Stampa
di Sara Nicoli

Siamo una Repubblica fondata sulla Corte di Cassazione. E non è solo perchè è stato il Palazzaccio, alla fine, a decidere che l'Unione ha vinto le elezioni. Se si spinge lo sguardo oltre la quotidianità, ci si rende ben conto che proprio questa è regolata da leggi e convenzioni su cui, il più delle volte, hanno detto l'ultima parola proprio "gli inquilini" dello spettrale palazzo di piazza Cavour. Giudici ultimi e supremi di regole che spaziano dall'uso corretto di un cellulare in riunione all'applicazione dell'ex Cirielli, dalla scioccante lettura autentica di cosa si intende per stupro di una minore fino a quella, non di minor peso, che illustra i casi in cui la parola "stronzo" può essere considerata o meno offensiva a seconda del tono con cui viene pronunciata. Gli "ermellini" sono dunque il vero potere temporale di questo bizzarro Paese, che nel tempo ha delegato al giudizio di un pugno di uomini in toga impellicciata, il ruolo che qualsiasi nazione democratica demanda principalmente alla politica; cioè quello di costruire il tessuto connettivo morale e sociale di un popolo. E' la Corte di Cassazione che dice se il direttore generale della Rai può licenziare o meno i giornalisti, se è giusto che si appenda un crocefisso nelle aule scolastiche o se sia lecito che le musulmane debbano coprirsi il capo con il velo in una nazione a maggioranza cattolica. O se, ancora, l'assenza della moglie da casa costituisca un possibile addebito alla medesima delle corna del marito in caso di separazione. Ed è sempre la Corte che concede uno sconto di pena allo spacciatore perché "colto da ravvedimento" nonostante sia stato trovato con una fornitura di droga tale da sopperire ai bisogni di una città grossa come Roma. Insomma, un potere totale su tutto e su tutti che i giudici del "Palazzaccio", tuttavia, non si sono presi da soli ma che il popolo italiano, ricorso su ricorso, gli ha lentamente conferito facendoli diventare, oltre il ruolo di legge a loro demandato, arbitri assoluti in terra del bene e del male.
Non è per questo che la Cassazione è nata. La maggior parte degli storici del diritto sono concordi nell'affermare che l'istituto affonda le proprie radici nell'Illuminismo e nella rivoluzione francese, come risposta al problema di un organo che fosse in grado di sorvegliare il potere giudiziario senza giudicare, in omaggio al principio sovrano, nelle democrazie, di separazione dei poteri.

E fu così che il 27 novembre 1790 nacque il Tribunal de Cassation francese, antenato anche del suo derivato italiano. Poi, però, dalla sorveglianza si è lentamente scivolati verso l'acquisizione di un potere di giudizio reale che oggi sta conoscendo la sua deriva più pesante: semplificando al massimo, si potrebbe dire che se la Chiesa tenta di imporre le proprie regole facendo leva sulle fragili coscienze cattoliche, la Corte di Cassazione, laicamente, costringe il costume sociale ad orientarsi in un modo o in un altro sulla base di una lettura, spesso parziale e limitata a un caso specifico, delle leggi dello Stato. Perché le sentenze della Cassazione, in quanto ultimo grado di giudizio, "fanno giurisprudenza" , costituendo di fatto il vero "corpus giuridico" dello Stato, sopra codici e procedure di cui, gli "ermellini", sono diventati unici esegeti riconosciuti.
E' giusto che sia così? Non c'è forse troppa invadenza in questo agire, in questo impicciarsi di tutto, dalla politica al costume? E come mai solo in Italia il potere di un organo giudiziario dello Stato è diventato così dilagante da sovrastare quasi tutti gli altri, non solo nel sentire comune ma anche nella realtà?

La risposta a queste domande sta in parte nell'attitudine italiana alla violazione pedissequa della legalità ,che ha trovato nel "berlusconismo" il suo apice più deleterio, il contenitore delle predisposizioni ad aggirare, tergiversare, truccare e modificare senza mai dover dimostrare. Un modo d'agire furbesco ed arrogante che ha saputo insinuarsi con successo nella crisi della giustizia e in quella di una politica, che non riusciva a rendere giustizia perché in prima fila, vede i suoi principali rappresentanti farsene beffe. Ma c'è anche un altro aspetto. E' che in Italia ci sono troppe leggi, molto spesso l'una in contraddizione con l'altra e quasi sempre sconosciute, fino a quando non emerge un giudice dai sotterranei del Palazzaccio che si ricorda della sua esistenza e rovescia una sentenza come una frittata, rendendosi così artefice non dell'applicazione del diritto ma della sua creazione dal nulla. E senza il minimo vincolo, nel regno dell'arbitrio più assoluto.

I pesanti attacchi a cui la magistratura è stata sottoposta durante tutto il buio periodo berlusconiano ha fatto maturare una sincera solidarietà verso i giudici di ogni ordine e grado, costretti a lottare, spesso in solitudine, contro chi voleva solo diventare più ricco a spese di tutti gli altri. Ma ora che, almeno per il momento, questo pericolo per la democrazia sembra essersi leggermente allontanato, sarebbe il caso che la nuova classe dirigente del Paese cominciasse ad interrogarsi su come coprire quel vuoto di potere culturale che la Corte di Cassazione, in questi anni, ha sopperito a furia di carte bollate e di giudizi sommari, solo perché la politica non sapeva più fare il suo mestiere.