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di Sara Nicoli

Stefano Ricucci La parabola di Ricucci, aspirante finanziere del salotto buono tramite distribuzione di patacche, è finita come si presumeva finisse: una cella d'isolamento a Regina Coeli. L'arresto ordinato dal Gip è stato motivato con la possibilità di inquinamento delle prove e proprio per questo non ci saranno arresti domiciliari. Stando alle accuse Ricucci utilizzava due telefoni con contratti in Lussemburgo (difficili da intercettare per le rogatorie) e le email. Arrestate anche le talpe che lo avvisavano dell'arrivo di medici e infermieri, cioè i finanzieri. In manette, a tenergli compagnia, anche il brigadiere della Gdf Luigi Leccese, l'ex ufficiale dell'Esercito Vincenzo Tavano e l'imprenditore edile Tommaso Di Lernia. I tre, secondo il Gip, sarebbero le talpe che l'immobiliarista utilizzava per essere informato delle perquisizioni. Leccese dal suo ufficio della Finanza avvisava Di Lernia il quale a sua volta passava l'informazione a Tavano. Quest'ultimo era il terminale della notizia che arrivava alle orecchie di Ricucci. "Arrivano i medici", "arrivano gli infermieri": così i tre si comunicavano l'imminente arrivo dei finanzieri. E più di una volta aveva funzionato visto che i militari che arrivavano negli uffici di Ricucci trovavano borse e cassetti vuoti. Le attività di Ricucci si erano orientate verso l'ultimo disperato tentativo di rimanere a galla. Tentava, attraverso alcune società di comodo, di fare lievitare i suoi titoli, così da farli risalire nelle quotazioni. Adesso però, i titoli di cui Ricucci si dovrà preoccupare, saranno quelli dei giornali. A guardarli adesso, nel momento della loro caduta più ingloriosa, i "furbetti del quartierino" appaiono in tutto il loro magnifico squallore: una "banda del buco" da film di Vanzina che solo una finanza italiana ingessata e priva di veri capitani d'industria ha potuto credere, anche solo per qualche mese, che fossero davvero credibili. Giampiero Fiorani, che era il tesoriere del gruppo, è appena uscito di galera; Giovanni Consorte, padre padrone dell'Unipol e "mente organizzativa" delle intelligenze sottili dei "furbetti", ha perso il posto, la stima degli amici, l'appoggio della politica. E l'ex governatore Fazio passa il suo tempo da gran pensionato dello Stato a spiegare ai giudici che lui in questa storia non c'entra nulla, ma non gli crede nessuno. Ieri, poi, anche l'ultimo di questi grotteschi personaggi da operetta ha fatto il tonfo. Uno show down atteso, forse il più atteso perchè la sfacciataggine e l'ostentazione cafona fa sempre piacere vederle franare sotto il peso delle regole, della giustizia e del buon senso. Gran brutta fine quella di Stefano Ricucci: dal tentativo di scalata al Corriere della Sera a Regina Coeli.

Il 2005 e' stato un anno memorabile per lui, il vero protagonista nelle tre grandi partite finanziarie dello scorso anno. L'ascesa dell'immobiliarista romano però si era fermata già da qualche mese e ieri c'è stato solo il colpo di grazia con l'arresto da parte della Guardia di Finanza per aggiotaggio e rivelazione di segreti d'ufficio nella partita Rcs, di cui aveva ambito il controllo. Ricucci ha partecipato anche alle scalate su Bnl e Antonveneta ma solo una frase lo farà, se così si può dire, "passare alla storia", quella frase ''Stamo a fà i furbetti del quartierino'', intercettata durante le indagini su quest'ultima vicenda e che ormai è diventata un cult.

Il tentativo di scalata di Ricucci al Corriere della Sera è durato 19 mesi. Il 4 maggio 2004, l'immobiliarista romano entrò nel capitale di Rcs, il salotto più importante della finanza italiana, ma solo agli inizi del 2005 tentò l'affondo: alla fine di gennaio controllava già il 4,9% di Rcs, in aprile salì al 6,9% mentre a maggio, e precisamente il 16, raggiunse il 9,6% diventando così il terzo azionista del gruppo. Nei mesi successivi, la sua quota nel gruppo del Corriere della Sera salì progressivamente fino a raggiungere il 29 giugno 2005 il 20,1%. Un'ascesa, questa, durante la quale Ricucci non nascose di stare considerando la possibilità di lanciare un'Opa sul Corriere che la moglie Anna Falchi definì ''il giornale preferito mio e di Stefano''.
Il patto che controlla Rcs resse però all'assedio di Ricucci e le azioni cominciarono a scendere. E diminuì così il valore del pacchetto che Ricucci aveva acquisito indebitandosi con le banche. Alla fine gli è restato con poco meno del 15% che e' in pegno alla Popolare Italiana, dove non c'e' più il suo compagno di scalate Fiorani, ma é arrivato Divo Gronchi, che sta cercando di rimettere in ordine i conti della banca. E il 10 febbraio è arrivata la procura di Roma che gli ha sequestrato una parte di quei titoli pari ad un valore di 22 milioni di euro che, secondo la tesi dell'accusa, costituisce la plusvalenza illecita realizzata compiendo il reato di aggiotaggio sui titoli Rcs.

