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di Rosa Ana De Santis

In Italia, tra una chiacchiera di gossip e le luci dell’Ariston, di omosessualità si parla. Ultimo, in ordine di tempo e di decenza, é stato Povia, il cantante delle buone intenzioni, che ha intonato l’ennesima strofetta sugli omosessuali. E’ così che mentre Grillini, presidente dell’Arcigay, dalle prime file del Festival scuoteva la testa in segno di disapprovazione, la storia di Luca, omosessuale convertito alle donne, recuperava Freud e alcune interpretazioni pittoresche del suo pensiero. E’ invece decisamente meno romantico il quadro presentato a Bruxelles dal direttore dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali, Morten Kjaerum, e da Giusto Catania, vice presidente della commissione Libertà civili del Parlamento europeo. L’Italia condivide con altri 13 Stati la vergogna di non riconoscere alcun diritto alle coppie omosessuali. Spagna, Belgio e Paesi Bassi sono l’eccezione. Prevedono addirittura la possibilità per gli omosessuali di sposarsi esattamente come gli etero. La cattolica Spagna deve il merito al coraggio politico di Zapatero, Belgio e Paesi Bassi ereditano il primato di una tradizione culturale che ha fatto bandiera dell’idea più nobile della tolleranza e dell’integrazione. Peggiori di noi Lettonia, Polonia e Lituania, dove il diverso orientamento sessuale è considerato un costume immorale. Quello che abbiamo imparato a non dire più, almeno non così chiaramente.

Al caso italiano non è possibile fare sconti. Speculare al vuoto della legge e all’assenza di riconoscimento giuridico, nelle strade serpeggia il veleno di una crescente omofobia. Aggressioni, violenze, atti discriminatori sono sempre più diffusi. Chiamarlo bullismo, così com’é accaduto per numerosi episodi di cronaca, é un modo abile per occultare la natura di un preoccupante fenomeno sociale e per accampare ripetute scuse per rimandare l’impegno delle istituzioni. Le denunce di Arcigay e Arcilesbiche documentano un aumento pericoloso di attacchi ai danni della comunità LGBT (Lesbo, Gay, Bisex, Trasgender). Ma c’è di più: un’oratoria carica di termini e accezioni discriminanti che rimbalza dagli onorevoli parlamentari ai porporati più in vista, tradendo non soltanto un’impreparazione imbarazzante su questi temi, ma soprattutto una latitanza reiterata delle istituzioni ad assumersi l’impegno di una battaglia politica per il riconoscimento di pari diritti.

In questo senso è stato paradigmatico l’intervento del nostro Ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna, che, appena insediata, critica di fronte alla manifestazione del Gay Pride è riuscita a dire che in Italia i “gay non sono discriminati”. Un messaggio che inviato da chi tiene il Dicastero delle Pari Opportunità ha un valore e una forza persuasoria che trascende il fatto del mancato patrocinio al Pride. Forse l’onorevole Ministro voleva dire che quello che non si vede non ha nome, né identità riconosciuta, non esiste nei diritti e quindi tantomeno nelle discriminazioni subite? Forse vuole dire che non c’è reato contro gli omosessuali perché non c’è un capo d’imputazione secondo una legge ad hoc? Strano sentirlo dire da chi si è battuta per portare in evidenza il reato delle molestie e dello stalking, quello che per tradizione deteriore di maschilismo era tollerato, non molto tempo fa, quasi come un elemento insopprimibile della galanteria dei maschi. In ogni caso non ha mai nascosto, Mara Carfagna, di essere assolutamente contraria al riconoscimento per i gay di diritti simili a quelli delle coppie eterosessuali. Si professa disponibile a contrastare tutte le discriminazioni, tranne quella più grave di tutte. Non essere cittadini come tutti gli altri a causa di una preferenza sessuale.

La relazione colpisce duramente anche la Chiesa Cattolica, com’era prevedibile. L’omofobia è un assioma storico della gerarchia ecclesiastica, almeno a voler rimanere fuori dai seminari, restando alle carte e ai discorsi ufficiali. In più occasioni la Chiesa si è esposta al fine di rimarcare la condanna morale per chi, consapevole della propria natura omosessuale, non sceglie la castità. E’ quasi elementare capire quanto questo genere di catechismo, secondo il quale l’omosessuale è accettata solo se rinuncia ad avere una vita sessuale e quindi affettiva, inquini un’intera sensibilità collettiva facendo passare, anche tra chi non è praticante del rito cattolico, il messaggio di un disvalore morale intrinseco dell’essere omosessuali.

