Scontri, attacchi, polemiche dure, azioni di disturbo, violazioni dei principi
di sovranità, prove di dialogo, rotture, sfide, chiusure, storie di martiri
e compromessi. E' un lungo elenco di vicende e contrasti tra le diverse linee
della curia romana e i vertici della Cina comunista
E sono storie dei
(non) rapporti tra la "Città proibita" di Pechino e la "Casa
di Pietro". Un contenzioso che dura da tantissimi anni e, soprattutto,
da quella rottura del 1950, quando il governo cinese istituì una sua
"chiesa" in opposizione a quella di Roma, ansiosa di mettere su casa
in un paese ritenuto come un territorio dove poter espandere il dominio Vaticano.
Ma a parte questo si può affermare che in Cina non c'è mai stata
una vera e propria "religione" se si intende per "religione"
quell'insieme di credenze relative ad un dio (o a più divinità),
in relazione ad una concezione del destino umano, espressa in un'organizzazione
ecclesiastica, con un rituale. La Cina, infatti, non è il paese delle
religioni, ma è quello delle dottrine. E la storia, in tal senso, ci
aiuta nel comprendere che i cinesi hanno sempre avuto tre religioni: il taoismo
(fondato nel VI secolo a.C. da Lao-Tse), il confucianesimo (le cui origini sono
pressappoco contemporanee di quelle del taoismo) e il buddismo. Tutti e tre
questi "sistemi" in cinese, sono definiti come le "tre dottrine". E così è andata avanti l'evoluzione. Tanto che si può affermare
che all'inizio del XX secolo nessuna delle tre dottrine aveva veramente dei
fedeli: un cinese buddista poteva partecipare a cerimonie taoiste o popolari,
così come, per esempio, un italiano di questo secolo può professare
una filosofia atea, sposarsi in chiesa per poi battezzare i suoi figli e andare
alla messa.
Comunque, prima della rivoluzione e della costituzione della Repubblica Popolare
Cinese, c'era in Cina un clero importante: bonzi buddisti, religiosi taoisti,
mandarini seguaci di Confucio. Tutti esercitavano attività sacerdotali
classiche, sacrifici, invocazione degli antichi, tutti erano profeti, guaritori
e quant'altro e, nell'insieme, le loro interpretazioni personali della dottrina
alla quale aderivano, erano profondamente influenzate dalla religione popolare.
Ma i problemi, per il mondo del cattolicesimo vaticano, cominciano con l'avvento
dei comunisti al potere.
E' la lunga marcia di Mao che mette il Vaticano in posizioni di difficoltà
e che, di conseguenza, obbliga il governo d'Oltretevere ad attuare una strategia
d'attacco verso Pechino e la sua nuova dirigenza. E subito sono le "cifre"
a parlare (pur se i dati statistici sono di varia provenienza e poco affidabili):
alcune rilevazioni del 1951 indicavano in 150 milioni i buddisti, compresi quelli
imbevuti di credenze popolari e che partecipavano a culti taoisti. Ma con Mao
la fisionomia religiosa cambia. La rivoluzione estirpa le vecchie radici della
società feudale: l'insegnamento respinge le superstizioni, l'idolatria,
la stregoneria. Le sette buddiste e taoiste si rifugiano a Formosa. E Mao, nell'azione
di lotta all'analfabetismo, si batte anche contro le superstizioni mistiche.
Con il Vaticano, quindi, nessun contatto diretto. Solo polemiche a distanza
e timide prove di dialogo. Come quell'apertura del 1986 voluta da Deng Xiaoping
- dopo il lungo inverno maoista - che vide riuniti a Pechino i rappresentanti
di varie confessioni e Paesi. Un processo, quello, che si collocò sulla
scia della diplomazia del "ping-pong" del 1970.
Sempre, comunque, con la Cina che accusa la Chiesa romana di servire le aggressioni
del colonialismo e dell'imperialismo americano e di essere, da sempre, ostile
alla nuova Cina, fomentando anche la formazione di strutture ecclesiali antagoniste.
Una posizione, questa, che era già stata ampiamente affermata nel 1982
quando il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese invitò a "schiacciare
con durezza " le comunità clandestine che "con la scusa della
religione fanno dello spionaggio distruttivo".