L'anno d'oro di Ricucci? Senza dubbio il 2002. E' stato il momento dell'acquisto clou del 5% di Capitalia, ma soprattutto quello del suo fidanzamento con Anna Falchi, con la quale convolerà a nozze nel luglio 2005 nella villa dell'Argentario. Un matrimonio da favola, "nozze d'amore" per i frequentatori dell'entourage, "nozze d'interesse" per tutto il resto del mondo: lui a caccia di conferme all'immagine di uomo di successo su tutti i fronti; lei in cerca di una affermazione pubblica come "lady Corriere" o "lady finanza", ruoli ben più sfavillanti di quelli più realistici e fino a quel momento ricoperti, che certamente mai gli avrebbero permesso di entrare nei salotti buoni dalla porta principale. Ma c'erano davvero tutti i presupposti perchè finisse male e presto. D'altra parte, l'ingresso in Capitalia, e nel gotha della finanza, non venne certo accolto calorosamente dal presidente, Cesare Geronzi, che con un'altra frase storica fece capire subito in giro l'aria che tirava intorno all'odontotecnico di Zagarolo e ai suoi modi da bifolco arricchito: ''Ricucci chi?'', si limitò a rispondere. E furono subito applausi.

L'anno prima Ricucci, nato a ridosso dei Castelli Romani 43 anni fa, aveva dismesso immobili per 100 milioni di euro, reinvestiti in Hopa (1,4%), Bpl (0,9%), Reti Bancarie (1%), Investimenti Immobiliari Lombardi (0,4%) e Banca Valori (1%). La cessione della quota Bell (società che controllava l'Olivetti-Telecom di Colaninno e Gnutti) da parte di Hopa e l'offerta della Bpl su Investimenti Immobiliari Lombardi, rappresentarono un bel regalo per Ricucci, che raddoppiò di colpo il capitale investito. Un patrimonio a cui si aggiunse, a fine 2003, la ricca plusvalenza - che secondo alcune indiscrezioni ha fruttato circa 120 milioni di euro - ottenuta vendendo la partecipazione in Capitalia. Soldi che serviranno per le sue altre incursioni, in primis in Bnl.
Uscito dalla banca di Geronzi, Ricucci entrò infatti nell'altro istituto romano, la Bnl di Luigi Abete, con il quale inizialmente si schierò per poi confluire a fine 2004 nel contropatto guidato da Francesco Gaetano Caltagirone e che raccolse altre "menti illuminate" del mondo dell'immobiliare italiano come Danilo Coppola e Giuseppe Statuto, personaggi caricaturali degni del primo neorealismo del cinema italiano.
Ricucci però non si interessò solo alle banche romane. Spostò i suoi interessi anche su Antonveneta, ma fu l'inizio della fine, la classica buccia di banana: la Procura di Milano lo stava aspettando proprio lì, perchè aveva già accertato il suo concerto con Gianpiero Fiorani. I suoi titoli finirono subito sotto sequestro.

Alla fine, cosa resta di questa storia? E l'arresto di Ricucci mette davvero la parola fine? Di certo, prima o poi a qualcuno dietro le sbarre verrà in mente di parlare per snocciolare qualche nome in più, casomai di quelli che hanno spinto questi cialtroni a tentare una rivoluzione nel mondo dell'alta finanza e nei salotti buoni con fissati bollati truccati e spiccioli rimediati qua e là. D'altra parte non c'è altro modo per uscire di galera in tempi rapidi , ma di sicuro la parabola del successo ha toccato il suo punto più basso. E sull'onda delle rivelazioni, di certo non mancherà di riaffiorare potente la figura dell'ex governatore Fazio, vera eminenza grigia di questo tentativo burino di ribaltare i "poteri forti" del Paese, ma che dai medesimi è stato abbattuto. La stagione dell'amore e del successo al tempo delle Opa è durata una sola estate. Adesso si gira un altro film: "I furbetti al capolinea".