Stampa
di Rosa Ana De Santis

Guardate la foto. Emmanuel Bonsu Foster, 22 anni, è ghanese. La sera del 29 settembre scorso, mentre attendeva l’inizio delle lezioni serali all’ITIS, confuso per un puscher è stato sequestrato, interrogato, malmenato e ingiuriato con le offese più volgari del vocabolario razzista. Un manipolo di vigili urbani ha riservato questo trattamento a un ragazzo che qualcosa di sbagliato aveva fatto. Secondo loro. Tanto per cominciare non era bianco, ma così nero da scatenare l’ilarità e l’oscenità di questi piccoli uomini in divisa. Grandi dietro ai libretti con cui multano gli automobilisti indisciplinati e al fischietto con cui gestiscono il traffico. Quattro dei dieci vigili indagati sono ai domiciliari, gli altri sei rimangono indagati. Sul pc di uno di loro il trofeo che ora appare ovunque. I nomi di quelli che potevano reiterare il reato e inquinare le prove sono: Mirko Cremonini, Ferdinando Villani, Marcello Frattini e Pasquale Fratantuono. E’ giusto ricordarseli uno ad uno, come si conviene a chi colleziona trofei. Soprattutto se di questo tipo. Nella foto Emmanuel guarda a terra, l’occhio sinistro è gonfio e visibilmente malridotto. Sarà necessario per guarire un intervento di chirurgia maxillo-facciale. Ma per la paura non c’è alcun rimedio. Emmanuel non va più a scuola da allora. Sta a casa, in famiglia. Perché lui ha denunciato e qualcuno non ha tardato nel coprirlo di sospetti. Magari stava davvero accanto ai drogati del parco, magari ha fatto resistenza nel non voler rilasciare le sue generalità, magari sta speculando sull’accaduto. Magari vuole farsi pubblicità e va ospite ad “Annozero” per questo.

Peccato che c’è una storia, ci sono delle accuse pesantissime e un’indagine in corso. Magari qualcuno ha ascoltato Emmanuel, anche con il filo di voce con cui ripercorre l’accaduto, magari qualcuno ha semplicemente visto i segni delle percosse. Quelli che ammoniscono e bastano, doverosamente bastano per dissolvere la retorica dell’ipocrisia. Il marcio come il bene molto spesso parlano in una lingua semplice. Che non ha bisogno di scomodare le grandi analisi. Tantomeno quelle di Maroni.

Basta ricordare che al padre di Emmanuel, Alex Osei, metalmeccanico, in Italia dal '95, quando arriva al comando e vede il volto di suo figlio sfigurato, deve ascoltare la barzelletta di un’improbabile caduta accidentale del ragazzo. Mentre la storia di Emmanuel e di una supertestimone che sente le urla e lo vede bloccato a terra sotto una sequela di calci e pugni è un’altra. E’ la scena di un divertimento sadico, di una violenza ludica e spietata in ode al razzismo.

Ma il Ministro dell’Interno viene a dirci che l’Italia non è xenofoba, che non c’è un allarme razzismo. Sembra un altro Paese, un’invenzione, proprio come quella raccontata al comando al padre di Emmanuel. Possibile che sia così complicato rintracciare un comun denominatore ai diversi episodi di cronaca che hanno visto protagonisti tanti stranieri, immigrati o italiani afro? Coincidenze? O violenza per così dire neutra? Senza accanimento per ragioni di discriminazione razziale? Possibile che non ci si accorga che in Italia c’è un’impreparazione profonda e quasi viscerale all’integrazione. Sapientemente mascherata dal folklore italiano, che induce a confondere l’esser buoni con l’esser mediocri. Che è tutta un’altra storia.

L’assessore alla sicurezza Monteverdi si è dimesso. Questa la notizia dell’ultim’ora. Grazie all’azione dei movimenti, di Parma Anitifascista e per una volta - questo sì che è un fatto circoscritto che non vanta seguito - sotto i colpi decisi del PD, che almeno su questo sa fare il lavoro sporco dell’opposizione. Senza latitare dalle questioni di merito.

Le indagini sono ancora in corso. Non abbiamo la certificazione della colpevolezza. Sapremo aspettare, così come sta aspettando Emmanuel e la sua famiglia. E se qualcuno è ancora immerso nella riflessione del sospetto, è giusto che si prenda il tempo necessario a capire quanto questo Paese sia in pericolo di razzismo. Su questo possiamo non aspettare il processo purtroppo. Giusto il tempo di una foto che ritrae la Emanuel, definito “scimmia” dai suoi carnefici. Per la verità processuale serve una sentenza, per quella dei fatti basta non chiudere gli occhi.