Stampa
di Mario Braconi

“Il precetto d'amore di Cristo è per noi, sempre, norma di vita, nell'ordinario e nello straordinario. (…) Le inadeguate, presuntuose o falsificate interpretazioni ci dispiacciono. (…) ma l'amarezza non fa che aumentare la solidarietà affettuosa per chi è in sofferenza”. Con queste parole, arroganti e sussiegose, la Curia Vescovile di Viterbo ha creduto di rispondere all’indignazione generale causata dall’exploit del suo vescovo, Lorenzo Chiarinelli, che ha rifiutato di sposare una coppia di giovani, uno dei quali è costretto su una sedia a rotelle dagli esiti di un grave incidente. Secondo Chiarinelli, la possibile “impotentia coeundi” del ragazzo costituisce ragione sufficiente per impedire le nozze religiose. Si dirà: nonostante Ratzinger, in Italia non è obbligatorio essere cattolici, per cui tanto peggio per chi in questa chiesa ancora crede. Eppure vale la pena riflettere sul significato di quanto è accaduto a Viterbo, se non altro perché è paradigma della tracotanza con la quale il clero cattolico persegue il progetto di crocifiggere le donne e gli uomini italiani alle sue “verità” autoreferenziali. Il vescovo si dice convinto che a cacciare i due futuri sposi dalla chiesa sia stato non il suo delirio di onnipotenza, ma l’art. 1084 del codice di diritto canonico, che disciplina gli impedimenti dirimenti del matrimonio cattolico. Recita il primo comma del citato articolo: “l'impotenza copulativa antecedente e perpetua, sia da parte dell'uomo sia da parte della donna, assoluta o relativa, per sua stessa natura rende nullo il matrimonio.”

Peccato che, almeno a quanto si apprende dalla stampa, sulla salute sessuale del giovane vittima dell’incidente i medici non abbiano emesso una sentenza definitiva. Insomma, a sancire l’impotenza del ragazzo (che chiameremo Mario) non è un medico, ma un prete!! Cose così ormai sono all’ordine del giorno in Italia, il paese dei crocifissi all’ufficio postale e delle leggi scritte sotto dettatura del Vaticano. Per completezza è bene sapere che perfino il codice canonico prevede che “se l'impedimento d’impotenza è dubbio, sia per dubbio di diritto sia per dubbio di fatto, il matrimonio non deve essere impedito né, stante il dubbio, dichiarato nullo.” Chiarinelli, però, non si è fatto sfiorare dall’ombra del minimo dubbio.

Eppure, anche ammettendo che l’incidente abbia reso davvero Mario incapace di avere rapporti sessuali, egli potrebbe comunque diventare padre grazie alla fecondazione artificiale. Riassumiamo: il vescovo di Viterbo ha deciso che Mario non potrà mai più avere rapporti sessuali e che comunque la sua compagna (non sarà mai sua moglie secondo la chiesa) non farà ricorso all’inseminazione artificiale o, per meglio dire, a quello che ne resta dopo la clamorosa vittoria clericale nel referendum sulla legge 40/2004. Ma la famiglia come fabbrica legalizzata di figli non era una delle ossessioni della chiesa cattolica?

E’ evidente che il preteso magistero della chiesa cattolica si trasformi sempre più spesso in diktat assurdi e disumani ed in comportamenti irrazionali, crudeli e prevaricatori. La chiesa, inoltre, mantiene una visione fieramente classista: non a caso, ad alcuni soggetti ritenuti particolarmente meritevoli consente l’uso di scorciatoie facendo la voce grossa con tutti gli altri. Se una possibile impotenza costituisce un ostacolo insormontabile ad unire due persone in matrimonio, la mancanza del consenso esplicito di uno dei nubendi pare non costituire un particolare problema.

Si tratta del caso del sergente Lorenzo D’Auria, sequestrato in Afghanistan e morto per le conseguenze delle ferite riportate durante l’operazione militare che lo ha liberato assieme ad un collega. Quando si trovava ormai in coma, D’Auria è stato unito in matrimonio alla compagna, madre dei suoi tre figli, grazie all’interpretazione molto libera di un altro articolo del codice di diritto canonico (che in un paese laico non dovrebbe nemmeno avere cittadinanza). Secondo le leggi della chiesa, il matrimonio “in articulo mortis”, per essere valido, prevede il consenso del nubendo, cosa che in questo caso era evidentemente impossibile. Poiché in Italia il matrimonio religioso produce anche effetti civilistici, la compagna del militare ha potuto usufruire della pensione che lo Stato altrimenti non le avrebbe garantito.

Niente da obiettare, ci mancherebbe; stupisce quindi (o non stupisce affatto) un atteggiamento tanto disinvolto da parte della chiesa nota per vietare il matrimonio ai disabili, negare i funerali ai Welby ed impegnarsi attivamente per impedire la regolamentazione delle coppie di fatto, del divorzio e dell’aborto: maliziosamente si potrebbe pensare che forse lo sfortunato militare è stato considerato meritevole di speciale tutela, in quanto “caduto per la Patria”. Con tanti saluti alle oltre 500.000 altre famiglie di fatto, i cui diritti lo Stato si rifiuta di tutelare per compiacere il Vaticano e che la chiesa continua a bastonare con i suoi veti ed anatemi. Regole dure, insomma, ma non per tutti.