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di Rosa Ana De Santis

Dopo annunci ripetuti e recenti sull’insostenibilità per troppi cittadini della sanità pubblica, esce con l’Espresso un’inchiesta dedicata agli esodati del sistema sanitario nazionale. I numeri lanciano un allarme come mai prima era accaduto e rendono ancor più inaccettabile i tentativi, spacciati per ricette tecnocratiche, di ripensare la sanità pubblica sul leit motiv della crisi economica sia per le ragioni di principio che sovraintendono a questo modo di pensare la salute pubblica sia per le ricadute, pesanti, che questo avrebbe su una popolazione sempre più priva di mezzi economici per vivere.

Sempre più persone riferiscono ai medici di famiglia di non riuscire a pagare il ticket per le visite mediche specialistiche e per l’esattezza parliamo di quasi 2 milioni di cittadini. Una cifra che fa scivolare l’Italia, che era seconda solo alla Francia, di parecchie posizioni. Una sconfitta che più che economica è politica e morale. Peraltro accade spesso che i cittadini che ancora riescono a sostenere le spese mediche si rivolgano ai centri privati invece che alle strutture pubbliche, sia per evitare lunghe file d’attesa sia perché moltissimi poli medici convenzionati o del tutto privati hanno introdotto tariffe promozionali in nome della crisi, cannibalizzando il sistema pubblico che unisce ai buchi assistenziali un problema di caos organizzativo.

Una concorrenza che mai aveva livellato il pubblico al privato fino a questo punto. Va aggiunto inoltre che lo spostamento verso centri privati pone anche un’incognita sulla qualità e l’eccellenza delle prestazioni sanitarie di cui si ha sempre meno il tempo di occuparsi visto il progressivo impoverimento delle famiglie. I saldi dai negozi di abbigliamento e alimentari si sono spostati anche nelle cure.

La notizia di qualche giorno fa è che una famiglia su tre non riesce più a garantire la cure dentistiche ai propri figli (quasi 2 milioni di bambini) e moltissimi hanno abbandonato lo studio privato di fiducia (quasi il 95% delle cure odontoiatriche in Italia era affidato al sistema privato) per tornare agli ospedali e alle ASL di appartenenza.

Quasi grottesca la situazione se ci spostiamo al ripetuto bombardamento mediatico che le pubblicità progresso fanno della prevenzione a tutti i livelli. Se già curarsi è un lusso, figuriamoci prevenire con la diagnosi precoce. Tutti sembrano non rendersi conto che un popolo di malati più gravi, oltre ad essere un dramma sociale e una regressione, è anche un costo più gravoso per le tasche di tutti.

Le entrate che le Regioni dovrebbero recuperare dai rimborsi ticket raggiungono cifre da milioni di euro e i bilanci in rosso metteranno molto presto a rischio la possibilità di erogare prestazioni mediche pubbliche con regolarità. Non è infrequente che in molti nosocomi del Lazio, tanto per citare una delle Regioni con la situazione più disastrosa nella sanità, le liste per alcuni esami medici o per interventi chirurgici siano letteralmente bloccate da tempo lasciando a piedi cittadini che hanno bisogno di cure e che non possono permettersi di pagarle di tasca propria.

Già prima del caos elettorale, ai tempi del governo dei professori, la politica della spending review, per quanto Balduzzi avesse ribadito in più occasioni di non voler inquinare il sistema sanitario con ricette privatistiche, non aveva bloccato i tagli orizzontali che grazie all’ultima manovra finanziaria varata da Berlusconi e confermata per l’anno prossimo, che ha portato all’aumento del ticket lasciando invariati però tutti i problemi del sistema, taglia fuori una quota significativa della popolazione, la più vessata dalla crisi e dalla disoccupazione: quella che andava tutelata di più e per prima.

Nessuno, né Berlusconi né Monti, ha avuto il coraggio di affrontare gli sprechi della sanità, il modo di gestire i finanziamenti, l’efficienza dei servizi e quindi il lavoro degli operatori del settore. Nessuno ha avuto il coraggio di chiedere uno sforzo a quanti del Paese sfoggiano dichiarazioni dei redditi a tanti zeri: una sorta di fondo di solidarietà per le categorie più svantaggiate.

Come si fa addirittura nelle aziende, non nelle onlus, con le casse integrazioni parziali. Nessuno ravvede nella sanità come nell’istruzione due valori assoluti e quindi l’urgenza di ribadire l’universalità di due diritti che sono sanciti dalla nostra Costituzione e che non possono essere licenziate come voci di esubero alla fine di un bilancio che in questo caso non conta gli avanzi del profitto, ma la sostanza di una civiltà. Quella che eravamo.