Tutto va quindi visto nel quadro di una situazione "religiosa" che
può essere così fotografata: vi sarebbero in Cina circa 30 milioni
di musulmani che sono considerati minoranza etnico-religiosa (hui). Fra i tibetani
e i mongoli, il lamaismo ha ancora un ruolo importante. I cristiani sarebbero
poco più di due milioni. Ed è appunto su questa minoranza che
il Vaticano punta da sempre le sue carte per aprire un varco alla sua penetrazione.
I fondi, ovviamente, non mancano. Ma Pechino teme un'espansione-invasione vaticana
e in questo trova appoggi nelle gerarchie delle altre religioni già presenti
in forza sul suo territorio.
Di qui lotte e polemiche che si vanno accentuando sempre più, con un
regime cinese che costringe ad occultare i legami con la sede apostolica e con
una curia vaticana che da lontano non comprende le scelte di Pechino. Eppure
si era cominciato a parlare di un possibile disgelo a partire dalla fase finale
dell'èra wojtyliana sino all'inizio di questo pontificato di Benedetto
XVI. C'era stato, di recente, un fatto emblematico: il governo cinese aveva
riconosciuto e approvato l'ordinazione di vescovi ufficialmente nominati dal
papa, dopo che per decenni aveva impedito o almeno contrastato ogni "ingerenza"
vaticana. E ancora: nel periodo tra la morte di Giovanni Paolo II e i primi
giorni del nuovo pontificato, l'ambasciatore cinese presso il Quirinale Dong
Jinyi e il viceministro degli Esteri cinese Zhang Yesui, erano stati ricevuti
in Vaticano per colloqui informali con alti funzionari della segreteria di Stato.
Ma nonostante tutte le prove di dialogo, lotte e polemiche continuano. Le ultime
sono delle settimane scorse. Quando a fine aprile Pechino "ordina"
due vescovi - Giuseppe Ma Yinglin e Giuseppe Liu Xinhong nello Yunnan e a Wuhu,
provincia dell'Anhui.
Tutto avviene al di fuori delle regole vaticane. E il portavoce del Papa Joaquin
Navarro Valls in una dichiarazione precisa che: "La Santa Sede ribadisce
la necessità del rispetto della liberta della Chiesa e dell'autonomia
delle sue istituzioni da qualsiasi ingerenza esterna". E come conseguenza
dell'azione di Pechino il Vaticano fa presente che "tali iniziative non
soltanto non favoriscono il dialogo, ma creano anzi nuovi ostacoli contro di
esso''. E così, mentre il pragmatico Hu Jintao tace, da Roma si fa sentire
Papa Ratzinger il quale (lo spiega il portavoce Navarro) ''ha appreso le notizie
con profondo dispiacere - poiché un atto così rilevante per la
vita della Chiesa, com'è un'ordinazione episcopale, è stato compiuto
in entrambi i casi senza rispettare le esigenze della comunione con il Papa''.
Ed è di nuovo guerra tra Vaticano e Pechino: la grande muraglia si allunga.
Nella parte cinese - di conseguenza - si ritrovano 103 vescovi cattolici, 2.840
preti, più di cinquemila suore, più di duemila seminaristi che
studiano in 36 seminari ufficiali e 10 underground. Il numero dei fedeli (sia
quelli "ufficiali" che quelli che fanno riferimento a comunità
non registrate) si dovrebbe aggirare, secondo le stime più accreditate,
intorno ai 12 milioni. Cifra ben superiore a quei tre milioni di cattolici che
c'erano nel 1949 prima dell'avvento di Mao.
C'è in prospettiva, intanto, anche l'uomo del Vaticano che dovrebbe occuparsi
del "dialogo". E' il cardinale Joseph Zen Ze Kiun (74 anni) vescovo
di Hong Kong ritenuto un profondo conoscitore della Chiesa in Cina, ufficiale
e non ufficiale.
Ma a Pechino c'è già chi teme questo nuovo personaggio che potrebbe
avere sul Paese lo stesso effetto che Solidarnosc con Wojtyla ebbe sull'Europa
dell'Est.
E così - mentre continua l'azione di pressing politico-diplomatico per
un viaggio di Ratzinger in Cina (alimentata dal ministro degli esteri vaticano,
monsignor Lajolo) - il potere di Pechino insiste nel chiedere al Vaticano di
rompere con Taiwan e di cessare ogni forma di ingerenza negli affari cinesi.
Non si può predire il cammino esatto che la storia seguirà. Pechino
e Vaticano sono due chiese. Del silenzio.