Stampa
di Rosa Ana De Santis

Se un corpo è tormentato senza speranza, se i pensieri svaniscono nella veglia acquosa di un addio lento e sofferente, se scivola intorpidito, irrimediabile e senza controllo ogni istante di consapevolezza, allora si può decidere di andare via per sempre affidando il proprio destino ad un ultimo libero atto di volontà. Lo chiamano testamento biologico. E questo è stato il caso, solo l’ultimo dopo tanti, della donna ammalata di SLA che senza alcuna possibilità di guarigione ha potuto sottrarsi all’inutile accanimento terapeutico che l’avrebbe attesa avvalendosi della legge Cendon che, grazie alla figura dell’amministratore di sostegno, ha consentito a suo marito, dopo un sollecito decreto del giudice, di poter rispettare la sua volontà di morire. Così, rifiutando la tracheotomia e la ventilazione forzata, un uomo ha cura di sua moglie, accoglie il suo testamento, e staccando l’ultimo sterile filo con una vita ormai comunque perduta, impedisce che la vana attesa del miracolo diventi la fine di una storia che comunque si spegne piano, derubata di dignità, mentre la comunità delle coscienze si compiace del proprio buon cuore. Una via di fuga, una speranza tra le pagine del diritto per la storia di Welby, Terry Schiavo, forse per quella di Eluana Englaro, per Vincenza Santoro, per i genitori del neonato di Catania affetto dalla sindrome di Potter. Diversi destini, finali da cronaca che taglia, che arriva dritta al cuore nelle serate calme delle famiglie italiane davanti al tg, storie molto diverse tra loro per caratteristiche cliniche e legali.

Ma destini tutti inchiodati sullo stesso confine, sulla stessa linea dove si respira l’idea che la vita sia ormai trascorsa, dove ogni istante è già memoria; lì dove oltre confine c’è la sola speranza, testarda e amara insieme, di decidere come voler morire. Il più grande dei testamenti, la più preziosa delle eredità affidata all’amore dei propri cari. Quello che Eluana aveva dichiarato mille volte quando ancora poteva parlare, sorridere e muovere il volto per consapevole spinta dei pensieri e delle emozioni, e non per elettrica reazione. Quello che suo padre scrive e ripete da anni, non creduto e umiliato da chi scomoda il giudizio di dio per coprire l’assenza di pietà degli uomini.

Non è neppure eutanasia, impossibile anche solo parlarne nel nostro Paese senza incorrere nell’onta della disumanità, dell’abuso, dello spettro dei dottor morte alla Jack Kevorkian. Dalla teoria degli anziani circuìti e plagiati, a quella della discriminazione sociale di chi vive in condizioni di disabilità. La consueta teoria dell’apocalisse per stordire le menti con la paura e addormentarle contro ogni tentativo di capire che le cure inutili non sono cure e che, soprattutto, ciascuno ha pieno potere su se stesso e sulla propria vita.

Perché basta tornare alle radici della libertà individuale per ritrovare se non tutto quello che serve al diritto per risolvere questi casi, senz’altro tutto quello che basta alla morale per capirli, ed è la sostanza dell’Habeas Corpus. Quello che con sublime poesia ci ha lasciato la letteratura moderna attraverso le parole di Plotinio e Porfirio. E’ da qui che può nascere la giurisprudenza di cui c’è urgente bisogno per tutelare chi sarà deputato ad accompagnare o a somministrare la dolce morte.

Quanti versano in uno stato irreversibile che viene definito vegetativo persistente cronico, quanti sanno di non avere altro che un esito disperante e doloroso di malattia terminale hanno il diritto di decidere per se. Urgente perché la veloce corsa della medicina e delle terapie oggi consente di morire mentre le funzioni vitali sono mantenute artificialmente. E allora, semplicemente, se la scienza corre, la politica, la legge e l’etica non possono essere sedate dalla tradizione. Il testamento è la strada per salvaguardare la volontà di ogni cittadino secondo la legge e davanti allo Stato. È la difesa della libertà di ogni uomo e di ogni donna. Fa meno male staccare il sondino dell’alimentazione a Terry Schiavo piuttosto che decidere di interromperne l’agonia. Fa meno male nell’ipocrisia collettiva.

Quasi inutile commentare la follia del Vaticano che parla di omicidio per il caso di Vincenza Santoro e per tutti gli altri. Nessuno stupore, sono gli stessi che non celebravano esequie per i suicidi, partendo dall’assunto che la vita è dono di dio. Un assunto in cui si è liberi di credere e in virtù del quale si può sempre praticare obiezione di coscienza, (magari non negli ospedali pubblici) ma che non serve e non può nemmeno lontanamente ispirare la politica e la cultura politica di uno Stato laico. E’ la solita opinione inutile che fa tanto rumore, senza ragione. Si autoassegnano la rappresentanza in terra di un dio che è padrone di ogni cosa, e per la transitiva trasformano le tuniche e le tonache in toghe impietose quanto ipocrite.

Lascia amarezza e sconforto che qualcuno non voglia comprendere l’anima di queste scelte, che qualcuno osi scomodare una condanna per non voler vedere quello che arriva prima della religione e di dio. La storia di tanti che sul quel confine stanno da troppo tempo, costretti a un dolore silenzioso. E’ la storia di Ramón Sampedro, presentata anni fa alla 61° Mostra Cinematrografica di Venezia, che chiede di essere addormentato dolcemente.

Perché dopo quel tuffo spensierato di quando era soltanto un ragazzo, tutto il mare era diventato troppo grande, troppo pieno di colori e troppo urlante di vita per rimanere paralizzato in un letto o dietro a una finestra. Dal suicidio assistito all’eutanasia, una serie di argomenti e di ragioni che non possiamo più nascondere e tacere se vogliamo diventare grandi e avere il coraggio di guardare tutto e di pensare a tutti. Ai cittadini che chiedono risposte e supplicano clemenza per il loro dolore che ci fa guadagnare posti nel paradiso della chiesa, ma che li castiga senza giustizia. E’ il senso di una battaglia difficile che va combattuta con coraggio e cautela per onorare tutta la dignità della vita fino alla fine e fino alla fine tutto il senso della libertà, per tutti coloro che hanno diritto di scegliere come sarà l’ultimo volo con il mare dentro.