Su un quadro così desolante non serve a molto interrogarsi sulle radici dell’omosessualità, se abbia origine per natura o per trauma, sugli eccessi delle sue manifestazioni o, peggio, sul tema della malattia e della guarigione, caro ai bigotti ed agli ipocriti. Non serve perché ogni argomento di questo tipo viene dopo, solo dopo aver capito che alcuna forma d’invisibilità pubblica e politica può essere comminata come condanna pubblica per uomini e donne per motivi razziali, religiosi, culturali o di preferenza sessuale. Il ritardo del nostro Paese è ancora una volta collocato tutto qui. Non tanto in una discriminazione pensata e lucida, quanto nel rimanere imbrigliati nel filo spinato che divide il pubblico dal privato, nel confondere morale e libertà personale, nell’intento di spalmare il diritto su un supposto codice etico che, secondo qualche ministro poco preparato, ha più dignità di altri solo perché benedetto dalle tonache di Roma.

E’ probabile che il Gay Pride nelle forme in cui di solito ha sfilato nelle città, con i suoi eccessi da Carnevale, non abbia aiutato a dare l’immagine che diritti e vita non sono e non devono essere diversi tra i diversi cittadini. Effetto collaterale di una differenza esasperata e tipica di tutte le clandestinità. Ma l’altra faccia della clandestinità è - solo per fare un esempio - quella imposta nel Parlamento Italiano, dove ad esempio, i dichiarati omosessuali o bisex, si contano in poche unità; non tanto perché sia di qualche valore un’outing alla Pecoraio Scanio, ma perché è di vitale importanza tacere il segreto soprattutto se si milita in partiti come l’UDC o la Lega. Secondo Grillini il 10% dei parlamentari è omosessuale. I più nel Popolo delle Libertà. L’omosessualità è tabù nello sport dei maschioni calciatori. Le parole del mister della nazionale tradiscono la disinvoltura forzata di chi la pensa con un laconico“come se fossero normali”.

Ma rimane lontana, per parlare di tutto ciò che può cambiare in concreto la vita delle persone, qualsiasi apertura agli omossessuali e qualsiasi rivisitazione del diritto di famiglia. Quello che si annuncia invece in Francia. Troppo alto lo scontro nel nostro Paese, troppa è l’ansia di rimuovere l’evidenza ingiusta per la quale alcuni cittadini sono trattati diversamente dalla legge per una preferenza di gusto sessuale. Cosa c’é dietro il voler declinare legge e diritti utilizzando come criterio il letto dei cittadini? Come amano e chi, come fanno sesso, come vivono la loro intimità? Se questo non lede i diritti di alcuno, che senso ha usare il privato per decidere nel pubblico?

Quale valore morale-politico ha impedire a una coppia di contrarre diritti e doveri del contratto matrimoniale perché dello stesso sesso? Rispondono i cattolici mascherati che l’impedimento è nell’impossibilità di procreare per natura, l’impedimento è il veto naturale di quella coppia a diventare famiglia. Allora, se questa fosse la vera ragione, potremmo impedire – perché no- a tutti gli uomini e le donne sterili di sposarsi o pensare a sanzioni per chi deliberatamente non volesse averne opponendosi alle potenzialità della natura?

Se la natura, come l’Italia insegna magistralmente, è ciò che rimane di dio nella presunta laicità della nostra nazione, è in quel preciso momento che si assolvono clamorose ingiustizie. Nascono bambini malati da embrioni portatori di sindromi genetiche ereditarie. Succede che solo i più facoltosi possono nascere sani. Succede che due che si amano non possono reciprocamente tutelarsi per legge, perché il loro gusto sessuale non è “per natura”. Succede che invocando la natura, si benedicono ingiustizie. E per volere di dio o degli uomini troppe giovani vite ancora oggi sono perseguitate dalla violenza dell’intolleranza. Uno dei ritratti più dolci dell’omosessualità l’ha regalato alla letteratura italiana Giorgio Bassani in “Gli occhiali d’oro”. E’ il racconto di un suicidio per emarginazione che assomiglia a tante dolorose storie di oggi. Oggi che non solo siamo lontani da ogni smascheramento dell’abuso, ma siamo nel mare aperto di una voracità da aggressione. Quella di tutti coloro che in quell’eguaglianza di diritti dicono di vedere una pericolosa deriva verso l’immoralità, per non dire del potere sulle coscienze che temono di perdere.