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di Mariavittoria Orsolato


Lo scorso giovedì il Senato italiano ha approvato il disegno di legge Calabrò sul testamento biologico. Con 150 voti favorevoli, 123 contrari e 3 astenuti, il discusso provvedimento di emergenza sulla questione di bioetica scatenata dal caso di Eluana Englaro e dalle bizze del nostro premier passa ora al vaglio della Camera, con una piccola modifica: il documento autografo del paziente non sarà più vincolante per il medico. Il testo, che nella sua genesi ha spaccato e diviso indistintamente le infinite coscienze politiche italiane, ha subìto una modifica decisiva in zona Cesarini con l’approvazione dell’emendamento del senatore Udc Antonio Fosson, che rende “non vincolanti” le dichiarazioni anticipate di trattamento. Il primo comma dell’articolo 4 del testo originale stabiliva infatti come le volontà sul trattamento sanitario da adottare non fossero obbligatorie ma fossero – nel caso in cui espresse dall’interessato –vincolanti per i medici. Quella del senatore Udc potrà anche sembrare una semplice cancellatura ma, grazie a questo fine espediente semantico, il senso di una legge che avrebbe dovuto riaffermare la laicità dello Stato di fronte all’arbitrio dei cittadini è stato completamente stravolto e depauperato, immaginiamo con gran soddisfazione dell’ostinata re-azione cattolica. Se, ad esempio, una persona con un’anamnesi positiva all’ictus avesse disposto nelle sue dichiarazioni di intenti la contrarietà alle cure preservanti, i medici avrebbero dovuto comunque tenerlo in considerazione nel momento in cui venivano pianificate le soluzioni terapeutiche, ora questa prospettiva è irrealizzabile. Al contrario di quanto accade in Gran Bretagna, dove è allo studio una norma che prevede la radiazione dall'albo del medico che non dovesse rispettare la volontà del paziente, i dottori italiani sono quindi autorizzati a violarla in base al proprio rigore deontologico ma anche in seno a personali posizioni etiche, morali e ovviamente religiose.

Il vero capolavoro, figlio legittimo di questo simil-dibattito sull’accanimento terapeutico, risulta però al comma 6 dell’articolo 3 in cui si ribadisce in modo inequivocabile come l’alimentazione e l’idratazione fisiologica non facciano parte dell’accezione terapeutica ma “Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (…) sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita”.

Siamo di nuovo punto e a capo insomma, il ddl voluto fortemente dall’ala conservatrice del neonato partito del Predellino continua ad ignorare quella che fu la posizione di Eluana Englaro e di molti altri che nelle sue condizioni vorrebbero lo stesso: il testo pare non contemplare l’esistenza della volontà personale del degente e soprattutto sembra far trasparire la convinzione che giudizi di valore contrari al prolungamento dell’esistenza in vita non siano, per la loro stessa natura soggettiva (e ovviamente antisociale), ammissibili. Imponendo l’idratazione e la nutrizione artificiale per legge e delegittimando la stessa concezione del vocabolo “testamento”, lo Stato si sostituisce all’arbitrio dei pazienti e alla competenza dei medici, senza contare che è stato riaffermato il principio del tutto menzognero secondo cui questo tipo di trattamento non sarebbe un’operazione medica ma una semplice azione di buonsenso anzi, come direbbero oltre Tevere, di pietas.

La politica ha ovviamente reagito in modo scomposto, rigettando l’importante questione etica nel calderone delle polemiche distruttive ed inaspettatamente la prima critica è venuta proprio dal numero due del nuovo monstro arcoriano, il presidente della Camera Gianfranco Fini che ha bollato il ddl come “Un testo più da Stato etico, che da Stato laico”. La dichiarazione ha avuto luogo sul palco del congresso nazionale del PDL ed ha immediatamente gettato scompiglio tra la maggioranza, che ha subito tentato – non riuscendoci ­– di glissare sull’uscita “dell’amico Gianfranco”: parlando dal palco del congresso subito dopo Fini, il presidente del Senato Renato Schifani ha difeso il testo approvato a Palazzo Madama “Tutto è perfettibile ma in Senato abbiamo preso atto del vuoto normativo nel quale è entrata la magistratura che, surrogandosi alla volontà di Eluana, aveva deciso che doveva morire di fame e di sete. Abbiamo legiferato con libertà di coscienza”.

Purtroppo sappiamo quale sia la concezione di libertà del partito che ne porta immeritatamente il nome, ed è ben poco consolante vedere che Fini non ci sta proprio a fare il subalterno: sebbene il PD plauda al coraggio dell’ex numero uno di AN, nell’opposizione c’è chi sottolinea come le parole della quarta carica dello Stato siano perlomeno tardive “Il presidente della Camera poteva e doveva pensarci prima - ha detto Massimo Donadi, capogruppo dell’IdV alla Camera - il ruolo di grillo parlante che si sta ritagliando nel PDL non incide sulla vita del Paese perché alle parole non corrispondono azioni concrete”.

La partita è però ancora aperta, il disegno di legge varcherà le porte della Camera nei prossimi giorni e si prevedono, anche in sede pubblica, accesissimi dibattiti: sono già diverse le iniziative per avviare un referendum di consultazione e sul web si moltiplicano i siti dedicati ad appelli contro la legge passata in Senato, Micromega pubblica addirittura un documento sottoscritto da 33 prelati in cui si invita il Parlamento a votare una legge sul testamento biologico che rispetti la libertà di coscienza dei cittadini. C’e né praticamente per tutti i gusti.

Nello scompigliato panorama nostrano una cosa è certa, anche stavolta la politica ha perso un’occasione importante per affrontare seriamente una problematica così stringente e allo stesso tempo controversa: basterebbe così poco per capire che quando si spira, le ideologie e le prese di posizione svaniscono e che anche chi la pensa diversamente ha diritto a morire con dignità. Ma forse pretendiamo troppo.