di Mario Braconi
Il porno è un'industria fiorente. Secondo il Rapporto sulla pornografia 2005 dell'Eurispes (ultima ricerca disponibile in Italia sull'argomento) poco meno di 9 milioni di connazionali ne fanno uso, per un fatturato annuo stimato di poco superiore al miliardo di euro. Dati certamente sottostimati per due ragioni: prima di tutto, non incorporano le vendite effettuate tramite operatori non specializzati nel settore (come Sky), che però, senza dare troppo nell'occhio, portano nelle case dei benpensanti italiani migliaia di ore annue di filmati "proibiti" (da novembre, per motivi di budget, la pay-per-view Sky per adulti trasmette porno 24 ore su 24); ma soprattutto perché il fenomeno YouPorn consente a circa 1,5 milioni di italiani di soddisfare le loro voglie pruriginose senza metter mano al portafogli.
Poiché dunque la pornografia è un fenomeno diffuso, interrogarsi su quali siano i suoi effetti sulla quella società che la genera e la consuma è un esercizio doveroso: la pornografia, insomma, fa bene o no alla società? E' questo, grosso modo, il titolo di un articolo comparso il primo marzo sul sito internet della rivista americana The Scientist, a firma di Milton Diamond, professore di anatomia e biologia riproduttiva presso la University of Hawaii a Manoa. Diamond, dopo aver ridicolizzato negli Anni Novanta le cosiddetta Teoria della neutralità di genere, secondo la quale essere maschio o femmina è soprattutto un fatto culturale, ha condotto ricerche sul campo in Giappone ed in Croazia, concludendo che non esiste alcuna relazione provata tra incremento nella disponibilità di pornografia e numero degli stupri e dei reati sessuali in genere. Secondo Diamond, anzi, sarebbe vero il contrario: in concomitanza con un più facile accesso a materiale pornografico registrato con l'avvento di internet, il numero di questa categoria di delitti sarebbe addirittura diminuito.
Dall'analisi delle abitudini degli uomini colpevoli di violenza sessuale anche su minori, risulterebbe che essi facciano meno uso di pornografia rispetto a quelli che non si macchiano di questi crimini; sembra invece provata, secondo Diamond, la relazione tra educazione repressiva e sessuofobica e delitti di tipo sessuale. Diamond conclude proclamando la legittimità della pornografia; perorazione per certi versi preoccupante, nel senso che implica l’esistenza negli USA di una tendenza verso progetti che la rendano illegale: "Non esiste forma di libertà di cui sia impossibile abusare. Detto questo, la libertà della maggioranza non può essere conculcata per prevenire gli abusi di una esigua minoranza. Quando le persone superano certi limiti, commettono reati, per punire e reprimere i quali già esistono leggi specifiche."
L'articolo di Diamond non è però inattaccabile dal punto di vista scientifico. Kate Harding, firma del giornale online americano Salon, femminista e suffragetta dei diritti delle persone sovrappeso, dedica al professore un pezzo puntuto e preciso: innanzitutto, sostiene la Harding, Diamond non cita una serie di studi recenti secondo cui i crimini contro le donne sarebbero invece aumentati assieme alla maggior diffusione della pornografia. In generale, sostenere che il periodo in cui Diamond ha riscontrato un calo degli stupri (1970 - 1995) sia stato caratterizzato soprattutto da una maggiore produzione e consumo di materiale pornografico, appare a dir poco riduttivo: non sono forse innumerevoli i fenomeni culturali e sociali verificatisi in quegli anni che possono reclamare una qualche influenza sulla pretesa contrazione del numero dei delitti?
La Harding cita ad esempio la maggiore consapevolezza delle donne, ottenuta anche grazie all'apporto del movimento femminista. Senza contare che, per quanto Diamond si svoci a difendere la pornografia considerandola addirittura un driver di attitudini favorevoli alle donne, anche chi non mastica statistica è in grado di capire che c'è una bella differenza tra correlazione e nesso causale.
Se da un lato, continua Harding, è rinfrancante ribadire quanto possa essere dannosa un'educazione religiosa repressiva e sessuofobica, a portare agli estremi il ragionamento di Diamond sembrerebbe che gli stupratori siano tali a causa del poco porno consumato: il che implica tra l'altro che, un'eventuale maggiore diffusione del porno, non impatterebbe più di tanto i crimini sessuali (per qualche ragione gli stupratori non ne consumerebbero in ogni caso). Senza contare che il ragionamento di Diamond sembra considerare lo stupro dall'angolazione della gratificazione sessuale (dello stupratore, ovviamente) e non da quella del controllo e della violenza; che i colpevoli di crimini diversi non abbiano mai compiuto anche una violenza sessuale (magari mai scoperta né punita) e, infine, che l'educazione repressiva tenda ad influenzare solo il consumo di materiale a luci rosse anziché contribuire ad instillare esecrabili quanto sciocchi stereotipi sulla femmina ("creatura del demonio", "tentatrice" e via delirando).
Infine, a parte qualche lodevole eccezione, il materiale pornografico in circolazione (che abbia o meno l'imprimatur femminista) difficilmente contribuisce ad ispirare nei suoi utilizzatori maschi rispetto ed atteggiamenti paritari nei confronti dell'altra metà del mondo. Insomma, se pure è condivisibile la difesa della legittimità e della legalità della pornografia, Diamond non riesce a convincere completamente quando sostiene che più pornografia significhi automaticamente una società migliore e maggior rispetto per le donne. E a farglielo notare è una donna.