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di Agnese Licata

D’immigrazione si scrive e si discute ormai ogni giorno. Spesso, perché è la cronaca a richiederlo, con i centinaia di volti e corpi segnati da indescrivibili “viaggi della speranza”, con i casi d’intolleranza e razzismo che colpiscono chi è considerato un intruso da scacciare (si pensi alle violenze contro i romeni nella Capitale, ai primi di ottobre). Quello invece di cui si discute poco è uno degli aspetti peggiori dell’inserimento: quello relativo agli immigrati nel rapporto con datori di lavoro che, approfittando di una legge che riduce i migranti a braccia da sfruttare, arrivano a violare anche i più elementari diritti umani. Uno dei nodi più difficili da sciogliere consiste proprio nel riuscire a sconfiggere quei criminali che costruiscono le loro fortune attorno alla facile ricattabilità degli immigrati, in particolare di quelli clandestini. In molti casi gli immigrati vengono sottoposti a questo ricatto due volte: prima nel loro Paese, per riuscire a varcare l’agognata frontiera del ricco Occidente; poi in Italia, nei centri di permanenza temporanea (come documentato un mese fa da La Repubblica sul caso di Caltanissetta) e anche sul posto di lavoro. Aspetti, questi, che negli ultimi giorni sono stati affrontati in due diverse occasioni. Innanzitutto, lo scorso 17 novembre il Consiglio dei ministri ha finalmente trovato l’accordo necessario per approvare il disegno di legge (ddl) contro il caporalato. Giovedì, poi, si è concluso il vertice di Tripoli, durante il quale leader africani ed europei hanno cercato soluzioni per contrastare il traffico di esseri umani da una sponda all’altra del Mediterraneo. Un vertice al quale hanno partecipato sia Massimo D’Alema sia Giuliano Amato (rispettivamente ministro degli Esteri e dell’Interno) e che è stato caratterizzato dalle parole particolarmente dure e dirette di Gheddafi: “L’Europa ha sfruttato l’Africa durante il colonialismo. Ora o vi tenete gli immigrati, o restituite parte delle ricchezze che vi siete presi”.

I risultati della Conferenza provano ad accontentare entrambi i fronti. Da un lato i Paesi occidentali e le loro ansie sempre maggiori, alle quali i 55 ministri riuniti a Tripoli sperano di porre un argine proponendo la creazione di pattuglie congiunte libiche, italiane e maltesi che controllino le coste libiche. Dall’altro, la povertà dei paesi africani che spinge i suoi abitanti a partire. E allora l’idea è quella di creare dei programmi finanziati dall’Unione europea destinati ai lavoratori africani che si recano nei Paesi europei per lavori stagionali semestrali (rimborso del biglietto aereo e corsi di lingua). Accanto a questo, ci sarebbe l’intenzione di creare un fondo europeo per l’immigrazione, oltre a un Portale della Commissione europea che avrebbe l’obiettivo di aiutare gli africani a trovare lavoro in Europa.

Passando dal dibattito internazionale a quello specificatamente italiano, negli scorsi giorni è finalmente arrivato il voto in Consiglio dei ministri sul caporalato. Alle spalle del voto unanime al disegno di legge, ci sono mesi di discussioni in seno alla maggioranza, tra il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero – che proponeva una reazione legislativa forte e veloce, stando a quanto scrittto da Fabrizio Gatti sull’Espresso – e quello dell’Interno Giuliano Amato che, invece, all’urgenza del decreto legge (voluto da Ferrero) privilegiava il normale iter parlamentare. In ballo, anche l’ampiezza dei casi da considerare punibili. Alla fine, dopo tanto discutere e dopo la bocciatura da parte del Consiglio dei ministri della proposta di Ferrero, ha prevalso la linea Amato.
Se il disegno di legge approvato dal Consiglio verrà votato dalle Camere così com’è, la nuova legge modificherà due articoli: il numero 18 del Testo unico sull’immigrazione (il decreto legislativo n. 286 del 1998 che insieme alla Bossi-Fini disciplina attualmente l’immigrazione) e il 600 del codice penale. L’articolo 18 prevede la possibilità di ottenere uno “speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale”.

Oggi, a poterne beneficiare sono le vittime della tratta e le prostitute. La proposta di modifica prevede che questo permesso possa essere ottenuto anche in casi di “grave sfruttamento del lavoro”.
Quattro i casi previsti dall’articolo primo del ddl: retribuzione ridotta a meno di un terzo dei minimi contrattuali previsti; sistematiche e gravi violazioni della disciplina dell’orario di lavoro; violazione delle regole di sicurezza e igiene; reclutamento illegale.
Modifiche che trovano solo parzialmente d’accordo l’esponente di Rifondazione, Paolo Ferrero, che avrebbe invece preferito estendere l’intervento anche ad altre situazioni, seppur non di “grave sfruttamento”.

L’altra norma prevista dal testo varato dal Consiglio dei ministri, vuole modificare l’articolo 600 del codice penale, istituendo il reato di caporalato. Le pene colpirebbero sia l’azienda sia i caporali in prima persona. Per le aziende che impiegano stranieri privi del permesso di soggiorno, è previsto un anno di esclusione dalla contrattazione con la pubblica amministrazione, oltre alla perdita di qualsiasi beneficio, agevolazione o finanziamento (regionali, nazionali e comunitarie) per l’anno in cui è stato commesso l’illecito. Nel caso in cui, poi, l’azienda occupi almeno tre irregolari si aggiunge anche la sospensione dell’attività per un mese (da quest’ultima misura sono escluse le imprese agricole). Infine, il disegno di legge prevede la possibilità di sequestrare i luoghi di lavoro delle aziende che occupino illegalmente almeno quattro stranieri.
Coloro che, invece, reclutano manodopera attraverso minacce, violenza, intimidazione o grave sfruttamento, rischierebbero la reclusione da 3 a 8 anni e una multa di 9mila euro per ogni immigrato coinvolto. Pene aumentate di un terzo se lo straniero è irregolare o minore di 16 anni.

Queste le proposte, con annesse inevitabili e prevedibili reazioni di An e Lega. Alfredo Mantovano, deputato di Alleanza nazionale, si dice spaventato dalla possibilità che una legge del genere si trasformi in una “sanatoria permanente”. Ma prima che il ddl possa dirsi legge, deve passare al vaglio di Camera e Senato, attraverso un iter che si annuncia lungo. La speranza è che ognuno dei parlamentari, mentre si trova seduto sulla propria poltrona a votare e proporre modifiche, ricordi le condizioni assurde, indegne, denunciate da Fabrizio Gatti, infiltratosi come clandestino in un’azienda agricola di Foggia: esseri umani privati della propria libertà, sottoposti a violenze personali e costretti a mangiare di nascosto i pomodori verdi per la fame.
Di questo si spera discuta prima di tutto il Parlamento.