è il numero delle cene/pranzi o equivalenti (3 miliardi). Per quanto riguarda le occasioni di consumo si stima che siano 4,3 milioni i fruitori di colazioni; 11,4 milioni per il pranzo; quasi 2 milioni per la cena e 6,1 milioni per la merenda. Per inciso coloro che motivano la decisione di fare una colazione o uno spuntino al bar con il piacere dell'incontro e della compagnia di qualcun altro è il 31%. Sul numero degli esercizi, per quanto riguarda i bar, è interessante constatare come a fronte di un calo del numero (sono passati da 143.000 a 130.000), vi è un aumento di quelli ad apertura serale che sono ora 7.200. In leggera crescita è il numero dei ristoranti, saliti da 101.000 (2001) a 103.000. Le pizzerie sono 23.690 e le trattorie 12.360.

Quanto ai “gusti” c’è da dire - sempre sulla base di analisi di mercato e ricerche sociologiche - che questi sembrano orientati tuttora verso un certo conformismo che si confonde con una tradizione vera o presunta (il pubblico maschile, si conferma come decisamente conservatore mentre si accresce l'interesse femminile per la varietà e l'esotismo dei luoghi e delle portate). A ciò contribuisce anche il clima psicologico non ottimistico, che porta ad evitare istintivamente quelle "avventure" culinarie che non garantiscano il giusto rapporto prezzo/soddisfazione. Relativamente ai formati dei luoghi di ristoro/svago l'orientamento è verso i locali poco affollati (74%). Nei confronti dei ristoranti esotici si registra un gradimento medio-alto, nel 28% dei casi. Lo spirito scarsamente euforico prevalente fa si che nel 66% dei casi gli italiani prediligano il loro ristorante abituale, che non riserva sorprese. Nel 52% dei casi gli italiani si orientano verso il ristorante "tipico". Invitati ad una cena fuori casa, se devono scegliere il luogo indicano le fattorie dell’agriturismo il 25% delle donne e il 29% degli uomini; un impegnativo ristorante d'alta classe nell'8% delle donne e nel 5% degli uomini.

E così, con tutto questo bagaglio di dati eccoci a sfogliare il vocabolario dell’alimentazione dei giorni nostri. Cosa scopriamo? Un mare di soluzioni con nomi sino ad oggi praticamente sconosciuti. Ci sono i “cibi acronici” che sono alimenti adatti ad ogni momento della giornata: pizza, gelato, toast, yogurt, ecc. Ecco il Brunch (fusione del Breakfast e del Lunch in un arco temporale che va dalle 11 alle 4 del pomeriggio). E poi i Grab-N-Go Food, alimenti pronti al consumo e confezionati da acquistare nei chioschi. I C-store da consumare immediatamente. Ecco i Teabucks e Chocobucks (catene specializzate nell'offerta di una gamma di te e suoi derivati). E poi i Food Around-The-Clock per il consumo del cibo in ogni momento del giorno e della notte. Arrivano i Dinner Helpers e Dream Dinners che sono le organizzazioni che consentono di preparare, in luoghi attrezzati per ogni pratica culinaria e con l'aiuto di assistenti specializzati, pranzi complessi da conservare refrigerati, pronti per ogni evenienza. In dirittura d’arrivo abbiamo gli Smoothie Bars (catene di locali specializzati nell'offerta di bevande nutrienti e fortificanti a base di frutta e di verdure) sostitutivi dei pasti con alimenti "acronici" adatti ad ogni momento della giornata. Tutto questo per finire con i “3 Hours Diet” e cioè la dieta che consiste nel mangiare piccole quantità bilanciate ogni 3 ore del giorno, per sfruttare specifici processi metabolici...

Ecco, quindi, la “fotografia” dell’industria alimentare dell’intero nostro Paese. E passiamo alle cifre rilevando che il fatturato complessivo del settore ha raggiunto i 110 miliardi di euro (+ 2,8% ), con un’occupazione globale di quasi 400.000 addetti distribuiti in 6.500 piccole e grandi aziende. E tutto questo “insieme” (agricoltura, indotto e distribuzione) rappresenta la prima filiera economica di un Paese come il nostro che acquista e trasforma circa il 70% delle materie prime nazionali. Raggiungendo anche un record di livello mondiale dal momento che il 76% dell’export alimentare è costituito da nostri prodotti industriali di marca.

Ne esce uno spaccato a dir poco singolare, ma anche e soprattutto allarmante. I dati statistici, ad esempio, ci dicono che dal 1995 all’agosto scorso i prezzi al consumo dei prodotti alimentari trasformati dall’industria sono aumentati del +28,4%. Mentre nello stesso periodo l’inflazione ha viaggiato al +30,4%. Sappiamo anche che circa un quarto (26%) del prezzo allo scaffale per il consumatore italiano è assorbito dall’Industria alimentare: circa il 13 % va all’agricoltura, l’11% va a remunerare i servizi, mentre ben il 50% è acquisito dalla distribuzione. Altri dati da mettere nella borsa generale del settore riguardano il fatto che oggi il settore “alimentare” incide per circa il 17% sul totale della spesa familiare, rispetto al 25% degli inizi degli anni ‘90. E ancora, il pane, la pasta, le uova e il latte - prodotti cui stata attribuita responsabilità inflattiva in questi giorni - pesano tutti insieme il 2,6% sul paniere ISTAT, esattamente come le sigarette, o le consumazioni al bar o le verdure fresche.

Da queste considerazioni di carattere “tecnico” risulta che nel prossimo futuro l’intero settore dell’industria alimentare si troverà a dover affrontare alcuni fattori-chiave. In particolare sul tappeto si troveranno problemi come quelli connessi all’approvvigionamento e alla “fame alimentare” da parte delle economie emergenti. Si dovrà tener conto degli effetti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura e della revisione della politica agricola comune. E su tutto peseranno il costo dell’energia e la diffusione dei biocarburanti. E inoltre bisognerà tener conto della crescita delle dimensioni aziendali e del ricambio generazionale del management delle imprese agroalimentari. Su questo panorama domina una città emiliana che è oggi la capitale del “Food Valley”. E’ Parma che dal 2003 è sede dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) divenendo, di conseguenza, una sorta di “Silicon Valley” del buongusto, un avamposto della sicurezza alimentare dove il mangiare è comunicare, è politica, accettazione o rifiuto, è memoria privata ma anche stupore. Come dire con Machiavelli: "Scrivete i vostri costumi, se volete la vostra storia”.