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di Sara Nicoli

Alla fine arriva sempre la Corte Costituzionale a decidere cosa è discutibile e cosa è invece intoccabile per la politica e la cultura di questo Paese. E la legge, in molti casi - come in questo - non rappresenta altro che la sponda a cui aggrapparsi per poter mettere la parola fine ad un dibattito etico considerato lacerante e non costruttivo per la società. Nel mirino degli “ermellini”, ancora una volta la legge sulla fecondazione assistita che il governo di centrosinistra si è impegnato a rivedere almeno nelle sue linee guida, riaprendo tuttavia una polemica post referendaria che, se non altro, ha avuto il merito di far uscire allo scoperto quei deputati e senatori che con l’Unione non hanno nulla a che vedere e che, certamente, sarebbero stati seduti molto più comodi nei banchi del centrodestra. La prossima volta, alle urne, almeno sapremo chi non può meritare la nostra fiducia. Ieri mattina, dunque, la Corte è intervenuta a tempo di record su un punto essenziale della legge 40, quello riguardante la cosiddetta diagnosi pre impianto sugli embrioni, che aveva destato non poche perplessità anche al momento del passaggio parlamentare. Se, infatti, resta indubbio che nessuno possa pretendere di avere un figlio sano, nel caso della fecondazione assistita il Parlamento si era chiesto quale tipo di costrutto potesse avere l’impianto di embrioni non sani o portatori di malattie genetiche - come l’anemia mediterranea solo per fare un esempio - capaci di invalidare un’intera esistenza. Di lì il dubbio se consentire una diagnosi che, quantomeno, dicesse che l’embrione da impiantare era privo di difetti congeniti pesanti. Ma i cattolici, anche allora, mostrarono ben poca elasticità e, alla fine, la legge uscì così come è adesso, con l’impossibilità di fare qualsiasi verifica e obbligando, di fatto, la donna a farsi impiantare gli embrioni anche se portatori di difetti genetici.
Tutto il centrosinistra e molte associazioni femminili avevano sostenuto l'assurdità del provvedimento e si era proprio sperato nella Corte per riuscire ad eliminare questo insulto all’intelligenza collettiva e consentire, di conseguenza, un riequilibrio della legge 40 con modifiche ad hoc. E’ andata diversamente.

La Corte Costituzionale ha infatti dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 della legge 40 , appunto quella sulla diagnosi pre-impianto sugli embrioni. La legge, dunque, rimane com'era. I giudici della Consulta sono arrivati a questa decisione - di cui ancora non si conoscono le motivazioni che verranno scritte dal giudice Alfio Finocchiaro e depositate nei prossimi giorni - in tempi record, considerato il fatto che la causa è stata discussa in udienza pubblica solo ieri mattina. A questo punto, però, si infrangono definitivamente le speranze di chi pensava di poter intervenire in modo incisivo sulla legge esistente. Se, infatti, anche la Corte Costituzionale ha ribadito che l’embrione è intoccabile, tutto ciò che potrebbe derivare da questa impostazione (come la ricerca sulle staminali embrionali) può considerarsi definitivamente compromesso. Mentre potrebbe tornare d’attualità la revisione della 194: troppi segnali di volontà revisionistica si stanno addensando intorno alla legge sull’interruzione volontaria di gravidanza e queste perentorie prese di posizione della Corte (che ha addirittura considerato la verifica dello stato di salute di un embrione alla stregua di un “aborto preventivo”) certo non aiutano la crescita e la sedimentazione di un’impostazione laica della società. Ma tant’è.

E se si è arrivati a questa sentenza di ennesima chiusura lo si deve al caso di due coniugi di Cagliari. Nel corso dell'udienza pubblica il giudice relatore, Alfio Finocchiaro, ha ripercorso la vicenda della coppia, portatrice sana dei anemia mediterranea, che per motivi di sterilità fece ricorso alla procreazione in vitro. La procedura ebbe successo, ma alla diagnosi prenatale il feto risultò malato. La madre si sottopose a un'interruzione volontaria di gravidanza, ma riportò un forte trauma che la costrinse a cure mediche e psicologiche. Ancora decisi ad avere un figlio, i due chiesero al medico la diagnosi pre-impianto sull'embrione prima di un secondo tentativo. E lì si sono imbattuti nella legge 40 che vieta espressamente questa pratica. La coppia si è quindi rivolta al Tribunale di Cagliari che ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge sulla fecondazione assistita, perché avrebbe violato gli articoli 2 e 32 della Costituzione sotto il profilo del rischio di danni biologici per l'embrione (dovuti al periodo di crioconservazione) e per la donna (minacciata dalla impossibilità di conoscere lo stato di salute dell'embrione prima di procedere all'impianto).

Coraggiosamente, poi, il tribunale di Cagliari aveva inoltre sostenuto, fondatamente a livello di buon senso, che l'art.13, comma 2, della legge del 2004, violasse l'art. 3 della Costituzione per "la ingiustificata disparità di trattamento" tra la posizione dei genitori cui è riconosciuto il diritto alla informazione sulla salute del feto nel corso della gravidanza (attraverso l'amniocentesi), e quella della coppia nella fase della procreazione assistita che precede l'impianto. Un’argomentazione rimasta lettera morta e, anzi, violentemente respinta dall’Avvocatura dello Stato che, in sede di udienza, ha risposto con offensivo qualunquismo. Difendendo la legge, l’Avvocatura ha infatti spiegato che essa è oggi la più idonea a bilanciare interessi contrapposti “tenuto conto che non esiste, e non ha fondamento giuridico, la pretesa di avere “un figlio sano” e che, pertanto, non può assumere alcuna rilevanza l'elemento attinente all'equilibrio psico-fiso della donna”.

Un’aberrazione giuridica, si direbbe. E, tuttavia, recepita a tempo di record come valida dagli “ermellini”. La legge 40, dunque, resta com’è e migliaia di coppie desiderose di un figlio continueranno a varcare le frontiere per rivolgersi all’estero. Dati recenti dimostrano che la legge 40 non funziona e che la pratica migratoria è sempre più diffusa. Ma di questo, ai giudici della Corte Costituzionale, così come ai parlamentari cattolici, non importa un bel niente. Come sempre, quando l’ipocrisia di stampo cattolico prevarica l’etica laica, quello che diventa importante è salvare la facciata. Quasi mai la faccia.