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di Carlo Benedetti

Il dialogo tra il Vaticano e la Cina sfugge alle interpretazioni tradizionali della diplomazia mondiale, perché su tutta la "vicenda" predomina una componente di misticismo. Valgono poco i testi delle cancellerie e bisogna ricorrere alle sacre scritture, cattoliche o marxiste che siano.
Da un lato c'è la Chiesa di Roma che ritiene che la sua missione divina consiste nel portare il "verbo" nella terra della Grande muraglia; dall'altro lato ci sono i comunisti cinesi che prendono tempo muovendosi con le regole del ping-pong. Un colpo a destra, uno a sinistra, una "schiacciata" e poi di nuovo la pallina sul tavolo.
Intanto il tempo corre. Ma ora, con insistenza particolare, si parla di un reale avvicinamento, di una "disposizione" cinese al dialogo, di possibili aperture che possono far prevedere un viaggio di Papa Ratzinger, dalle mura vaticane alla muraglia cinese. Qualcosa si muove. Ma siamo sempre nel bel mezzo di quelle sabbie mobili delle valutazioni contraddittorie. Di certo c'è che proprio di recente il Papa, nominando dei nuovi cardinali, ha inserito nel gruppo anche il suo uomo in Cina: Joseph Zen Ze Kiun (classe 1932), vescovo di Hong Kong, profondo conoscitore della Chiesa ufficiale e non ufficiale. Un personaggio che, ordinato sacerdote a Torino nel 1961, è ora chiamato a gestire una fase di transizione avviata da un Vaticano - che rinuncia al rapporto esclusivo con Taiwan - e da una Cina che ha sempre più bisogno d'aperture all'Ovest. C'è, quindi, un fatto nuovo nello stato delle relazioni tra le due grandi potenze.

Ad accelerare i tempi di questo avvio di "ping-pong", intanto, è Roma. Con il ministro degli Esteri del Papa, monsignor Lajolo, il quale annuncia che sono in atto contatti non ufficiali. Ma detto questo lascia subito intravedere la possibilità di una visita del Papa Benedetto XVI in Cina. E tra le concessioni avanza la disponibilità a spostare l'ambasciata della Santa Sede da Taiwan. Ma a Pechino il quadro presentato dal diplomatico vaticano non è considerato esauriente. C'è una sorta di silenzio rumorosissimo che domina la diplomazia del vertice pechinese: la preoccupazione è quella relativa ad una sorta di doppio gioco che la Chiesa potrebbe fare nei confronti della Cina e delle sue eventuali aperture. Pechino pensa che il Vaticano nominando cardinale il vescovo di Hong Kong Joseph Zen Ze Kiun (è lui che prese le difese degli studenti di Piazza Tienamen il 4 giugno 1989) punti ad un effetto del tipo Solidarnosc… Pechino teme che Ratzinger possa organizzare una Polonia-bis servendosi del cardinale Zen come di un novello Walesa. Ed è in questo contesto di difesa delle posizioni che Pechino approva la "Legge sulle religioni". Resta così in vigore la proibizione a fare proseliti; con i luoghi di culto e i leader spirituali che sono soggetti all'approvazione dello Stato. Per Pechino nella religione "non ci può essere sottomissione al potere di paesi esteri". E per paesi esteri - è ovvio - si intende il Vaticano.

Monsignor Lajolo, intanto, difende Joseph Zen Ze Kiun, affermando che non può essere accusato d'iniziative contro la costituzione o le leggi cinesi. Assicura che il neo-cardinale si muove nell'ambito dello status speciale di Hong Kong, riconosciuto in campo internazionale, ed è semmai un modello d'azione nel senso dei principi democratici e della giustizia sociale. Misticismo, quindi, più che real-politik. Ecco perché anche per il Vaticano vale quella massima di Mao che ricordava che: "Bisogna tendere la corda ma non scoccare la freccia".